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lunedì 25 febbraio 2013

Stop al nuovo redditometro


Per il Tribunale di Pozzuoli il D.m. 24.12.2012 n. 65648 è illegittimo perché troppo invasivo

Arriva dalla Campania lo stop al nuovo “redditometro”. Con l’ordinanza 21 febbraio 2013 n. 250, il Tribunale di Napoli – Sezione distaccata di Pozzuoli ha disapplicato il D.M. 24 dicembre 2012, n. 65648 perché “determina la soppressione definitiva del diritto del contribuente e della sua famiglia ad avere una vita privata, a poter gestire il proprio denaro, a essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto a invadenza del potere esecutivo”. Secondo il Tribunale l'impianto del Decreto Ministeriale “è non solo illegittimo, ma radicalmente nullo ai sensi dell'articolo 21 septies Legge 241/1990 per carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione in quanto emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla normativa primaria e dai suoi presupposti”, ponendosi altresì “al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria” perchè “utilizza categorie concettuali ed elaborazioni non previste dalla norma attributiva”, ossia dall’art. 38del D.P.R. n. 600/1973, che non individua categorie di contribuenti, ma li ripartisce solo per aree geografiche e numerosità familiare.

Il caso. Il magistrato ha inibito all’Agenzia delle Entrate di controllare, analizzare e archiviare le spese del ricorrente, in applicazione del detto Decreto, e di cessare, ove iniziata, ogni attività di accesso, analisi o raccolta dati. All’Agenzia è stato pure ordinato “di comunicare formalmente al ricorrente se è in atto un’attività di raccolta dati nei suoi confronti ai fini dell’applicazione del redditometro e, in caso positivo, di distruggere tutti i relativi archivi previa specifica informazione a parte ricorrente”.

La tesi del ricorrente. Il Tribunale ha aderito alla tesi secondo cui l’ampiezza dei dati previsti dal regolamento permetterebbe all’Agenzia delle Entrate di venire a conoscenza di ogni singolo aspetto della vita quotidiana dei contribuenti, ledendo non solo la riservatezza ma la stessa libertà individuale e di autodeterminazione. Senza sottovalutare la totale assenza di limitazioni temporali, che permeterebbe al Fisco “di costituire un archivio definitivo e periodicamente aggiornato di ogni singola scelta di vita”.

Invasione della sfera privata. Nelle motivazione si legge, in particolare, che l’articolo 5, legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, impone al giudice di non applicare gli atti amministrativi e i regolamenti non conformi alla Legge. E il redditometro viola una serie di principi costituzionali, tra i quali, il buon andamento della Pubblica Amministrazione, il diritto di difesa ei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, nonché i diritti fondamentali della persona, tutelati anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (per esempio, il diritto alla riservatezza). In sostanza, secondo il Tribunale, il regolamento ministeriale sacrifica la sfera privata del cittadino, perché attraverso il monitoraggio delle singole spese si possono conoscere anche gli aspetti più intimie privati della vita di un soggettoe dei suoi familiari (per esempio, lo stato di salute, la vita sessuale e il mantenimento e l’educazione impartita alla prole).

Arduo difendersi. Dubbi sono stati anche avanzati circa la concreta attuazione dello strumento, perché il cittadino è costretto a conservare non solo la prova delle proprie voci di spesa, ma di tutti gli esborsi del nucleo familiare finito sotto la lente d’ingrandimento del Fisco. Altrettanto arduo risulta dimostrare di aver speso meno della media ISTAT, “infatti – osserva il giudice - non si vede come si possa provare ciò che non si è fatto, ciò che non si è comprato, atteso che – anche a voler prevedere una grottesca conservazione di tutti gli scontrini e una altrettanto grottesca analitica contabilità domestica – è chiaro che tale documentazione non dimostrerà che non è stata sopportata altra concreta spesa; si arriva così all’irragionevole ricostruzione di spese artificialmente imposte dall’autorità governativa, mercé le quali si può di fatto intensificare il prelievo fiscale in violazione dell’art. 53, 1° e 2° comma Cost. (…)”. Il Decreto Ministeriale “conferisce - si legge ancora nell’ordinanza - all’Agenzia governativa un potere che va, quindi, manifestamente oltre quello dell’ispezione fiscale consentito astrattamente dall’art. 14, 3° comma Cost.”, posto che prevede “un potere di acquisizione, archiviazione e utilizzo di dati di ogni genere che nulla hanno a che vedere con la mera ispezione, rappresentando un potere di cui non gode persino l’autorità giudiziaria penale (…)”.

Gli effetti. L’ordinanza del Tribunale partenopeo lascia presagire effetti dirompenti: moltissimi contribuenti infatti potrebbero seguire l’esempio del Sig. F. di Pozzuoli e presentare ricorso in via d’urgenza ai vari Tribunali italiani per ottenere una inibitoria nei confronti delle Entrate. Dal canto suo l’Agenzia ha fatto sapere che presenterà appello “anche perché molte delle spese che lederebbero la riservatezza sono quelle che lo stesso contribuente mette in dichiarazione per ottenere detrazioni”. Peraltro, “Se si distruggessero le banche dati del Fisco, oltre a inficiare la lotta all'evasione, si rischierebbe di non poter più dare sconti ai contribuenti, proprio perché le spese sono le stesse indicate nella dichiarazione dei redditi per ottenere detrazioni o deduzioni”.
Autore: Redazione Fiscal Focus

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