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venerdì 30 novembre 2012

IVA per cassa: da domani addio al vecchio regime


Da sabato 1° dicembre 2012 i contribuenti che devono assumere un comportamento concludente, per l’adozione del nuovo regime dell’IVA per cassa, devono emettere fattura con la specifica annotazione “IVA per cassa ai sensi dell’articolo 32-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83”, anche se l’Amministrazione Finanziaria nella Circolare n. 44/E/12 conferma che l’omessa indicazione di tale dicitura non inficia l’applicazione del regime per cassa, nel presupposto che il comportamento concludente sia altrimenti riscontrabile.

L’abrogazione del vecchio regime - L’art. 8 del decreto MEF dell’11 ottobre 2012, ha previsto che le disposizione del decreto attuativo del nuovo regime dell’IVA per cassa, diventino efficaci da tale data.
Contestualmente all’entrata in vigore delle nuove disposizioni, il comma 5 dell’articolo 32 bis dispone l’abrogazione delle norme sull’esigibilità differita dell’IVA di cui all’articolo 7 del D.L. 185/2008. Ciò comporta che il regime previsto dal richiamato articolo 7 non può essere applicato alle operazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 2012, ma resta valido per le operazioni effettuate prima di tale data e per le quali era stata espressa la relativa opzione.

La possibilità di un dietro front - Come anticipato, l’articolo 167-bis, paragrafo 2, della Direttiva 2006/112/CE, come modificato dalla direttiva 2010/45/UE, prevede che gli Stati membri possono applicare il regime di contabilità per cassa alle imprese con una soglia di fatturato superiore a 500 mila euro, e fino a 2 milioni di euro, previa consultazione del Comitato IVA.
L’Agenzia nella Circolare n.44/E/12 al riguardo ricorda che il procedimento di consultazione è ancora in corso e ne è prevista la definizione dopo il 1° dicembre 2012Qualora tale procedimento non dovesse dare esito positivo, si dovrà procedere alla liquidazione con le modalità ordinarie dell’IVA per cassa eventualmente applicata senza corresponsione di sanzioni e interessi.

L’effetto dell’assunzione di un comportamento concludente
 - Con l’assunzione del comportamento concludente e con la successiva opzione, l’imposta relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di cessionari o committenti soggetti passivi di imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi e decorso un anno dal momento di effettuazione dell’operazione, salvo che il cessionario o committente, prima del decorso di detto termine, sia stato assoggettato a procedure concorsuali.
L’imposta relativa agli acquisti effettuati è detraibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi e comunque decorso un anno dal momento in cui l’operazione si considera effettuata ai sensi dell’articolo 6 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Le verifiche preliminari- È necessario verificare preliminarmente i requisiti soggettivi del contribuente:
1. opera nell’esercizio di impresa, arti o professioni (a norma degli articoli 4 e 5 del D.P.R. n. 633 del 1972);
2. ha realizzato nell’anno precedente un volume d’affari non superiore a due milioni di euro.
Se rispetta tali condizioni, possono liquidare l’IVA secondo un criterio di cassa sia in riferimento alle operazioni attive che in riferimento alle operazioni passive.
Il sistema dell’IVA per cassa è opzionale, ma una volta espressa l’opzione, il soggetto passivo non può scegliere con riguardo a ciascuna operazione se assoggettarla a esigibilità immediata o differita, ma è obbligato ad applicare il regime a tutte le operazioni attive e passive effettuate.
Premesso che l’adozione del sistema IVA di cassa, riguarda non le singole operazioni, ma l’insieme delle operazioni attive e passive poste in essere dal contribuente, va fatto un ulteriore step per verificare i requisiti oggettivi dell’operazione che viene effettuata:
1. il regime di IVA per cassa non è applicabile in relazione alle operazioni per le quali l’imposta è applicata secondo regole peculiari;
2. stessa cosa per le operazioni effettuate nei confronti di privati o di soggetti che non agiscono nell’esercizio d’imprese, arti o professioni, sia se residenti in Italia sia se residenti all’estero.
Autore: Carla De Luca

mercoledì 28 novembre 2012

Iva per cassa: primi chiarimenti del Fisco


Circolare n. 44/E del 26 novembre 2012

Con la Circolare n. 44/E del 26 novembre 2012 l'Agenzia delle Entrate dà ai contribuenti interessati a optare per il nuovo regime, che decorre dal prossimo 1° dicembre 2012, alcune indicazioni, anche se non chiarisce le criticità che si possono creare nel periodo transitorio.

L’imposta sugli acquisti pagata, una volta fatta l’opzione per il nuovo regime dell'Iva per cassa, può essere portata in detrazione entro il secondo anno successivo a quello in cui avviene il pagamento. Inoltre, il regime è precluso per i soggetti che operano in agricoltura.

L’esigibilità e la detrazione - Il documento di prassi ricorda innanzitutto che il beneficio della nuova procedura è riservato ai soggetti con volume d'affari non superiore a 2 milioni di euro.
Procede, poi, approfondendo il concetto di esigibilità dell'imposta che nel caso del regime dell’Iva per cassa, coincide con il momento dell'incasso del relativo corrispettivo, in relazione a tutte le operazioni effettuate dal contribuente Iva. A sua volta la detrazione dell'Iva sugli acquisti viene sospesa fino al relativo pagamento. L'Iva per cassa sospende l'esigibilità e la detrazione dell'IVA per un anno dal momento di effettuazione dell'operazione.
Ad esempio per la cessione di un bene consegnato nel mese di gennaio 2013, nel caso in cui non venga effettuato il pagamento, l'Iva dovrà essere versata nella liquidazione relativa al mese di gennaio 2014.
Specularmente per le fatture di acquisto la decorrenza di un anno decorre dal periodo in cui l'imposta è divenuta esigibile per l’erario e non dal momento della registrazione. La circolare in commento precisa che il termine di due anni per l'esercizio della detrazione decorre dall'anno di pagamento della fattura.

Escluso anche il regime speciale dell’agricoltura
 – Una precisazione ulteriore della circolare riguarda i regimi speciali, per i quali l’IVA per cassa non trova applicazione: il regime monofase, il regime speciale per l'agricoltura e attività connesse, quello per l'agriturismo, il regime del margine per i beni usati, il regime delle agenzie di viaggio e turismo.
L'esclusione del settore agricolo è una novità introdotta con il nuovo regime, che non era contemplata nel precedente regime ex art. 7 D.L. 185/2008. Secondo l'articolo 32-bis del D.L. 83/2012, i regimi esclusi sono quelli dell'applicazione dell'imposta, mentre il regime agricolo usufruisce di un meccanismo particolare di detrazione dell'imposta. L'Agenzia, considerando che in tale regime la detrazione dell'Iva sugli acquisti non può essere sospesa, ha escluso anche l'agricoltura.

L’ opzione - L'articolo 32-bis stabilisce che la liquidazione dell'Iva per cassa non è un regime naturale, ma opzionale. Infatti, il provvedimento attuativo del 21 novembre 2012 ha chiarito come tale opzione debba essere esplicitata ai terzi attraverso un comportamento concludente (annotazione in fattura). In seguito va comunicata nella prima dichiarazione Iva successiva all'esercizio dell'opzione.
I contribuenti che intendono avvalersi del regime quando iniziano l'attività, comunicheranno tale scelta in sede di presentazione della dichiarazione Iva relativa all'anno di inizio attività.

Il vincolo triennale - L'opzione ha un vincolo triennale e, sia nel caso in cui si opti dal 1° dicembre 2012 sia nel caso di inizio di attività, tale periodo è computato come il primo del triennio. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime prescelto, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, salva la possibilità di revoca, da esercitarsi con le stesse modalità di esercizio dell’opzione, mediante comunicazione nella prima dichiarazione annuale IVA presentata successivamente alla scelta effettuata.
Infine, va tenuto presente che l’articolo 167-bis, paragrafo 2, della Direttiva 2006/112/CE, come modificato dalla direttiva 2010/45/UE, prevede che gli Stati membri possano applicare il regime di contabilità per cassa alle imprese con una soglia di fatturato superiore a 500 mila euro e fino a 2 milioni di euro,previaconsultazione del Comitato IVA. 

L’Agenzia delle Entrate nella Circolare n.44/E/12, al riguardo, ricorda che il procedimento di consultazione trova definizione dopo il 1° dicembre 2012. Qualora tale procedimento non dovesse dare esito positivo, si dovrà procedere alla liquidazione con le modalità ordinarie dell’IVA per cassa eventualmente applicata senza corresponsione di sanzioni e interessi.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 26 novembre 2012

Studi di settore e comunicazione anomalie


Disponibile il software “Segnalazioni 2012” per comunicare con l’Agenzia

Premessa – È disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate “Segnalazioni 2012”, la procedura che consente ai contribuenti di comunicare all’Agenzia delle Entrate informazioni o elementi giustificativi in merito a situazioni di non congruità, di non normalità o di non coerenza relativi agli studi di settore per il periodo d’imposta 2011. Con “Segnalazioni 2012” è inoltre possibile, analogamente alle versioni 2009 e 2010 dell’applicazione, segnalare alle Entrate le cause di inapplicabilità o di esclusione dagli studi di settore per lo stesso periodo.

Mancato adeguamento a Gerico 2012 - Coloro che hanno deciso di non adeguarsi, quindi non pagare le maggiori imposte rispetto a quelle che emergono dai dati contabili, debbono fare i conti con i meccanismi di funzionamento di Gerico. Infatti, la scelta di non reputare corretta la ricostruzione di ricavi o compensi proposta (quindi di non adeguarsi) può trovare giustificazione in possibili malfunzionamenti o errate approssimazioni del software. L'Agenzia delle Entrate ha più volte ribadito che non c'è alcun obbligo di adeguamento per il contribuente che non si riconosce nella stima effettuata. La suddetta situazione si può verificare per due motivi: da un lato la peculiarità della situazione del contribuente (sotto l'aspetto soggettivo, oggettivo, nonché ambientale, vale a dire il contesto del mercato in cui si opera); dall'altro un malfunzionamento di Gerico.

Spazio annotazioni - Al riguardo si fa presente che è possibile utilizzare in maniera efficace lo spazio dedicato alle “Annotazioni” presente all'interno dei modelli degli studi di settore. Sono gli stessi documenti ufficiali di Sose, Agenzia delle Entrate e Commissione di esperti a sottolineare che il contribuente non deve lasciarsi scappare questa occasione per evidenziare le possibili cause di scostamento e i fenomeni non adeguatamente rappresentati dagli indicatori contenuti negli studi.

Circolare n. 30/E/2012 
- L’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 30 dell’11 luglio 2012 aveva già anticipato che anche per le dichiarazioni relative al periodo di imposta 2011 sarebbe stato reso disponibile, da parte dell’Agenzia, lo specifico software per la segnalazione di eventuali circostanze in grado di giustificare lo scostamento dalle risultanze degli studi di settore, anche tenendo conto dei correttivi per la crisi.

Pubblicazione del software – Venerdì 23 novembre l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato il software in questione sul proprio sito. Segnalazioni 2012”, in analogia con quanto già avvenuto per gli anni d’imposta 2009 e 2010, permette di predisporre una comunicazione e di inviarla per via telematica anche per indicare le cause di inapplicabilità o di esclusione dagli studi di settore per lo stesso periodo. La trasmissione delle segnalazioni si potrà fare, a partire da martedì 27 novembre fino al 28 febbraio 2013, tramite File Internet dell’Agenzia delle Entrate oppure Entratel.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 21 novembre 2012

Redditest: pronto il software


Disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate (puoi accedere cliccando su "REDDITEST" qui a fianco) il software che misura la coerenza del reddito delle famiglie con le spese sostenute

Premessa – Tutti i contribuenti possono verificare la compatibilità tra reddito familiare e spese
sostenute grazie al Redditest, il software da ieri disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate e da scaricare direttamente sul proprio pc, senza lasciare alcuna traccia sul web, presentato ieri nel corso di una conferenza stampa all’Agenzia delle Entrate. È una sorta di autodiagnosi che coglie le principali caratteristiche che incidono sul tenore di vita e aiuta le famiglie a verificare la coerenza della propria dichiarazione prima che possa scattare un eventuale accertamento.

Gli indicatori - Il misuratore del reddito nella nuova versione valuterà la capacità di esborso per risalire ai ricavi, non ci saranno più i vecchi coefficienti, per esempio la barca non peserà più del camper, ma il sistema si baserà su 100 voci riconducibili a sette diversi gruppi (abitazioni, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, investimenti mobiliari e immobiliari netti e altre spese significative).

Come funziona il Redditest - Per dare inizio al test occorre indicare la composizione della famiglia, il Comune di residenza e vanno poi inserite le spese più significative sostenute dal nucleo familiare durante l'anno. Lo strumento aggiornato considera “elementi certi” come la potenza delle auto e la lunghezza delle barche. I dati richiesti nel questionario rispecchiano, naturalmente, i criteri di riferimento ritenuti validi dal nuovo accertamento sintetico. Assumono, quindi, importanza, l’ammontare degli acquisti e delle spese significative sostenute da tutta la famiglia, la composizione del nucleo familiare, l’area geografica di residenza, i risparmi e gli incrementi patrimoniali.

Esito - Il Redditest è figlio dell’operazione redditometro, ma non ha alcun valore di autodenuncia. Se il risultato del test sarà una luce verde c’è la prova della congruità, altrimenti si accende un semaforo rosso, segno di una discrepanza tra reddito e tenore di vita. Una spia che invita a rivedere bene la propria dichiarazione per evitare di cadere sotto la lente del Fisco. I dati inseriti rimangono noti solo al contribuente e non ne rimane traccia sul web.

Nuovo redditometro
 – Con il Redditest debutta così anche il nuovo redditometro, previsto dal decreto 78 del 2010 che si applica a partire dall'anno di imposta 2009. Alla molteplicità delle informazioni utilizzate si aggiunge la garanzia del doppio contraddittorio. L'Agenzia é infatti tenuta a dialogare con il contribuente: in fase preventiva, chiedendogli di fornire chiarimenti e di integrare, con i dati in suo possesso, le informazioni a disposizione dell'amministrazione. In una eventuale seconda fase, per definire la ricostruzione del reddito in adesione. In questo modo il contribuente può sempre fornire la prova contraria prima della quantificazione della pretesa.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 20 novembre 2012

Il saldo IMU per l’abitazione principale


Per calcolare l’importo del saldo IMU per l'abitazione principale è necessario considerare che solo per l’anno 2012 era possibile effettuare il versamento in tre rate: il primo acconto scadeva il 18 giugno 2012, pari a un terzo dell'imposta calcolata con l'aliquota standard stabilita dal legislatore allo 0,4%, un secondo acconto da versare entro il 17 settembre 2012, calcolato applicando sempre l'aliquota base e il saldo entro il 17 dicembre. 2012. Tale ultimo versamento, tuttavia, va calcolato con l'aliquota deliberata dal singolo Ente locale, al netto degli acconti versati (a giugno e settembre per chi ha scelto la rateazione o solo a giugno per gli altri soggetti). Questo, naturalmente, solo dopo aver preliminarmente verificato che sussistano le condizioni per definire l’immobile come abitazione principale.

I requisiti dell’abitazione principale – Rispetto a quanto previsto per l'Ici, la definizione di abitazione principale presenta dei profili di novità. Per abitazione principale si intende l’immobile iscritto o iscrivibile nel Catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente (art.13 c.2 D.L. 201/2011). Sulla base di quanto scritto ai fini dell’IMU, si considera abitazione principale del contribuente quella inderogabilmente caratterizzata dalla compresenza di due requisiti: quello soggettivo (dimora abituale nel fabbricato) e quello oggettivo (iscrizione residenza anagrafica). Non è invece necessario che il fabbricato sia effettivamente accatastato, essendo sufficiente la sua semplice iscrivibilità in Catasto. Inoltre, a differenza di quanto stabilito per l’Ici fin dal 2008, l’assoggettamento al tributo non si limiterà alle prime case di maggior prestigio, dato che saranno comunque assoggettati all’IMU tutti gli immobili adibiti ad abitazione principale, e non solo quelli accatastati come A/1 (abitazioni di lusso), A/8 (ville), A/9 (castelli, abitazioni di eminente pregio).

Il nucleo familiare - nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare, si applicano per un solo immobile.

L’abitazione principale non può che essere una sola unità immobiliare (accatastamento unitario): se il contribuente dimora e risiede in una casa composta da più di una unità immobiliare al catasto (es. piano sopra distinto da piano sotto), le singole unità immobiliari vanno assoggettate separatamente a imposizione, ciascuna con la propria rendita rivalutata: per un’ unità viene applicata l’aliquota del 4 per mille in acconto e le agevolazioni dell’abitazione principale, mentre l’altra è considerata altro fabbricato e sconta l’aliquota base del 7,6% in acconto e l'aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati a saldo.
Il contribuente sceglie a quale delle due applicare l’aliquota agevolata.

I coniugi - L’abitazione principale è l'unica unità immobiliare in cui il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Se due coniugi dimorano e risiedono in immobili diversi nello stesso comune, uno sconta l’aliquota ordinaria e l’altra quella agevolata per l’abitazione principale. Un solo immobile è considerato abitazione principale.
Se i due coniugi risiedono e dimorano in due immobili diversi in due comuni diversi, la legge tace, mentre la circolare ministeriale omnibus n.3/DF apre alla possibilità di riconoscere l’aliquota ridotta e le relative detrazioni a entrambi gli immobili.
Al fine di evitare comportamenti elusivi, i coniugi per poter scontare l’aliquota ridotta e le agevolazioni per l’abitazione principale devono stabilire la residenza e il domicilio negli immobili. Il Comune è l’ente che si occuperà dei relativi controlli. In quest’ultimo caso, infatti, spiega la circolare, il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative. Il coniuge, che per motivi di lavoro risiede in un comune diverso da quello del proprio nucleo familiare, ha comunque diritto alle agevolazioni Imu per l'abitazione principale.

Le agevolazioni per l’abitazione principale - Oltre all'aliquota ridotta, è prevista una detrazione base di 200 euro e una maggiorazione (solo per il biennio 2012-2013), pari a 50 euro per ogni figlio convivente di età inferiore ai 26 anni e fino a 400 euro. I Comuni possono comunque disporre l'aumento della detrazione, fino alla concorrenza dell'imposta dovuta, anche introducendo varianti correlate al reddito del contribuente o altri elementi.

La quota è destinata al comune 
– La destinazione dell'intero gettito IMU, nel caso di abitazione principale, va ai comuni, soluzione prevista anche per i fabbricati rurali strumentali e per gli alloggi Iacp e delle cooperative a proprietà indivisa, dato che in questi casi non è dovuta la quota erariale. Di conseguenza, tutto il tributo va versato in un unico rigo del modello F24 e con codice tributo “3912”.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 19 novembre 2012

IMU: tassabilità delle aree pertinenziali


La questione delle aree pertinenziali (es. il giardino dell’abitazione principale) si ripropone anche ai fini dell’applicazione dell’Imu.
L’art. 2 co.1 lett. a) del D.Lgs. 504/92, applicabile all’IMU, grazie al richiamo effettuato dall’art. 13 co.2 del D.L. 201/2011, stabilisce, all’interno della definizione di fabbricato, che va considerata parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza.
Ciò significa che esclude l’autonoma tassabilità di tali aree, in quanto è soggetta al medesimo regime fiscale del bene principale.

La posizione della giurisprudenza basata sulla destinazione dell’area
 - Anche buona parte della giurisprudenza (di merito e di legittimità) ha ribadito che un'area del genere non può essere sottoposta a tassazione, costituendo comunque una mera “area pertinenziale” del fabbricato.
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 10090 del 19 giugno 2012, ribadendo quanto già affermato in precedenti pronunce (sentenze n. 25027 e n. 19639 del 2009, n. 22844 e n. 22128 del 2010), ha dichiarato che in tema di ICI, l’art. 2 del D.Lgs. n. 504 del 1992, esclude l’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, fondando l’attribuzione della qualità di pertinenza sul criterio fattuale, cioè sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio o ornamento di un’altra, secondo la definizione contenuta nell’art. 817 del codice civile.
Già con Sentenza 17035 del 26 agosto 2004 i giudici di legittimità hanno escluso ai fini dell’Ici l’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali.
Successivamente è stato affermato, in modo chiaro e inequivocabile, che deve essere esclusa la tassazione delle aree pertinenziali alle costruzioni e che il terreno che di fatto costituisce “pertinenza” di un fabbricato non può essere assoggettato a imposizione come area edificabile, ancorché il terreno stesso risulti iscritto autonomamente al catasto (Corte di cassazione, sezione tributaria, fra tante, sentenze 6725 del 12 marzo 2008 e 5755 del 16 marzo 2005). La tesi dell’intassabilità delle aree pertinenziali è stata pronunciata anche con Sentenza 15739 del 13 luglio 2007.
Si presuppone che sia importante solo il dato fattuale, cioè la destinazione effettiva e concreta, che caratterizza la nozione di pertinenza, di cui all'articolo 817 c.c., rendendo così irrilevante sia il regime di edificabilità che lo strumento urbanistico generale attribuisce a quell’area sia la dimensione dell’area stessa (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzioni 265/E del 26 giugno 2008 e 149/E dell’11 aprile 2008; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 24545 del 26 novembre 2007).

Il diverso orientamento basato sull’aspetto formale
 - Mentre con la sentenza 19638 dell’11 settembre 2009 la stessa Corte di cassazione ha ritenuto che il giardino che risulti essere area edificabile, ma che viene utilizzato dal proprietario come pertinenza del fabbricato principale, è imponibile ai fini dell’Ici, qualora il contribuente non ne abbia denunciato la pertinenzialità nella dichiarazione Ici.
Con quest’ultima decisione, che privilegia solo l’aspetto formale della questione è iniziato l’orientamento giurisprudenziale opposto a quello precedente.
In base alle affermazioni della Corte di Cassazione affinché un’area possa essere considerata pertinenza di un fabbricato il contribuente deve effettuare la dichiarazione ICI.

Istruzioni alla dichiarazione IMU
 - La disciplina dell’Imu, quindi, non ha modificato i termini della questione sulle aree pertinenziali, sulle quali esiste un indirizzo non univoco della Corte di cassazione.
Dato il riferimento contenuto nelle istruzioni, si ritiene che il Ministero abbia voluto dare un monito al contribuente: in base alle affermazioni della Corte di Cassazione affinché un’area possa essere considerata pertinenza di un fabbricato il contribuente deve effettuare la dichiarazione IMU. Se tale adempimento non venisse effettuato, può essere fatta valere dall’ufficio impositore la tassabilità dell’area.
Autore: Carla De Luca

giovedì 15 novembre 2012

IVA PER CASSA: la decorrenza del nuovo regime


La questione che riguarda la decorrenza del nuovo regime è fondamentale. Dalle anticipazioni fornite inizialmente dalla stampa specializzata, così come dalle prime bozze informali del decreto di attuazione, era emerso con una certa sicurezza, che la decorrenza del nuovo regime fosse stabilita all’inizio del 2013.
Ciò non è avvenuto, in quanto l’art.8 del D.M. dell’11 ottobre 2012 prevede espressamente che le nuove disposizioni trovino applicazione con riferimento alle operazioni effettuate a decorrere dal 1° dicembre 2012.

Si tratta di una soluzione forzata, dato che la relazione illustrativa al citato D.M. afferma che: “limitatamente all’anno 2012, primo anno di applicazione del nuovo regime, l’opzione di cui all’articolo 6 ha effetto per le operazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 2012”.

La decorrenza in corso d’anno - La decorrenza in corso d’anno, inoltre, crea un problema di gestione contabile in relazione alle prestazioni effettuate fino al 30 novembre 2012, in data antecedente all’entrata in vigore del regime, che troveranno manifestazione finanziaria (incasso o pagamento)successivamente al 1° dicembre 2012. 

Queste operazioni, laddove abbiano già concorso alla liquidazione Iva, in quanto fondata sul criterio di effettuazione dell’operazione, sono escluse dalla disciplina Iva per cassa secondo quanto previsto anche dal co.3 dell’art.6 del D.M. dell’11/10/12.
Nel caso in cui un contribuente decida di applicare il nuovo regime di Iva per cassa a partire dal 1° dicembre 2012, e abbia a monte optato per la liquidazione trimestrale dell’Iva, lo stesso si trova ad avere due mesi (ottobre e novembre) precedenti all’esercizio dell’opzione con il nuovo regime, per i quali non ha ancora provveduto a effettuare la liquidazione, e un mese (dicembre) per il quale le nuove previsioni sono già in vigore.

In questa situazione, tutt’altro che rara (nonostante sia consigliabile per tali soggetti non esercitare l’opzione per il nuovo regime già a partire dall’1/12/12, bensì attendere il successivo anno 2013), non è chiaro come tale contribuente debba procedere alla liquidazione del quarto trimestre, che avviene direttamente in dichiarazione annuale.

Facendo riferimento ai criteri dettati dall’art.6 del decreto di attuazione, si deduce che le operazioni effettuate o ricevute nei mesi di ottobre e novembre, non incassate o pagate alla data del 30 novembre 2012, in quanto non hanno ancora partecipato ad alcuna liquidazione periodica, debbano sottostare ai criteri del nuovo regime di Iva per cassa.

L’efficacia retroattiva - Ciò, però, significherebbe che in relazione a tali operazioni si realizzerebbe un’efficacia “retroattiva” delle nuove disposizioni. L’alternativa potrebbe essere quella di consentire al soggetto con liquidazione trimestrale di chiudere in anticipo il bimestre (ottobre-novembre) seguendo le tradizionali regole che fanno coincidere esigibilità e momento impositivo con l’effettuazione dell’operazione e lasciare il solo mese di dicembre 2012 all’applicazione delle nuove regole.

Le ragioni dell’anticipazione - Si tratta di questioni che, evidentemente, non si sarebbero poste nel caso di una decorrenza fissata al 1° gennaio 2013 e, in questo caso, le previsioni contenute nel citato articolo 6 del D.M. attuativo avrebbero avuto correttamente il senso di escludere gli incassi e pagamenti avvenuti nel nuovo regime di Iva per cassa qualora riferiti a operazioni effettuate nell’anno precedente in cui vigevano le tradizionali regole di liquidazione dell’imposta.

Quali sono le ragioni di questa anticipazione? La Direttiva comunitaria 2006/112/CE, prevede che i soggetti che applicano il regime opzionale, in base al quale il versamento dell’imposta è differito al momento del pagamento del corrispettivo, possono fissare, per l’applicazione di tale regime, una soglia che può arrivare fino a 2 milioni di euro. Gli Stati, per poter applicare questa soglia massima di volume d’affari, devono preliminarmente consultare il Comitato Iva, a meno che al 31 dicembre 2012 non applichino già una soglia superiore ad €500.000.

Nel caso dell’Italia, tale consultazione sarebbe stata necessaria se la soglia del sistema dell’Iva per cassa in vigore al 31 dicembre 2012 fosse stata di importo inferiore. Il regime Iva per cassa ex art.7 del D.L. n.185/08 prevede una soglia di volume di affari di importo non superiore ad €200.000, quindi ben inferiore al limite che consentirebbe di evitare la richiamata consultazione.
Autore: Carla De Luca

mercoledì 14 novembre 2012

Aumento per le detrazioni per figli a carico dal 2013.


Articolo di Massimo Negro - Eutekne

Lo prevede l’emendamento dei relatori al disegno di legge di stabilità, al posto della riduzione delle prime due aliquote IRPEF
Dal 1° gennaio 2013 aumentano di 180 euro le detrazioni IRPEF per i figli a carico. È quanto contenuto nell’emendamento fiscale dei relatori al disegno di legge di stabilità, in sostituzione della riduzione di un punto percentuale delle prime due aliquote IRPEF e della “manovra” sugli oneri deducibili e detraibili che era prevista dal testo originario del provvedimento.
Mediante alcune modifiche all’art. 12, comma 1, lett. c), del TUIR, viene quindi aumentata da 800 a 980 euro la detrazione d’imposta per ciascun figlio a carico, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati. La detrazione d’imposta “sale” da 900 a 1.080 euro in relazione a ciascun figlio di età inferiore a tre anni.
Resta fermo il previsto incremento di 220 euro per ogni figlio a carico portatore di handicap ai sensi dell’art. 3 della L. 5 febbraio 1992 n. 104; in tal caso, pertanto, le “nuove” detrazioni diventano di 1.200 euro, se il figlio ha un’età pari o superiore a tre anni, ovvero di 1.300 euro se ha un’età inferiore a tre anni.
I suddetti importi delle detrazioni sono però “teorici”, in quanto rimane invariato il complesso meccanismo previsto per parametrare l’ammontare della detrazione effettivamentespettante al reddito complessivo del contribuente che ha i figli a carico. Ai fini in esame, si ricorda che nel “reddito complessivo” devono essere ricompresi anche i redditi dei fabbricati assoggettati alla “cedolare secca sulle locazioni” e l’agevolazione ACE utilizzata.
Ad esempio, un contribuente con un figlio a carico di due anni (non portatore di handicap) e un reddito complessivo IRPEF di 30.000 euro, vedrà “salire” la propria detrazione da 615,79 a 738,95 euro; qualora il reddito fosse di 70.000 euro, la detrazione passa invece da 236,84 a 284,21 euro.
Considerando invece due figli a carico, con due e cinque anni di età, non portatori di handicap, si avrà che:
- con un reddito di 30.000 euro, le detrazioni spettanti aumentano da 1.236,36 a 1.498,18 euro;
- con un reddito di 70.000 euro, le detrazioni passano invece da 618,18 a 749,09 euro.
Resta fermo che, qualora il figlio non risulti a carico per l’intero anno, la detrazione vaparametrata ai mesi in cui risulta a carico.
Nulla cambia, inoltre, in relazione alle condizioni previste per poter usufruire delle detrazioni. È infatti sufficiente che ciascun figlio non sia titolare di un reddito complessivo IRPEFsuperiore a 2.840,51 euro (al lordo degli oneri deducibili), a prescindere dalla sua età, dal fatto che sia dedito agli studi o a tirocinio gratuito e dalla circostanza che conviva con i genitori (il figlio a carico può anche risiedere all’estero).
Come regola generale, il suddetto limite di 2.840,51 euro comprende solo i redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo IRPEF, soggetto a tassazione ordinaria, con esclusione quindi dei redditi esenti, dei redditi soggetti a tassazione separata, di quelli assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva; anche in tale caso, bisogna però tenere conto dei redditi dei fabbricati assoggettati alla “cedolare secca sulle locazioni”.
Confermate anche tutte le attuali regole in materia di ripartizione tra i genitori della detrazione spettante per i figli a carico.
In particolare, in caso di genitori non legalmente ed effettivamente separati, la detrazione spettante deve essere ripartita al 50% tra gli stessi, salva la possibilità di attribuirla interamente al genitore che possiede un reddito complessivo di ammontare più elevato; tale “trasferimento” può essere opportuno nel caso di un genitore con un reddito basso, che potrebbe avere un’IRPEF lorda non sufficiente ad “assorbire” la propria quota di detrazione, ma comporta comunque la perdita, a livello familiare, di una parte della detrazione effettivamente spettante, in quanto l’intera detrazione “teorica” per ogni figlio viene parametrata al maggior reddito dell’altro genitore.
In caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione deglieffetti civili del matrimonio (divorzio), la detrazione d’imposta spetta al genitore affidatario, salvo un diverso accordo che stabilisca la ripartizione della detrazione nella misura del 50% ovvero attribuisca l’intera detrazione al genitore che ha il reddito più elevato.
Nel caso di affidamento congiunto o condiviso, la detrazione è ripartita tra i genitori nella misura del 50%, salvo un diverso accordo che attribuisca l’intera detrazione al genitore che ha il reddito più elevato.
Infine, si segnala che nessun incremento è invece previsto per l’ulteriore detrazione di 1.200 euro, prevista a favore dei genitori con almeno quattro figli a carico.

martedì 13 novembre 2012

Dichiarazione Imu: i profili sanzionatori per le violazioni commesse


La dichiarazione infedele - È ritenuta “infedele” una dichiarazione che, seppur presentata entro la scadenza corretta, contiene dati non corrispondenti a quelli reali. È tuttavia necessario differenziare la violazione, a seconda che gli errori contenuti nella dichiarazione infedele presentata dal contribuente, incidano o meno sulla determinazione del tributo. Infatti, se l’errore contenuto nella dichiarazione IMU:
- incide sulla determinazione dell’imposta, tale violazione è punita con una sanzione amministrativa in percentuale, compresa tra il 50 e il 100% della maggiore imposta dovuta (art. 14, comma 2 del D.Lgs. n. 504/1992);
- non incide sulla determinazione dell’imposta, la violazione è punita con una sanzione fissa, compresa tra € 51,00 e € 258,00 (art. 14, comma 3 del D.Lgs. n. 504/1992).
Si ricorda a tal proposito la recente Sentenza n.44/30/12 della CTR Lombardia, la quale ha chiarito che se il contribuente, nel presentare la dichiarazione Ici, commette un errore, indicando un immobile in una categoria catastale diversa da quella reale, la violazione contestabile dall’ufficio è quella di dichiarazione infedele e non quella più grave di omissione dell'obbligo dichiarativo. Nella dichiarazione Ici la società aveva, infatti, denunciato il possesso di due immobili censiti nella categoria catastale C/3; l'ente locale aveva notificato nel 2002 e 2003 gli avvisi di accertamento contestando l'omessa dichiarazione Ici dell'unità immobiliare appartenente alla categoria catastale D/7. La CTR rileva che il caso in esame riguarda certamente un’ipotesi di dichiarazione Ici infedele e non di omessa dichiarazione.

L’omessa dichiarazione - Una dichiarazione IMU è da considerarsi omessa se inoltrata agli uffici competenti oltre 90 giorni dal termine ordinario per la presentazione.
L’omessa presentazione della dichiarazione IMU è punita con la sanzione percentuale che dal 100 al 200% del tributo dovuto, con un minimo di € 51,00 (art. 14, comma 1 del D.Lgs. n. 504/1992).

Mancata esibizione o trasmissione di documenti - La mancata esibizione o trasmissione agli organi accertatori di atti e documenti, utili ai fini dell’attività di accertamento, è punita con la sanzione fissa che va da € 51,00 a € 258,00 (art. 14, comma 3 del D.Lgs. n. 504/1992).
Identica sanzione è inoltre applicabile nel caso di mancata restituzione ovvero mancata o infedele compilazione di questionari ricevuti dagli organi di controllo. Va ricordato che a questa violazione non è applicabile l’istituto del ravvedimento operoso.

Violazioni puramente formali - Il D.Lgs. n. 32/2001, intervenendo sull’art. 6 del D.Lgs. n. 472/1997, ha disposto che nel caso di violazioni puramente formali, vale a dire quelle che non ostacolano l’attività di controllo e non sono collegate a un minor versamento d’imposta; non possono essere applicate sanzioni. Tale principio si ritiene sia applicabile anche in materia di IMU (così come lo era in materia di ICI).
Infatti, nonostante il menzionato Decreto non intervenga direttamente sulla disciplina delle sanzioni in ambito di finanza locale, sembra corretta l’estensione a tale imposta delle modificazioni apportate all’art. 6, D.Lgs. n. 472/97 relativamente alle cause di non punibilità, dato che l’art. 16, D.Lgs. n 473/97 recita: “alle violazioni in materia di tributi locali si applica la disciplina generale sulle sanzioni amministrative per le violazioni tributarie […]”. 
Tale orientamento è inoltre confermato dall’articolo 10, comma 3 della Legge n. 212/2000, che prevede la non punibilità dell’errore commesso dal contribuente “quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta”.
Autore: Carla De Luca

lunedì 12 novembre 2012

Bonus ristrutturazione: l’iter da seguire


È importante la tracciabilità del pagamento eseguito con bonifico

Il beneficio dei bonus ristrutturazioni - Per i bonus del 55 e del 36-50% i tetti massimi di spesa o di detrazione si applicano ad ogni opera eseguita su un fabbricato, quindi è possibile beneficiare della detrazione per intero per le opere eseguite su due diversi immobili di proprietà (una prima casa e una casa di villeggiatura), oppure cumulare le detrazioni da imputare alle opere condominiali con quelle che riguardano un singolo appartamento del condominio o infine cumulare due detrazioni su uno stesso immobile quando riguardino insiemi di opere eseguite in tempi diversi con diverse prassi autorizzative.

La rateizzazione – La detrazione del 36-50% e quella del 55% si recuperano, per le spese affrontate dal 2012 in poi, sempre e comunque in 10 rate di uguale importo e non vi sono più le rateizzazioni agevolate per alcune categorie di contribuenti, in 5 o 3 rate previste fino al 2011, solo per il 36%.

Spese effettivamente sostenute – Per il beneficio contano le spese effettivamente sostenute, e il diritto al detrazione non si può passare a un familiare. Non può beneficiare della detrazione neanche il condomino moroso, anche se il condominio ha anticipato la sua quota. Tra le spese che rientrano nel diritto alla detrazione vi è l'Iva sulle spese, le spese per la progettazione, l'acquisto dei materiali, l'esecuzione dei lavori, la relazione di conformità per gli impianti, l'eventuale certificazione energetica e la documentazione obbligatoria di sicurezza statica dei fabbricati, le perizie e i sopralluoghi, le spese per le concessioni, le autorizzazioni, i permessi di costruire, i bolli relativi alla documentazione, gli oneri di urbanizzazione, la tassa per l'occupazione di spazi pubblici, e qualsiasi altra prestazione professionale connessa.

Spese per l’amministratore – Non è molto chiaro se rientrino tra le spese detraibili gli eventuali onorari extra, pagati all'amministratore condominiale per l'assistenza ai lavori e la preparazione della documentazione. In particolare, c’è chi afferma che si tratta sempre di prestazione professionale, e chi afferma (la maggioranza) che l’opera dell'amministratore ha un compito che non è connesso direttamente alle opere di ristrutturazione, quindi non rientrerebbe nelle spese agevolabili.

Acquisto diretto del materiale 
- L'acquisto diretto di materiale da parte di chi ristruttura, anche se non incluso nelle fatture della ditta edile, è comunque agevolato, purché i pagamenti siano eseguiti con bonifico. Viceversa non sono detraibili gli interessi passivi pagati per mutui (anche se volti alla ristrutturazione) e le relative spese accessorie, anche fiscali.

Obbligo del bonifico – Risulta ormai chiaro, oltre che fondamentale, l'obbligo del pagamento con i bonifici che contengono i dati richiesti dalla legge. Va utilizzato il modulo che banche e poste predispongono allo scopo, e non quello ordinario, ma alcuni istituti consentono di effettuare questi bonifici anche online. Le informazioni essenziali sono: la causale, il codice fiscale di chi effettua il pagamento e la partita Iva (o il codice fiscale) di chi lo riceve. Non vi è l’obbligo del bonifico per i pagamenti effettuati alle amministrazioni pubbliche relativamente agli oneri di urbanizzazione, per l'imposta di bollo e per i diritti pagati per i permessi di costruire e per le ri

venerdì 9 novembre 2012

Bonus fiscali: le detrazioni anche per i familiari


La convivenza del familiare è un titolo idoneo per la detenzione dell’immobile

I soggetti beneficiari - I soggetti privati (persone fisiche) che possono beneficiare della detrazione del 36 - 50% relativamente alle ristrutturazioni edilizie è abbastanza ampia, si va dal proprietario, all’usufruttario, all’inquilino, al socio di cooperativa. Possono beneficiare dell’agevolazione anche il familiare convivente e il promissario acquirente con il preliminare registrato. I contribuenti che possono usufruire della detrazione Irpef del 36-50%, tuttavia devono essere contemporaneamente, i soggetti che hanno sostenuto le spese oggetto dell’agevolazione, queste devono restare effettivamente a loro carico, devono essere soggetti passivi dell'Irpef, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, devono possedere o detenere, sulla base di un titolo idoneo, l'immobile sul quale sono effettuati gli interventi.

Requisito del possesso - Beneficiano dell'agevolazione il proprietario, il nudo proprietario o il titolare di un diritto reale sull'immobile (uso, usufrutto, abitazione), l'inquilino, il comodatario, il socio di cooperative non a proprietà indivisa, l'assegnatario di alloggio anche se non ancora titolare di mutuo individuale (possessore) e quello di cooperative a proprietà indivisa, assegnatario di alloggi (detentore).

Familiari conviventi -
 Per familiare si intende il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Secondo l’Agenzia delle Entrate, è titolo idoneo alla detenzione dell'immobile anche la “situazione di convivenza” di colui che sostiene le spese con il familiare che è possessore o detentore dell'immobile sul quale vengono effettuati i lavori. Dopo tale orientamento, la detrazione Irpef sulle ristrutturazioni edilizie spetta anche ai familiari conviventi del proprietario o del titolare di un diritto reale sull'immobile oggetto dell'intervento, dell'inquilino o del comodatario, se, i sopra evidenziati soggetti sostengano le spese dell'intervento (quinti fattura ad essi intestata e pagamento tramite bonifico), e siano conviventi già dal momento in cui si attiva la procedura finalizzata all'esercizio della detrazione, che ora corrisponde al momento in cui iniziano i lavori, come accade per il 55%.

Non abitazione principale – Nei casi di convivenza, non è necessario che l'immobile oggetto degli interventi di ristrutturazione sia l'abitazione principale dell'intestatario dell'immobile e del familiare convivente, ma è necessario che i lavori stessi siano effettuati su una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di convivenza.

Intestazioni delle autorizzazioni – Per quanto riguarda le autorizzazioni comunali, non è rilevante il fatto che le stesse siano intestate al proprietario dell'immobile e non al familiare convivente che effettua le spese.

Presenza di un preliminare registrato – Con il contratto preliminare di compravendita registrato, il promissario acquirente ha il titolo idoneo per poter essere considerato detentore dell'immobile. La circolare ministeriale 11 maggio 1998, n. 121/E, ha previsto che in caso di stipula di un preliminare di compravendita dell'unità immobiliare, regolarmente registrato, il promissario acquirente, che già possiede l'abitazione, può beneficiare della detrazione Irpef sui lavori che vengono effettuati.
Autore: Redazione Fiscal Focus

IMU e casi particolari


Immobile adibito ad abitazione principale e locato parzialmente - L’immobile ricavato da una porzione della propria abitazione principale, concesso in locazione, non fa venire meno i benefici fiscali previsti per tale abitazione.
Ai fini della compilazione del dichiarativo, nel quadro RB di Unico PF, nella colonna 2 (Utilizzo) va indicato il codice 1 e vanno compilate le colonne 5 (Codice canone) e 6 (Canone di locazione).
La locazione può essere oggetto di opzione per l’applicazione della c.d. tassa piatta o cedolare secca e nel modello di registrazione da presentare all’Agenzia delle Entrate (modello 69 o Siria) va indicato nello spazio riservato ai “dati degli immobili” la lettera P per segnalare che si tratta di “porzione di immobile”.
Ai fini dell’Imu, come per l’Irpef, le agevolazioni vengono confermate, a condizione che il soggetto passivo rispetti i requisiti fattuali richiesti dall’art.13 comma 2 del D.L. n.201/2011, convertito dalla Legge 214/2011, ovvero dimori abitualmente e risieda anagraficamente nell’abitazione oggetto di locazione parziale.
Le agevolazioni Imu (aliquota ridotta e detrazione) spettano perché sussistono i requisiti richiamati dalla norma, a nulla rilevando la circostanza che parte della casa sia concessa in locazione, come chiarito dal MEF in tema di ICI nella Risoluzione 19 novembre 1993 protocollo 2/723.
In linea generale tale situazione non va comunicata nella Dichiarazione IMU, trattandosi di abitazione principale, con le eccezioni del caso.

Immobile acquisito all’asta - Nel caso di acquisto di un fabbricato tramite asta giudiziaria, la tassazione ai fini Imu dello stesso in capo all’acquirente deve decorrere presumibilmente dalla data del decreto di trasferimento dell’immobile.
Con riferimento alla data di presentazione della Dichiarazione IMU, va detto che l’articolo 9, comma 3, lettera b), del D.L. 174/2012, nel modificare il comma 12-ter dell’articolo 13 del D.L. 201/2011 (convertito dalla Legge 214/2011), ha fissato al 30 novembre 2012 il termine per la presentazione della dichiarazione Imu per gli immobili per i quali l’obbligo dichiarativo è sorto dal 1° gennaio 2012 (Circolare 3/DF del 18 maggio 2012, paragrafo 11).
Successivamente, e nello specifico venerdì 2 novembre 2012 è stato approvato alla Camera l'emendamento che rinvia i termini per la dichiarazione Imu. Il testo non è molto preciso, ma sembra confermare la regola generale dei 90 giorni. In pratica, la scadenza è doppia:
per gli immobili per i quali l'obbligo dichiarativo è sorto nel 2012, per esempio nel caso di un'area edificabile acquistata a febbraio o marzo di quest'anno, la dichiarazione andrà presentata entro 90 giorni dalla pubblicazione dei modelli in “Gazzetta Ufficiale”. Dal momento che il provvedimento con istruzioni e modelli è già stato pubblicato lo scorso 6 novembre 2012, la scadenza è fissata al 4 febbraio 2013;
- questo termine non riguarda, invece, i proprietari che hanno visto l'obbligo di dichiarazione dopo la pubblicazione dei modelli. Se l’immobile fosse stato acquisito il 10 gennaio 2013, il termine per la dichiarazione avrebbe dovuto continuare a seguire la regola generale dei 90 giorni, scadendo il 10 di aprile 2013.

Tuttavia, si segnala che le istruzioni approvate con D.M. del 30 ottobre 2012 e le istruzioni e modello Ici approvati con D.M. 12 maggio 2009, per la compilazione della dichiarazione non indicano, tra le fattispecie per le quali scatta l’obbligo dichiarativo, gli immobili “oggetto di vendita all’asta giudiziaria”.
Da ciò si potrebbe presumere che il contribuente non sia tenuto a presentare la dichiarazione Imu al Comune competente per comunicare l’acquisto dell’immobile in sede di asta giudiziaria.
Autore: Carla De Luca

mercoledì 7 novembre 2012

IMU:la dichiarazione al 4 febbraio 2013


La questione della proroga della scadenza per la presentazione della dichiarazione IMU ha ormai assunto dei toni quasi ironici: gli emendamenti presentati, durante la bagarre elettorale, al D.L. enti locali n. 174/2012 sono ormai arrivati a quota tre.
La nuova scadenza, che dovrebbe trovare spazio in un maxi emendamento governativo, per le variazioni avvenute nel 2012, è quella che prevede la presentazione entro 90 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del D.M. di approvazione del modello e delle istruzioni, avvenuta lo scorso 5 novembre 2012.

Le scadenze - A oggi, dunque, e sottolineiamo a oggi, il modello va presentato entro il prossimo 4 febbraio 2013 (dato che il 3 febbraio è festivo).
Va, tuttavia, fatta una distinzione tra:
gli immobili per i quali l'obbligo dichiarativo è sorto nel 2012, per i quali la dichiarazione andrà presentata entro la menzionata scadenza del 4 febbraio 2013 (entro 90 giorni dalla pubblicazione dei modelli in “Gazzetta Ufficiale”);
gli immobili di proprietari che hanno maturato l'obbligo dichiarativo dopo la pubblicazione dei modelli (dopo il 5 novembre 2012), che continuano a seguire la regola generale dei 90 giorni: se il fabbricato viene acquistato il 10 gennaio 2013, il termine per la dichiarazione dovrà continuare a seguire la regola generale dei 90 giorni, scadendo in questo caso il 10 di aprile 2013.
Una conferma di tali scadenze è quanto mai opportuna.

La compilazione del modello - Se la scadenza della dichiarazione Imu è un rebus, la vera questione si pone circa la compilazione, data la casistica estremamente varia e complessa delle situazioni considerate soggette alla comunicazione.

Casi oggetto di dichiarazione – L’acquisto di un’area fabbricabile, il mutamento da terreno agricolo ad area fabbricabile, l’inizio o la cessazione del diritto all'esenzione Imu, il possesso di immobili locati, d'impresa o appartenenti a soggetti Ires per i quali il Comune ha deliberato un'aliquota ridotta (per i fabbricati locati solo se il contratto è stato registrato prima del 1° luglio 2010), i beni merce delle imprese costruttrici per i quali il Comune ha deciso un'aliquota sino allo 0,38 per cento, i fabbricati d'interesse storico artistico, i fabbricati inagibili o inabitabili per i quali è cessato il diritto alla riduzione dell'imponibile, i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti e Iap, la riunione di usufrutto non iscritta in catasto, la nascita o la cessazione dell'usufrutto legale, l’area edificabile posseduta e condotta da un coltivatore diretto o da un soggetto Iap e gli immobili esenti degli enti non commerciali sono tutti casi in cui il modello va presentato.

Casi di esonero – In linea generale l’abitazione principale e relative pertinenze non sono soggette a dichiarazione, così come l’ex casa coniugale assegnata in sede di separazione o divorzio, con la sola eccezione della casa ubicata in un comune diverso da quello di celebrazione del matrimonio o di nascita dell'assegnatario, l’acquisto di immobile transitato dal MUI (Modello unico informatico), l’immobile oggetto di uno specifico obbligo di comunicazione deliberato dal Comune ai fini dell'applicazione dell'aliquota ridotta, gli immobili detenuti in leasing già denunciati ai fini Ici, i fabbricati rurali strumentali, le variazioni catastali denunciate agli uffici del Territorio, il terreno agricolo posseduto da privato in comune montano.

Casi poco chiari – Non è ancora chiaro se debba essere presentata la dichiarazione per gli immobili in concessione su beni demaniali, già dichiarati ai fini Ici e per gli immobili istituzionali di enti pubblici.
Tali dubbi sono causati più da un coordinamento testuale che potrebbe essere corretto da una circolare delle Entrate: tali beni non sono, infatti, esplicitamente indicati tra quelli da non dichiarare, nonostante la loro esenzione dall’imposta.
Ma l’incognita più grande è legata all'individuazione di quei casi in cui l’obbligo è lasciato alla determinazione degli enti locali: cioè l'obbligo di segnalare le situazioni che beneficiano di aliquote agevolate, tranne che per i casi in cui i Comuni stessi prevedano comunicazioni specifiche.
In queste situazioni, quindi, il contribuente dovrà verificare la delibera comunale presente sul sito web istituzionale dell’ente, ad esempio nei casi in cui il possesso sia relativo a negozi, capannoni, centri commerciali e abitazioni date in locazione potenzialmente agevolabili: l'aliquota può essere ridotta fino al 4 per mille.
L'obbligo dichiarativo scatta in tutti i casi in cui il Comune preveda un'aliquota speciale, inferiore a quella “ordinaria”, decisa per gli altri immobili diversi dall'abitazione principale. 
Quindi se il consiglio comunale decide il 10 per mille come aliquota “ordinaria” e il 9 per mille nel caso di abitazione locate, i proprietari dovranno presentare la dichiarazione IMU.
Attendiamo gli opportuni chiarimenti.
Autore: Carla De Luca

lunedì 5 novembre 2012

Deducibilità piena per l’auto strumentale


La forzatura del concetto di strumentalità porta a considerare tali solo quei veicoli senza i quali l’attività non può essere esercitata

Premessa – Vanno considerati veicoli “strumentali” solamente quelli “senza i quali l'attività stessa non può essere esercitata”. Solo tali veicoli e quelli a uso pubblico godono della deducibilità piena.

Deducibilità piena - L’art. 164, comma 1, lett. a) del Tuir prevede la completa deducibilità fiscale delle spese e degli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore utilizzati nell'esercizio di imprese, arti e professioni destinati a essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa. Sono inoltre interamente deducibili i veicoli adibiti a uso pubblico.

Modalità di acquisto
 - La deducibilità totale del costo dei mezzi che rientrano nelle categorie appena citate vale in caso di acquisto del mezzo di trasporto, in caso di leasing e, infine, in caso di noleggio. Pertanto, a prescindere dal modo in cui l’azienda possiede il bene, se si tratta di un mezzo di trasporto che rientra in una delle ipotesi disciplinate dall’art. 164, comma 1, lett. a), del Tuir, la deducibilità dei costi inerenti il veicolo medesimo era ed è pari al 100%.

Auto strumentale – Circa il concetto di strumentalità, l’Amministrazione Finanziaria è intervenuta forzando in modo del tutto sproporzionato tale nozione. In particolare nelle CC.MM. 13 febbraio 1997, n. 37/E e 10 febbraio 1998, n. 48/E, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che vanno considerati quali veicoli “utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa” quelli “senza i quali l'attività stessa non può essere esercitata”, come, ad esempio, le autovetture possedute dalle imprese di noleggio. Tale interpretazione è stata ribadita anche nelle CC.MM. 19 gennaio 2007, n. 1/E e 16 febbraio 2007, n. 11/E.

Limitazione - Tale interpretazione è stata fortemente criticata, in quanto non consente l'integrale deducibilità delle spese relative a veicoli il cui utilizzo ha, comunque, un collegamento, seppure non diretto, con la produzione dei ricavi. Infatti, circoscrivendo, ai fini della strumentalità, il concetto di “utilizzo” ai soli casi in cui il conseguimento dei ricavi caratteristici dell'impresa dipenda direttamente dall'impiego del veicolo, si esclude la possibilità di dedurre tutti quei costi inerenti a un veicolo che, seppur indirettamente, è comunque necessario per lo svolgimento di alcune fasi della produzione o della commercializzazione di beni o servizi.

Irrilevanza di altre fattispecie – L’indeducibilità dei costi relativi ai veicoli utilizzati per visitare i clienti è stata, peraltro, affermata dall'Agenzia delle Entrate nella R.M. 23 marzo 2007, n. 59/E, nella quale è stata sostenuta l'irrilevanza delle concrete modalità di organizzazione dell'attività dell'impresa addotte a giustificazione della necessità dell'utilizzo dei veicoli, quali l'assenza di locali destinati alla vendita, l'effettuazione delle prestazioni di vendita in forza di mandati di agenzia e l'utilizzo delle autovetture da parte del personale dipendente esclusivamente per svolgere le dette prestazioni di vendita. Nella C.M. 12 giugno 2002, n. 50/E è stato altresì chiarito che non sussiste il requisito della strumentalità nell’attività propria dell'impresa nel caso di autovetture, allestite all'esterno con messaggi pubblicitari e marchi d'impresa e utilizzate da una società operanti nel campo della mediazione immobiliare.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 2 novembre 2012

Il funzionamento del nuovo Redditometro


Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, in occasione di un’audizione tenutasi lo scorso 31 ottobre 2012 presso la Commissione Parlamentare di Vigilanza sull’Anagrafe tributaria, aggiorna su alcuni temi di scottante attualità, tra i quali spicca per importanza l’utilizzo dei dati dell’Anagrafe tributaria per il funzionamento del nuovo redditometro.

Lo strumento – Il nuovo redditometro è il risultato dell’ innovazione introdotta in materia di accertamento sintetico, elaborato al fine di rendere più efficiente la ricostruzione sintetica del reddito del contribuente da parte dell’amministrazione finanziaria, e tener conto del mutato contesto socio-economico.
L’Agenzia, spiega Befera, in una fase preventiva di analisi dei dati provenienti dalle dichiarazioni dei redditi e da altre fonti informative dell’Anagrafe tributaria, spiegherà la sua azione su un campione significativo di contribuenti (50 milioni di soggetti distribuiti su 22 milioni di famiglie).
L’amministrazione finanziaria, in collaborazione con la società Sose, ha individuato un modello di variabili di spesa, in relazione alla tipologia di nucleo familiare e all’area territoriale di appartenenza.
In particolare ha individuato 100 voci di spesa che contemplano i diversi aspetti della vita quotidiana di un contribuente (includendo gli incrementi patrimoniali effettuati al netto dei disinvestimenti e spese comuni come gli alimentari, abbigliamento, calzature, ecc., che normalmente sostiene una famiglia del tipo previsto, che vive in una determinata area geografica), mentre il vecchio redditometro, disciplinato dal DM 10 settembre 1992, ancora applicabile agli accertamenti sintetici relativi agli anni d’imposta fino al 2008, valorizzava beni di riferimento ormai obsoleti.

Le voci di spesa rilevanti-
 Le voci di spesa oggi individuate sono riconducibili a sette categorie: abitazione, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, investimenti immobiliari e mobiliari netti e altre spese significative.
Il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di futura pubblicazione, che stabilirà le modalità utili per la determinazione sintetica del reddito complessivo del contribuente, sarà incentrato prevalentemente:
‐ sulle spese presenti in Anagrafe tributaria;
‐ sulle spese stimate il cui valore è ottenuto applicando una valorizzazione a dati certi;
‐ in via residuale sulla spesa media Istat che fotografa le spese medie di tipo corrente (alimentari, abbigliamento, calzature, etc.) sostenute da ogni tipologia di famiglia che vive in una determinata area geografica.

Serpico: i dati a disposizione del fisco – Secondo Befera, con il nuovo strumento viene valorizzato adeguatamente il patrimonio informativo di cui già dispone l’Agenzia, implementato con i dati provenienti dallo “spesometro” e con i movimenti bancari, collegando a dati certi il necessario confronto con il contribuente e riducendo al minimo l’incidenza delle presunzioni. 
Questo è naturalmente da dimostrare, dato il riferimento alla spesa media Istat.

Il contraddittorio necessario 
– La novità più rilevante che caratterizza il nuovo redditometro è sicuramente l’introduzione del “contraddittorio necessario”.
Il contribuente viene chiamato a fornire all’amministrazione dati e notizie rilevanti per la ricostruzione sintetica del reddito, prima dell’avvio di un procedimento di accertamento con adesione vero e proprio, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 218/97.

Il software: con il verde sei coerente e con il rosso incoerente –
 L’Agenzia, in collaborazione con la Sose, ha realizzato un software di autodiagnosi stand-alone denominato Redditest, che sarà reso disponibile a breve, per consentire in autonomia una preventiva verifica della coerenza tra il reddito prodotto dal nucleo familiare e le spese sostenute nell’anno (si ricorda che sarà applicato già dall’anno d’imposta 2009).
I dati inseriti, specifica Befera, rimangono noti solo al contribuente e non ne rimane alcuna traccia sul web.
Nel calcolo del Redditest, a ciascun dato inserito, è attribuito un coefficiente che misura la relazione tra l’elemento di spesa conosciuto e il reddito complessivo, assorbendo anche la relazione tra altri elementi non conosciuti, ma correlati con quello noto, e il reddito stesso.
Il risultato che apparirà darà un risultato verde di coerenza o rosso di incoerenza.
Tale strumento di autodiagnosi consentirà al contribuente di verificare per gli anni 2009-2010-2011 e preventivamente per il 2012 la “coerenza” tra il reddito familiare, rispetto alla capacità di spesa manifestata nell’anno di riferimento.
Autore: Redazione Fiscal Focus