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lunedì 31 marzo 2014

Cedolare secca e bonus mobili: al via le novità

Entra in vigore sabato 29 marzo il tanto atteso “Decreto emergenza abitativa” (Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47), portando con sé buone speranze ma anche forti dubbi. 


È stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.73 del 28.3.2014 il Decreto volto a favorire l’edilizia sociale, a garantire una maggior offerta di alloggi popolari e a promuovere gli affitti concordati.

Un Decreto che si è fatto sicuramente attendere, in quanto risale al 12 marzo scorso l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri. Un lasso di tempo, questo, necessario per le verifiche di costituzionalità e di copertura economica: verifiche a seguito delle quali, purtroppo, il bonus mobili non ne è uscito indenne.

Ma entriamo nel merito della disposizione, analizzando le più importanti novità.

Cedolare secca al 10% per gli affitti concordati - La novità più rilevante riguarda l’abbattimento di aliquota per la cedolare secca che, dopo essere stata già ridotta dal 19 al 15% per il 2013, passa al 10% per tutto l’anno 2014.
Sebbene, infatti, l’entrata in vigore del decreto sia fissata, come detto, per il 29 marzo, la disposizione avrà i suoi effetti sin dal 1° gennaio 2014, rendendo estremamente conveniente questa nuova forma di tassazione.

Attenzione, dunque, quest’anno, agli opportuni calcoli di convenienza. Con l’aliquota imponibile pari al 95% per i canoni soggetti a tassazione ordinaria (in quanto, come noto, è stato ridotto l’abbattimento forfettario dal 2013) la cedolare secca acquista un certo appeal, soprattutto se applicata ai contratti a canone concordato per i Comuni ad alta densità abitativa.

Viene infine confermata la possibilità di applicare la cedolare sulle unità immobiliari abitative locate nei confronti di cooperative o enti senza scopo di lucro se sublocate a studenti universitari con rinuncia all'aggiornamento del canone di locazione o assegnazione.

La deduzione per le imprese - Altra importante forma di deduzione è prevista per le imprese che costruiscono o recuperano alloggi da destinare a edilizia sociale, le quali potranno beneficiare di un abbattimento pari al 40% dei canoni di locazione per le nuove costruzioni, manutenzioni straordinarie e recupero degli alloggi esistenti.
Le imprese non potranno però beneficiare sin da subito di questa nuova forma di deduzione, in quanto sono richiesti i necessari decreti attuativi.

La detrazione per gli inquilini - Come già anticipato nei giorni scorsi, per il triennio 2014 - 2016, ai soggetti titolari di contratti di locazione di alloggi sociali, adibiti ad abitazione principale spetterà una detrazione complessivamente pari a:
a) 900 euro, se il reddito complessivo non supera euro 15.493,71;
b) 450 euro, se il reddito complessivo supera euro 15.493,71 ma non euro 30.987,41.

Le altre misure - Altre importanti misure riguardano il finanziamento di un programma di recupero degli alloggi ex Iacp inagibili (Istituto Autonomo Per Le Case Popolari , ora alloggi di Edilizia residenziale pubblica), nonché contributi a favore delle famiglie con sfratto esecutivo e programmi di alienazione degli alloggi ex Iacp.

Viene inoltre prevista la possibilità di riscattare la casa dopo 7 anni dall’assegnazione per gli inquilini di alloggi sociali e vengono stanziati nuovi fondi per il sostegno all’affitto e per la morosità incolpevole.

Il bonus mobili - Penalizzazioni in vista per il bonus mobili che, oltre alla ormai nota soglia dei 10.000 euro ne acquista un’altra.
Le spese per arredi non potranno difatti superare la spesa sostenuta per i lavori di ristrutturazione.

Mancainfatti all’appello la sperata disposizione che aveva trovato spazio nello schema di decreto, la quale avrebbe scongiurato l’applicazione delle novità previste dalla Legge di stabilità.

Il vero problema, in questo caso, però, riguarda la mancata previsione della data a decorrere della quale il limite dovrebbe essere valido.
Pare ovvio ritenere che il nuovo limite possa essere applicato solo alle spese sostenute a partire dal 1° gennaio 2014: diventa quindi rilevante la data di effettuazione del bonifico o quella di utilizzo della carta di debito o credito.

È infatti da rilevare come il nuovo limite fosse stato introdotto dalla Legge di stabilità 2014 (entrata in vigore proprio il 1° gennaio), sebbene sia stato poi cancellata dal decreto Salva Roma-bis, lasciato decadere dal Governo Renzi.

Quindi, a rigor di logica, dovrebbe essere necessario ritornare alla data prevista dalla Legge di stabilità e considerare la stessa come data di decorrenza della nuova disposizione.

Desterebbe invece notevoli perplessità l’applicazione del limite anche alle spese per il 2013, in quanto le istruzioni dei modelli dichiarativi non riportano in alcun modo tale precisazione.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 28 marzo 2014

RATEAZIONE SOMME ISCRITTE A RUOLO


  • Quesito
    • L’art. 52, c. 1, lett. a), n. 2) D.L. n. 69/2013 ha innalzato (da 2 a 8) il numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione. Tale norma è applicabile anche ai piani di rateizzazione già in essere alla data di entrata in vigore del decreto (22.06.2013)?
  • Risposta
    • Si premette, con riferimento alla rateazione delle somme iscritte a ruolo, che se il debitore si trova, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la rateazione può essere aumentata fino a 120 rate mensili. L’art. 4 D.M. 6.11.2013 ha previsto che i piani di rateazione già accordati alla data di entrata in vigore della modifica normativa possono, su richiesta del debitore e in presenza delle condizioni di cui all'art. 3, essere aumentati fino a 120 rate. Ciò premesso, lo stesso principio può essere applicato, in via interpretativa, con riferimento alla disposizione che ha innalzato da 2 a 8 il numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione. Pertanto, l’art. 19, c. 3 Dpr n. 602/1973, come modificato dal D.L. n. 69/2013, è applicabile anche i piani di rateizzazione già in essere (e non decaduti al 22.06.2013).

giovedì 27 marzo 2014

Iscrizione telematica al VIES

Comunicato stampa Agenzia delle Entrate

Semplificate le modalità d’iscrizione al VIES (Vat information exchange system). È bene premettere che l’inclusione nell’archivio Vies è condizione necessaria, per coloro che esercitano attività di impresa, arte o professione nel territorio dello Stato (o vi istituiscono una stabile organizzazione), per poter effettuare operazioni intracomunitarie (articolo 27, D.L. 78/2010).

La richiesta può essere effettuata direttamente nella dichiarazione di inizio attività oppure, successivamente, inviando un’istanza all’ufficio o, è questa la novità, un’istanza telematica in modalità diretta.

Con il comunicato stampa diffuso ieri, l’Amministrazione Finanziaria ha reso noto che è attivo il nuovo servizio che consente ai soggetti già titolari di partita Iva, abilitati a Fisconline o Entratel, di richiedere direttamente in via telematica la propria iscrizione nell’archivio VIES. L’adozione della modalità telematica d’iscrizione al VIES è finalizzata alla semplificazione degli adempimenti per gli operatori del settore.

La nuova modalità telematica d’iscrizione al VIES si affianca alla modalità tradizionale che prevede che i contribuenti già in possesso di partita Iva, per essere iscritti nell’archivio Vies, devono necessariamente presentare l’apposita istanza - a mano, con raccomandata o via Posta elettronica certificata (Pec) – all’ufficio.

L’adempimento viene semplificato oltreché nella forma anche nella sostanza.

Infatti, utilizzando il nuovo servizio online basta indicare nel campo dedicato la propria partita Iva, “candidata” a entrare nell’elenco Vies. Per avvalersi di questa nuova opportunità è necessario essere abilitati a Fisconline o Entratel.

Alla richiesta effettuata dal contribuente, seguirà apposita procedura di controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Più in dettaglio, entro 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione di volontà a porre in essere operazioni intracomunitarie, l’Agenzia effettua le analisi propedeutiche all’inserimento della posizione nel Vies. Il soggetto interessato può verificare l’avvenuta inclusione della propria posizione nell’archivio Vies utilizzando il servizio di verifica online.

Nel comunicato stampa diffuso ieri dall’Amministrazione Finanziaria si confermano le regole generali per l’inclusione negli archivi VIES. Vale il silenzio – assenso, ovvero se dall’analisi preliminare non emergono elementi di rischio di finalità evasive o di frode, il soggetto viene automaticamente incluso nell’archivio il trentunesimo giorno successivo a quello della attribuzione della partita Iva o della ricezione dell’istanza. In caso contrario, l’ufficio emette un provvedimento motivato di diniego, che preclude l’inserimento nel Vies, entro 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione di volontà a porre in essere operazioni intracomunitarie.

Successivamente all’inserimento nel Vies, ed entro sei mesi dalla ricezione della dichiarazione di inizio attività o dell’istanza, l’ufficio effettua specifici approfondimenti, a completare l’analisi svolta nei primi 30 giorni. Ove identifichi specifici profili di rischio, l’ufficio emette un provvedimento di revoca dell’inclusione del contribuente nell’archivio.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 24 marzo 2014

Start Up innovativa. In G.U. il DM che disciplina le agevolazioni

Sconti fiscali a favore di soggetti passivi Irpef o Ires che effettuano gli investimenti agevolati

Agevolazioni alle start up - È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 di giovedì 20 marzo, il decreto del Ministero dell'Economia (D.M. 30 gennaio 2014) che sancisce la piena operatività degli incentivi fiscali a favore degli investitori nelle “start up innovative” previste dal D.L. 179/2012. Le agevolazioni si concretizzano in un risparmio di imposta a favore dei soggetti passivi Irpef e soggetti passivi Ires che effettuano un investimento agevolato. Il decreto definisce i soggetti interessati, gli investimenti agevolabili, le agevolazioni fiscali, nonché le ipotesi di decadenza.

Investimento agevolato – Il decreto ministeriale dà la nozione di "investimento agevolato". In particolare, le agevolazioni si applicano ai conferimenti in denaro iscritti alla voce del capitale sociale e della riserva da sovrapprezzo azioni o quote delle start-up innovative, o delle società di capitali che investono prevalentemente in start-up innovative, nonché gli investimenti in quote degli OICR. Il beneficio è riconosciuto sia in sede di costituzione di una nuova impresa, sia in ipotesi di incremento del capitale sociale di una già esistente.

Le agevolazioni –
 Le agevolazioni consistono nel riconoscimento, di una detrazione Irpef del 19% dei conferimenti rilevanti effettuati da soggetti Irpef nelle start up innovative, per un importo non superiore a 500.000 euro, e di una deduzione Ires del 20% relativa ai conferimento rilevanti effettuati da soggetti Ires nelle start up innovative per un importo non superiore a 1.800.000 euro. Le percentuali sono elevabili, rispettivamente al 25% e al 27% in presenza di start up a vocazione sociale, o che sviluppano e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico. Le agevolazioni sono applicabili a condizione che l'ammontare complessivo dei conferimenti rilevanti effettuati in ogni periodo d'imposta, non sia superiore a euro 2.500.000 per ciascuna start-up innovativa. Nel decreto sono anche previste, all’articolo 6, le ipotesi di decadenza dalle agevolazioni fiscali.

Cause di esclusione - Chi vuole investire nelle start up deve prestare particolare attenzione al settore di riferimento e allo status finanziario dell’impresa destinataria. Tra le cause di esclusione del beneficio vengono elencate nel decreto, le aziende che operano nel settore delle costruzioni navali, dell'acciaio e del carbone, nonché le imprese in difficoltà ai sensi della normativa comunitaria vigente. La cessione, anche parziale, a titolo oneroso, delle partecipazioni prima del decorso dell'arco temporale minimo richiesto dalla norma (due anni), determina la decadenza dai benefici, stabilendo che lo stesso effetto si produce nel caso di riduzione del capitale, di ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote delle start up o delle società che investono in modo prevalente in esse. Non costituiscono causa di decadenza i trasferimenti a titolo gratuito, o a causa di morte del contribuente, nonché i trasferimento conseguenti a operazioni straordinarie. In questi casi, tranne i trasferimenti a causa di morte, le condizioni previste dal decreto devono essere verificate a decorrere dalla data in cui è stato effettuato l’investimento agevolato.

Il decreto dispone che nel periodo d'imposta in cui si verifica la decadenza dall'agevolazione, l'investitore:
  • se soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, deve incrementare l'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta per tale periodo d'imposta di un ammontare corrispondente alla detrazione effettivamente fruita nei periodi d'imposta precedenti, aumentata degli interessi legali. Il relativo versamento è effettuato entro il termine per il versamento a saldo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche;
  • se soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle società, deve incrementare il reddito di tale periodo d'imposta dell'importo corrispondente all'ammontare che non ha concorso alla formazione del reddito nei periodi d'imposta precedenti.

Entro il termine per il versamento a saldo dell'imposta sul reddito delle società, è dovuto l'importo degli interessi legali da determinare sulla imposta sul reddito delle società non versata per i periodi d'imposta precedenti.

Come beneficiare dell'agevolazione fiscale -
 I beneficiari delle agevolazioni devono dimostrare, con apposita documentazione, che gli investimenti effettuati riguardino società che possiedono e sono in grado di mantenere nel tempo la qualifica di start up innovativa. Le agevolazioni spettano a condizione che gli investitori ricevano e conservino:
  • una certificazione della start-up innovativa che attesti il rispetto del limite di investimento di 2.500.000 euro;
  • una copia del piano di investimento della start-up innovativa, contenente informazioni dettagliate sull'oggetto della prevista attività della medesima start-up innovativa, sui relativi prodotti, nonché sull'andamento, previsto o attuale, delle vendite e dei profitti;
  • per gli investimenti effettuati dalle start up a vocazione sociale, una certificazione rilasciata dalla start-up innovativa attestante l'oggetto della propria attività.
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 20 marzo 2014

Decadenza rateazione: chiarimenti del Fisco

Risoluzione 32/E del 19.03.2014

Il D.L. 69/2013 (“decreto del fare”), modificando l’art. 19 del D.P.R. 602/1973, ha innalzato il numero di rate che fa perdere il beneficio della rateazione.
In particolare, il novellato art. 19, co. 3, D.P.R. 602/1973 innalza da due a otto il numero delle rate non pagate che determina l’annullamento di tale beneficio. Per quanto riguarda il numero di rate che fanno perdere il beneficio della rateazione, rileva il mancato pagamento anche di rate “non consecutive” nel corso dell’intero piano di rateazione.


La questione - In merito alla norma in esame, ci si chiedeva se l’innalzamento (da due a otto) del numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione, di maggior favore per il contribuente, fosse applicabile anche ai piani di rateizzazione già in essere alla data di entrata in vigore del “Decreto Fare”, ossia alla data del 22 giugno 2013.

Nota Equitalia 1° luglio 2013 -
 Sulla questione era intervenuta Equitalia con la Nota del 1° luglio 2013.
Nel richiamato documento, Equitalia estendeva, compatibilmente con la ratio della norma, l’innalzamento (da due a otto) del numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione ai piani di rateizzazione, non decaduti, già in essere alla data di entrata in vigore del “Decreto Fare”, ossia alla data del 22 giugno 2013, auspicando che la stessa fosse estesa anche in presenza di decadenza del beneficio intervenuta a tale data.

R.M. 32/E/2014 - Con la Risoluzione 32/E del 19.03.2014, l’Amministrazione Finanziaria estende l’innalzamento, da due a otto, del numero di rate, che fa perdere il beneficio della rateazione anche ai piani di rateizzazione pendenti - dunque non decaduti - alla data di entrata in vigore del “decreto del fare” ovvero alla data del 22 giugno 2013 (D.L. 69/2013, conv. con mod. L. 98/2013).

Le motivazioni sottostanti una tale interpretazione, favorevole al contribuente, sono individuabili nella ratio di altre disposizione presenti del Decreto del Fare sulla stessa materia.

Infatti, il citato Decreto Fare, con riferimento alla disciplina della rateazione delle somme iscritte a ruolo, ha previsto che, ove il debitore si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la rateazione può essere aumentata fino a centoventi rate mensili. Anche tale disposizione risultava applicabile ai piani di rateazione già accordati alla data di entrata in vigore della modifica normativa.

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate estende l’innalzamento, da due a otto, del numero di rate, che fa perdere il beneficio della rateazione anche ai piani di rateizzazione pendenti, non decaduti, applicando il medesimo principio espresso dal Legislatore sul piano di rateazione straordinario previsto dal “decreto del fare” a favore del contribuente che si trovi “per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica”.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 18 marzo 2014

Redditometro: pronto l'invio delle lettere ai contrbuenti

Premessa – L’Agenzia delle Entrate dopo le nuove istruzioni fornite con la circolare n. 6/E/2014 ha preparato le prime missive da spedire ai contribuenti: la lettera contiene l’elenco delle spese e dei beni “incriminati”, la data e l’ora (prorogabili) fissate per l’incontro e la richiesta di spiegazioni circa l’incongruenza con il reddito dichiarato. 


Circolare 6/E/2014 – L’unico tassello mancante all’avvio del nuovo redditometro era il parere del Garante della Privacy arrivato lo scorso 21 novembre. L’Authority ha sollevato una serie di questioni che sono state accolte dall’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima infatti con la circolare n. 6 dell’11 marzo ha fornito nuove istruzioni operative agli uffici periferici.

Le liste – Ora dunque è tutto pronto affinché le prime lettere possano partire. Dopo la selezione dei contribuenti è da “verificare” l’ulteriore attività istruttoria fatta dagli uffici periferici. La lista dei contribuenti è stata individuata considerando l’entità dello scostamento tra reddito dichiarato e reddito determinabile sinteticamente sulla base di situazioni e fatti certi, nonché sulla concreta disponibilità di beni di cui l’Amministrazione possiede le informazioni relative alle specifiche caratteristiche. In particolare saranno selezionati coloro che presentano scostamenti significativi tra reddito dichiarato e capacità di spesa manifestata, avendo cura di evitare situazioni di marginalità economica e categorie di contribuenti che, sulla base dei dati conosciuti, legittimamente non dichiarano, in tutto o in parte, i redditi conseguiti.

Periodo d’imposta 2009 – Il primo periodo d’imposta all’attenzione del fisco sarà il 2009. L’Agenzia delle Entrate ha più volte ribadito (da ultimo con la circolare n. 24/2013) che “le nuove disposizioni si applicano con riferimento agli accertamenti relativi ai redditi dichiarati per il 2009 e seguenti, superando il previgente impianto normativo, che rimane in vigore per i controlli relativi ai periodi d’imposta precedenti”.

Le lettere - La lettera, firmata dal funzionario che si occuperà della pratica (con relativo recapito), inizia con un “Gentile contribuente” e poi prosegue segnalando che “sulla base dei dati presenti in Anagrafe tributaria, le spese che Lei ha sostenuto nel 2009 risultano apparentemente non compatibili con il reddito dichiarato”. Pertanto il contribuente in questione verrà invitato a presentarsi presso l'ufficio competente dell'Agenzia delle Entrate per un confronto in cui avrà modo di spiegare le presunte incongruità.

La data - Nelle lettere è specificato l’invito a presentarsi. Verosimilmente l'appuntamento sarà fissato circa una settimana dopo il ricevimento della lettera (le eventuali oscillazioni dipenderanno dalla disponibilità dei singoli uffici territoriali). Sul destinatario grava comunque l'obbligo di rispondere a questa prima “chiamata” del fisco: pena una serie di conseguenze spiacevoli e pregiudizievoli della difesa da promuovere successivamente tanto dinanzi all'ufficio, in fase di accertamento con adesione, quanto al giudice tributario, a seguito dell'eventuale ricorso presentato avverso l'atto impositivo.

Prospetto - 
Allegato alla lettera ci sarà un prospetto "personalizzato" che servirà al contribuente per fornire le giustificazioni dell'incompatibilità della spesa sostenuta nel 2009 con il reddito prodotto in quello stesso anno. La prima colonna del prospetto conterrà le spese certe, la seconda quelle basate su dati certi, mentre la terza servirà per le integrazioni o le eventuali modifiche fornite dal contribuente. Un'altra sezione del prospetto consentirà all'interessato di indicare i saldi iniziali e finali dei propri conti correnti bancari e postali o dei conti titoli utilizzando gli estratti conto.

Confronto –
 Con l’arrivo dell’invito a comparire per il contribuente inizia il doppio confronto con l’ufficio delle Entrate. Fin dal primo incontro con l’Amministrazione, infatti, il contribuente può fornire chiarimenti sugli elementi di spesa individuati e sul proprio reddito. Nell’ipotesi in cui il contribuente non si presenti al contraddittorio o gli elementi di incoerenza non vengano risolti, l’ufficio valuterà l’opportunità di utilizzare ulteriori strumenti istruttori, ad esempio le indagini finanziarie o la richiesta di dati e notizie a soggetti terzi che hanno intrattenuto rapporti con il contribuente.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 14 marzo 2014

Eliminato il nuovo limite del bonus mobili

L’unico tetto rimane quello di 10.000 euro

Premessa – La detrazione fiscale al 50% (in 10 anni) per l'acquisto di mobili o elettrodomestici (in classe A+, solo A per i fondi) torna a essere slegata al livello di spesa per il recupero edilizio. L’unico limite in vigore è quello di 10.000 euro. Con il Decreto approvato nel consiglio dei ministri di mercoledì 12 marzo viene eliminata la norma della legge di stabilità 2014 che vietava alla spesa per i mobili di essere superiore a quella di recupero edilizio.

Bonus mobili - Con il D.L. 4 giugno 2013, n. 63 convertito con modificazioni dalla Legge 3 agosto 2013, n. 90, il Legislatore ha introdotto una serie di incentivi volti a contrastare la crisi del settore industriale. In particolare, l’articolo 16, comma 2 del citato Decreto riconosce una specifica detrazione Irpef, nella misura del 50%, con riferimento a determinate spese “di arredamento” sostenute nell’ambito di interventi di recupero del patrimonio edilizio. Presupposti – Le condizioni per poter beneficiare del bonus mobili sono sostanzialmente due: 1. l’esecuzione di un intervento di recupero del patrimonio edilizio con sostenimento di una spesa per cui si fruisce della detrazione del 50%; 2. l’acquisto di mobili destinati all’arredo dell’immobile oggetto dell’intervento.

Spesa - 
Ai sensi dell’articolo 16, comma 2, D.L. n. 63/2013, secondo periodo: “La detrazione di cui al presente comma, da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 10.000 euro”. La detrazione relativa alle spese per arredo, quindi, è riconosciuta nella misura del 50% su un ammontare complessivo massimo di € 10.000,00 (mobili + elettrodomestici). Pertanto, l’importo massimo della detrazione spettante non può essere superiore a € 5.000,00 (10.000 x 50%). Inoltre, poiché la detrazione va necessariamente ripartita in 10 quote annuali costanti, l’importo massimo annuo utilizzabile in detrazione era pari a € 500,00 (5.000 : 10).

Legge di stabilità – Con le modifiche portate dalla Legge di Stabilità 2014 la detrazione in questione, oltre ad essere prorogata a tutto il 2014, aveva subito un nuovo vincolo: le spese agevolate non potevano "essere superiori a quelle sostenute" (cioè pagate) per i “lavori di ristrutturazione” dei fabbricati da arredare. La nuova disposizione aveva, in sostanza, limitato le spese per gli arredi e gli elettrodomestici all'importo pagato per la ristrutturazione del fabbricato da arredare.

Eliminazione del tetto -
 Il D.L. 151/2013 aveva poi annullato, prima ancora che diventasse operativa, la novità introdotta dalla Legge di Stabilità. La modifica da essa apportata sarebbe, infatti, entrata in vigore dal 1° gennaio. Il D.L. 151/2013, entrato in vigore il 31 dicembre, aveva però cancellato l’ultimo tetto introdotto. Tale decreto era poi decaduto con il conseguente ritorno in vigore del requisito di spesa previsto dalla Legge di Stabilità (comma 139, lettera d, Legge 147/2013).

Cdm del 12 marzo – 
Tra i provvedimenti varati dal Consiglio dei ministri del 12 marzo figura anche l’eliminazione del nuovo tetto. Il Governo quindi ha rimediato riproponendo la norma prevista nel D.L. 151/2013 (poi decaduto), dunque il bonus mobili torna, per tutto il 2014, esattamente come l'abbiamo conosciuto nel 2013 e nei primi tre mesi di quest'anno. Resta, quindi, confermato che la detrazione Irpef del 50% (in dieci anni) sulla spesa per i mobili deve essere legata a lavori di recupero edilizio, ma scompare la norma della legge di Stabilità 2014 che imponeva un limite, cioè che la spesa per i mobili non fosse superiore a quella per i lavori edili. Oggi dunque, con il decreto legge, si può ad esempio spendere per i mobili 9.000 euro, a fronte di una spesa di recupero edilizio di 6.000. Purché la spesa per i mobili resti entro il tetto massimo di 10.000 euro.
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 13 marzo 2014

Tra jobs act e piano casa

Jobs act e piano casa tra i punti principali del Cdm

Il Consiglio dei ministri - Come annunciato da settimane, il Consiglio dei ministri di ieri, il sesto del governo Renzi, ha fatto incassare al governo due degli obiettivi tra quelli più volte illustrati: il ‘piano casa’ e il jobs act. Oltre a queste disposizioni, tra gli ordini del giorno discussi ieri è spuntata anche un’informativa del presidente del Consiglio inerente le riforme costituzionali e di interventi di politica economica, inclusa la riduzione del carico fiscale. in sostanza non è stato il mercoledì del taglio alle tasse, ma quello in cui si è iniziata a esaminare una tale eventualità. Dunque, andando nello specifico, vagliando sia i punti poc’anzi indicati sia quelli sui quali ci si soffermerà nel dettaglio nei prossimi giorni, vediamo che il Consiglio dei ministri n. 6 dell’era renziana ha disposto un decreto legge su misure urgenti per l'emergenza abitativa (presidenza, Infrastrutture e Trasporti), un decreto legge su 'disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese (presidenza, Lavoro e politiche sociali), un decreto legge su misure urgenti per l'avvalimento dei soggetti terzi per l'esercizio dell'attività di vigilanza della Banca d'Italia (presidenza, Economia e finanze), un disegno di legge delega al governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione (presidenza, Lavoro e politiche sociali), un disegno di legge su norme per agevolare ulteriormente il rispetto della normativa europea sui tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione (presidenza, Economia e finanze). Di seguito vaglieremo i punti principali del consesso di ieri, vale a dire quelli inerenti il lavoro, il fisco e al casa.

Il Jobs act - Tra le novità contenute nella nuova riforma del Welfare, particolare attenzione è stata dedicata in materia di ammortizzatori sociali, rinominando l’ASpI in Naspi. Si tratta di un sussidio di disoccupazione universale per tutti coloro che perdono il lavoro e ha una durata pari alla metà dei mesi lavorati negli ultimi 4 anni (massimo due anni). L’importo dell’indennità, invece, partirà tra i 1100 e 1200 euro al mese, per scendere sui 700 euro col passare del tempo. Tale sussidio, stimato in circa 9,5 miliardi di euro, viene finanziato con 7 miliardi derivanti dagli stanziamenti previsti per l'odierna Aspi e con 2,5 miliardi di euro attualmente posti a copertura della Cassa integrazione in deroga. In materia di riduzione del carico fiscale, come precisa una nota specifica di Palazzo Chigi, è stata presentata solo un’informativa in merito. Inoltre, al fine di tutelare le fasce deboli di lavoratori, il premier ha annunciato "una delle più grandi misure che possiamo immaginare". Infatti, dal prossimo 1° maggio, chi ha un contratto di lavoro dipendente o assimilato e guadagna meno di 1.500 euro al mese, riceverà una somma di 1.000 euro annui. Sul fronte della flessibilità in entrata invece, il Governo intende dare maggiore risalto sia al contratto d’apprendistato che al contratto a termine, semplificandone l’utilizzo. Importanti provvedimenti saranno presi anche a tutela delle donne in maternità. Infine, è stato previsto uno stanziamento di 1,7 miliardi per garantire ai giovani tra i 18 e 29 anni un lavoro (entro 4 mesi dal titolo di studio) o il proseguimento degli studi.

Piano casa – Per quel che concerne poi il cosiddetto piano casa, vediamo che le indicazioni sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto a quelle emerse nei giorni scorsi. Ricordiamo che il piano è stato sostenuto dal ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, e si concentra su temi quali il recupero degli alloggi pubblici, l’edilizia sociale e la cedolare secca. Uno dei punti focali di queste disposizioni si concentra sul taglio della cedolare per il canone concordato, che passerebbe quindi al 10% dall’attuale 15%. Nel dettaglio, si sottolinea che il taglio riguarderà solo gli alloggi offerti a canone concordato e quelli per studenti universitari. In termini di recupero, questa disposizione farebbe rientrare un buon 5% della base imponibile. Potrebbero usufruire dell’agevolazione sia i contratti già attivi che quelli di nuova stipula; due sono inoltre i momenti in cui si può scegliere la cedolare: il primo è quello della vera e propria stipula del contratto; il secondo riguarda l'atto del pagamento annuale dell'imposta di registro dovuta da chi finora ha usufruito della tassazione Irpef. Altro focus è il recupero, nel giro di quattro anni, di ben 68.000 alloggi pubblici fruendo del finanziamento della manutenzione straordinaria per uno costo pari a 1,35 miliardi dilazionati in ciascuno delle quattro annualità. Poi per quegli inquilini che manifestassero l’intenzione di recuperare direttamente gli alloggi che sono stati loro assegnati, qualora si parlasse di cifre oscillanti tra i 30 e i 40 mila euro, verranno messe ad disposizione cospicue pari dei fondi. In questo caso i finanziamenti saranno concessi in maniera esclusiva alle famiglie con un reddito inferiore ai 27.000 euro o qualora siano presenti membri affetti da disabilità. Inoltre, come annunciato, sono altresì previste le misure di dismissione degli edifici appartenenti all’edilizia popolare gestiti dall’Iacp, al quale tra l’altro è riconosciuta la facoltà di stabilire i prezzi di vendita. Sul punto, si specifica che potranno essere immesse nel mercato immobiliare anche quelle case che sono occupate da inquilini i cui requisiti di reddito siano comunque decaduti. Onde permettere anche ai suddetti inquilini l’acquisto dell’immobile, il piano prevede la costituzione di un fondo per la concessione di mutui a tassi agevolati: gli inquilini potrebbero effettuare l’acquisto pagando una rata di mutuo che sia equivalente al canone di locazione che versavano in precedenza. Sempre in riferimento all’edilizia sociale, si sottolinea la disposizione circa il rifinanziamento del fondo affitti. In questo caso, verrà introdotta una rimodulazione della detrazione fiscale per gli inquilini (solo di alloggi pubblici) con redditi bassi che arriverebbe pertanto a 900 euro per redditi complessivi fino a 15.000 euro, laddove invece salirebbe a 450 euro per i redditi eccedenti tale soglia e fino ai 31.987. La misura dovrebbe riguardare, comunque, solo gli inquilini degli alloggi pubblici. Un ulteriore rifinanziamento riguarderà il fondo per l'accesso ai mutui da parte delle giovani coppie.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 10 marzo 2014

APE e contratti immobiliari

Sistema RATIO
Centro Studi Castelli

Di Simone Vallasciani

Con la conversione del D.L. 145/2013 nella L. 21.02.2014 n. 9 dovrebbe essere stata definitivamente risolta la problematica relativa al rapporto tra attestato di prestazione energetica (APE) e contratti immobiliari.
Tale attestato riassume le caratteristiche energetiche dell'unità immobiliare (consumi, raffrescamento e riscaldamento degli ambienti, produzione di acqua calda, ecc.) e consente quindi di valutarne l'efficienza ed i possibili costi connessi alle utenze. L'art. 1, c. 7 della L. 9/2014 prevede che nei contratti di compravendita immobiliare, negli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso (quindi con esclusione di quelli derivanti da successione, donazione e comodato) e nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari soggetti a registrazione:
- va inserita una apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva di attestato, relativa all'attestazione di prestazione energetica degli edifici;
- occorre allegare al contratto copia dell'attestato di prestazione energetica, tranne nel caso di locazione di singole unità immobiliari.
Se manca la dichiarazione dell'acquirente o del conduttore, o se non viene allegato l'APE in caso di sua
obbligatorietà, scattano sanzioni amministrative pecuniarie al cui pagamento sono tenuti, in solido ed in parti uguali, le parti del contratto. Precisamente:
- la mancanza della dichiarazione in un contratto di locazione di una singola unità immobiliare comporta una sanzione da 1.000 a 4.000 euro, ridotta alla metà (ossia da 500 a 2.000 euro) se la durata della locazione non eccede i 3 anni;
- la mancanza della dichiarazione e/o la mancata allegazione dell'APE ai contratti di compravendita immobiliare e di trasferimento di immobili a titolo oneroso viene sanzionata con un importo da euro 3.000 a euro 18.000.
Il pagamento della sanzione amministrativa non esonera dall'obbligo di presentare la dichiarazione o la copia
dell'APE entro i successivi 45 giorni. L'accertamento e la contestazione delle violazioni vengono eseguiti dalla Guardia di Finanza o, all'atto di registrazione del contratto, dall'Agenzia delle Entrate, ai fini dell'ulteriore corso del procedimento sanzionatorio ai sensi dell' art. 17 della L. 24.11.1981 n. 689.
Per tutti i contratti immobiliari a titolo oneroso stipulati a partire dal 4.08.2013 (data di entrata in vigore del D.L. 63/2013) e fino al 23.12.2013 (data antecedente a quella di entrata in vigore del D.L. 145/2013) è prevista la loro nullità assoluta in caso di mancata presenza dell'APE. Tale nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può altresì essere rilevata d'ufficio dal giudice; inoltre non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione. L'art. 1, c. 7 della L. 9/2014 consente di sanare tale irregolarità, e quindi di ripristinare la validità e l'efficacia del contratto, purché la sua nullità non sia già stata dichiarata con sentenza passata in giudicato; a tal fine, almeno una delle parti o un suo avente causa deve chiedere l'applicazione della sanzione sopra vista per il proprio caso (contratto di locazione di una singola unità immobiliare, compravendita immobiliare o trasferimento di immobili non a titolo gratuito) e procedere al suo pagamento; anche in questo caso occorre allegare l'APE.
Tuttavia, la legge non specifica quali siano le modalità per procedere alla sanatoria (in particolare, a chi
presentare la richiesta), per cui è necessaria una circolare esplicativa per renderla operativa.
Considerato quanto sopra, si consiglia di rispettare le prescrizioni di legge ed in particolare di procedere a sanare la nullità del contratto per evitare le conseguenze ad essa connesse (possibilità di dover restituire l'immobile o la somma pagata per il suo acquisto, problemi per la disposizione dell'immobile).

giovedì 6 marzo 2014

Vendite a distanza. Più tempo per il recesso

Le modifiche al Codice del Consumo in vigore dal 14 giugno

A giugno entrano in vigore le nuove disposizioni in materia di vendite a distanza (tramite pc, telefono o catalogo) e fuori dai locali commerciali (domicilio del consumatore, aree pubbliche o aperte al pubblico). In attuazione della direttiva 2011/83/UE, l’ex governo Letta è intervenuto a modifica degli articoli dal 45 al 67 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 2006/05).

Dal prossimo 14 giugno, in particolare, saranno quattordici - e non più 10 - i giorni a disposizione dei consumatori per esercitare il diritto di recesso. Inoltre, nel caso di contratti telefonici il venditore sarà obbligato a far confermare per iscritto al consumatore l’offerta.

Più tempo per il recesso. L’istituto del recesso è stato profondamente innovato. Il consumatore avrà più tempo per esercitare la facoltà di ripensamento: 14 giorni contro gli attuali 10, decorrenti dalla data della stipula del contratto per l'acquisto di servizi e da quella di ricevimento in caso di merci. Il detto termine sale a un anno e 14 giorni se il consumatore non è stato debitamente informato sul suo diritto.

Esercizio della facoltà di recesso. Il consumatore deve informare il venditore della sua decisione di recedere entro il termine prescritto. Per rendere più semplice il recesso è stato predisposto un modulo-tipo. Ovviamente il suo utilizzo è a discrezione del consumatore, giacché è possibile presentare qualsiasi altra dichiarazione esplicita della volontà di recedere. L'impresa può anche offrire al consumatore la possibilità di compilare e inviare questa dichiarazione attraverso il proprio sito internet: in questo caso è tenuta a comunicare, su un supporto durevole, la conferma di ricevimento della stessa.

Il corretto esercizio del recesso pone fine agli obblighi delle parti di eseguire il contratto ed estingue gli eventuali contratti accessori, senza costi aggiuntivi per il consumatore. Per il venditore subentra l’obbligo di rimborsare le somme percepite, eventualmente comprensive delle spese di consegna, entro 14 giorni (e non più 30) da quando è venuto a conoscenza della decisione del consumatore. Il rimborso, di regola, dev'essere fatto con lo stesso mezzo di pagamento usato per la transazione iniziale, ad eccezione del caso in cui il consumatore si sia espressamente accordato in modo diverso. Resta ferma la nullità di qualsiasi clausola che preveda limitazioni al rimborso delle somme versate dal consumatore. Tuttavia l’impresa può trattenere tali somme finché non abbia ricevuto i beni in restituzione, o almeno finché il consumatore non abbia dimostrato di averli rispediti (fatta eccezione per il caso in cui l'impresa si sia offerta di provvedere da sé al ritiro dei beni).

Conferma scritta all'offerta fatta al telefono. L’altra importante novità riguarda le negoziazioni telefoniche. Già ora il venditore deve dichiarare la propria identità, lo scopo commerciale della telefonata e fornire al consumatore le indicazioni utili per opporsi all'utilizzo del proprio numero telefonico a fini commerciali (vedi D.P.R. 178/2010). Dal 14 giugno, se il contratto a distanza dev'essere stipulato per telefono, il venditore deve dare conferma scritta dell’offerta al consumatore, il quale sarà vincolato solo dopo averla firmata o averla accettata per iscritto. Il documento informatico può essere sottoscritto anche con firma elettronica in virtù delle disposizioni del D.Lgs. 82/1985. Insomma, nelle offerte commerciali per telefono il consumatore è vincolato al contratto solo dopo aver firmato l’offerta o averla accettata in forma scritta. La semplice comunicazione telefonica non basta.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 5 marzo 2014

Socio & amministratore. I contributi raddoppiano

Cassazione Lavoro sentenza del 4 marzo 2014

Il socio che partecipa al lavoro aziendale e che, al contempo, riveste la carica di amministratore deve iscriversi (e contribuire) alle due corrispondenti gestioni INPS: commercianti per l’attività di lavoro e Gestione separata per l’attività di amministratore. È quanto emerge dalla sentenza 4 marzo 2014 n. 5001 della Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile – L.

I principi di diritto. Gli Ermellini hanno accolto il ricorso proposto dall’INPS, avverso una sentenza della Corte d’appello di Trento che ha fatto malgoverno dell’orientamento prevalente secondo cui: “in caso di esercizio di attività in forma d’impresa a opera di commercianti o artigiani ovvero di coltivatori diretti contemporaneamente all’esercizio di attività autonoma per la quale è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, non opera l’unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell’attività prevalente, quale prevista dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208. È stato infatti emanato il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica: la legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208, si interpreta nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’Inps. Restano, pertanto, esclusi dall’applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26” (cfr. Cass., SS.UU. n. 17076/2011; Sez. Lav. n. 8666 e n. 14674 del 2013).

Ossia, il criterio dell’attività prevalente non opera per i rapporti di lavoro - quelli a carattere autonomo - per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, norma che ha creato una nuova gestione assicurativa nel complesso sistema della previdenza obbligatoria introducendo l’obbligo assicurativo per i lavoratori autonomi.

La regola. A giudizio della S.C., pertanto, l’esercizio di attività di lavoro, soggetto a contribuzione nelle Gestione separata, che si accompagni all’esercizio di un’attività in forma d’impresa a opera di commercianti o artigiani ovvero di coltivatori diretti, la quale di per sé comporti l’obbligo dell’iscrizione alla relativa gestione assicurativa presso l’INPS, non fa scattare il criterio dell’attività “prevalente”; sotto tale profilo rimangono attività distinte e autonome sicché parimenti distinto e autonomo resta l’obbligo assicurativo nella rispettiva gestione assicurativa.

Ok alla cartella.
 In conclusione, i giudici del Palazzaccio hanno dato ragione all’INPS in una controversia originata dall’impugnazione di una cartella con cui era contestata la mancata iscrizione dell’opponente alla Gestione commercianti. Del tutto inutilmente la parte privata ha eccepito di essere già iscritto alla Gestione separata, in quanto esercente, con carattere di abitualità e prevalenza, l’attività di amministratore della SRL.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 4 marzo 2014

Notifica per posta della cartella di pagamento

Sistema RATIO
Centro Studi Castelli

di Gianluigi Fino, Pierangelo Fino

Sulla validità della notifica a mezzo posta delle cartelle di pagamento si assiste ormai da anni a continui cambi di rotta da parte della giurisprudenza.
Sulla scorta delle più recenti pronunce delle Commissioni Tributarie Regionali, sembrerebbe possibile affermare che si è, finalmente, giunti a un punto d'arrivo in merito al tema in discorso. Non vi dovrebbero essere ulteriori dubbi, infatti, in merito alla cristallizzazione del principio secondo cui l'agente della riscossione sia legittimato a procedere con la notifica della predetta cartella servendosi del servizio postale, senza dover necessariamente ricorrere all'ausilio degli ufficiali giudiziari.
Sul punto, infatti, è recentemente intervenuta la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con la sentenza 399/2013, rilevando che la Corte di Cassazione, con la sentenza del 19.09.2012 n. 15746 ha stabilito che in tema di notifica delle cartelle è possibile notificare, ai sensi dell'art. 26 del D.P.R. n. 602/1973, anche direttamente da parte dell'agente della riscossione mediante raccomandata con l'avviso di ricevimento. In tal
caso, secondo la disciplina degli artt. 32 e 39 del D.M. 9.04.2001, per il relativo perfezionamento è sufficiente che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senza alcun altro adempimento da parte dell'ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione, apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull'avviso di ricevimento da restituire alla mittente.
Ne consegue, sempre secondo la Suprema Corte, che se manchino nell'avviso di ricevimento le
generalità della persona cui, di fatto, è stato consegnato l'atto, adempimento peraltro non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione si adotta come inintellegibile, l'atto è pur sempre valido, poiché la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell'ufficiale postale, assistito dall'efficacia probatoria di cui all'art. 2700 c.c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell'avviso di ricevimento della raccomandata (Cass. n. 2011/11708).
Chiarito ciò, residua il tema degli ulteriori adempimenti in capo all'agente della riscossione, con particolare riferimento al caso in cui il plico venga consegnato ad un soggetto diverso dal destinatario. In siffatta ipotesi, la Commissione Tributaria Regionale di Roma, con la sentenza 66/2014 ha stabilito che la validità della notifica, in caso d'irreperibilità del destinatario, è subordinata alla dimostrazione da parte dell'ente di aver compiuto le formalità richieste dal codice di procedura civile. In particolare, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., qualora non sia possibile eseguire la consegna del plico per irreperibilità o per incapacità o rifiuto, l'ufficiale giudiziario ne deposita copia nella casa del Comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito alla porta dell'abitazione o dell'ufficio o dell'azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento.
Con la sentenza in commento, la CTR di Roma ha accolto il ricorso presentato da un contribuente in considerazione dell'omessa produzione in giudizio, da parte dell'agente della riscossione, della cartolina di ritorno attestante l'avvenuta notifica del plico ex art. 140 c.p.c..