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giovedì 31 maggio 2012

La mediazione tributaria

La mediazione tributaria è finalizzata ad alleggerire le Commissioni tributarie mediante il tentativo di trovare una soluzione conciliativa tra Fisco e contribuente, prima dell'instaurarsi della controversia dinanzi al giudice fiscale.
Con la recente circolare n. 9/E/2012 l'Agenzia delle Entrate ha emanato i chiarimenti per l'applicazione del nuovo istituto, che prenderà il via dal 1° aprile 2012.
La circolare n. 9/E del 19 marzo dell’Agenzia delle Entrate esamina approfonditamente il nuovo istituto deflattivo del contenzioso tributario di natura amministrativa, previsto per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro, introdotto dall’art. 39, comma 9, D.L. n. 98/2011, che ha inserito l’art. 17-bis nel D.Lgs. n. 546/1992.

Circolare n. 9/E/2012

La disposizione prevede la presentazione obbligatoria di un reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto oppure al componimento della controversia tramite mediazione, sulla base degli stessi motivi di fatto e di diritto che il contribuente intenderebbe portare all’attenzione della Commissione tributaria provinciale nella eventuale fase giurisdizionale.
La norma si applica per gli atti notificati a decorrere dal 1° aprile 2012.
L’inserimento nell’istanza della proposta di mediazione è facoltativa.
Come chiarisce la circolare, in caso di mancata conclusione positiva della fase amministrativa della mediazione, l’azione giudiziaria si considera già esercitata, nel senso che l’istanza assume la veste di ricorso giurisdizionale e, per l’attivazione concreta dello stesso, il contribuente deve solo procedere alla costituzione in giudizio innanzi alla Commissione tributaria provinciale, mediante deposito dell’istanza-ricorso.
Poiché la presentazione della preventiva istanza è obbligatoria, il ricorso giurisdizionale eventualmente proposto senza aver dato avvio al procedimento amministrativo è inammissibile ed il vizio è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
Nel caso di rigetto dell’istanza o di mancato accordo, è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48, D.Lgs. n. 546/1992, che si pone, dunque, come istituto alternativo alla mediazione.
Ambito oggettivo
Con specifico riferimento agli atti verso i quali è esperibile la mediazione, la circolare precisa che la stessa non è limitata agli avvisi di accertamento, ma attiene a tutti gli atti impugnabili provenienti dall’attività dell’Agenzia delle Entrate, compresi i dinieghi di rimborso e le iscrizioni a ruolo (ma non le cartelle di pagamento che sono emesse dall’Agente della riscossione e non dall’Agenzia delle Entrate; tuttavia, nel caso in cui il contribuente impugni la cartella di pagamento sollevando vizi riconducibili solo all’attività dell’Agenzia delle entrate, la mediazione deve essere esperita).

Sono escluse dalla mediazione tutte le controversie aventi ad oggetto il recupero degli aiuti di Stato illegittimi, indipendentemente dalla tipologia di atto inerente al caso di specie (ad esempio, atto di recupero, avviso di accertamento, cartella di pagamento), nonché i relativi interessi e sanzioni.
In caso di esito positivo della mediazione al contribuente spetta il beneficio della riduzione delle sanzioni al 40% (invece, nell’ipotesi di acquiescenza all’accertamento le sanzioni sono ridotte ad 1/3).
Valore dell’atto
La mediazione opera per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro, da determinarsi al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato. In caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
La circolare precisa che qualora un atto si riferisca a più tributi (per esempio, IRPEF e IRAP ovvero imposta di registro, ipotecaria e catastale) il valore deve essere calcolato con riferimento al totale delle imposte che hanno formato oggetto di contestazione da parte del contribuente.
Effetti dell’istanza
L’istanza di mediazione equivale alla notificazione del ricorso; tuttavia, il termine di 30 giorni per la costituzione in giudizio da parte del ricorrente decorre dal compimento di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza medesima. In pratica, quindi, l’istanza comporta la sospensione di 90 giorni del termine per il deposito del ricorso alla segreteria della commissione tributaria provinciale. Tuttavia, nel caso in cui l’Ufficio respinga l’istanza prima del decorso dei predetti 90 giorni il termine per il deposito del ricorso decorre dal giorno della comunicazione del provvedimento di diniego.
La presentazione dell’istanza, così come la proposizione del ricorso giurisdizionale, non comporta la sospensione automatica dell’esecuzione dell’atto impugnato che può, invece, essere chiesta alla commissione tributaria (ma solo dopo la conclusione della fase di mediazione) o all’Agenzia delle Entrate.
Presentazione dell’istanza
L’istanza di mediazione deve essere presentata dal contribuente, anche a mezzo procuratore generale o speciale ovvero dal difensore, la cui presenza è obbligatoria per le cause di valore pari o superiore a 2.582,28 euro.
L’istanza deve essere presentata alla Direzione (provinciale o regionale) dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’atto e la sua trattazione è riservata a strutture delle stesse Direzioni diverse e autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti impugnati (come chiarisce la circolare, si tratta degli Uffici legali delle Direzioni provinciali o regionali, nonché del Centro operativo di Pescara per i procedimenti di competenza di quest’ultimo).
L’istanza non è soggetta all’imposta di bollo né al contributo unificato che deve, comunque, essere assolto qualora il contribuente depositi il ricorso presso la segreteria della commissione tributaria.
Accordo di mediazione
In caso di accordo positivo, sottoscritto dalle parti, le sanzioni eventualmente dovute sono ridotte al 40%. La circolare mette in evidenza che l’Ufficio, anche qualora non vi siano margini per la riduzione della pretesa, può concludere l’accordo di mediazione, che confermerà, quindi, integralmente il tributo contestato con l’atto impugnato, “con conseguente beneficio della riduzione delle sanzioni irrogate”.
Invece, in assenza dei presupposti per l’annullamento dell’atto o per la conclusione della mediazione, l’ufficio comunica al contribuente il provvedimento di diniego, dove sono esposte le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la pretesa tributaria e sono descritte le attività svolte nel corso del procedimento di mediazione. Il diniego è atto non impugnabile, poiché esso prelude al ricorso giurisdizionale, che si concretizza, come detto, con il deposito dell’istanza-ricorso.

mercoledì 30 maggio 2012

Ancora in tempo per il modello 730; qualche chiarimento sulle dichiarazioni 2012

Domanda

A dicembre 2011 un contribuente minimo emetta fattura, senza IVA e con r.a., come previsto dall'allora vigente norma. La fattura non viene pagata entro il 31.12.2011; il contribuente ha tutti i requisiti per accedere al nuovo regime dei minimi, pertanto dal 01.01.2012 non deve più subire ra sulle fatture. E' corretto che subisca la ritenuta sulla/e fattura/e emesse ante 01.01.2012?

Risposta: Stefano Salvadeo

A parere dello scrivente, qualora il contribuente dovesse subire la r.a. dal sostituto sono percorribili due strade:
1. fornire una dichiarazione al sostituto che attesta il possesso dei requisiti per accedere al nuovo regime dei minimi (tassazione al 5%), e per questo motivo, chiedergli direttamente il rimborso dell'importo della ritenuta subita. Infatti, anche le fatture emesse nel 2011, ma incassate nel 2012, vengono tassate con la nuova imposta sostitutiva (5%), pertanto, come previsto dal provvedimento dell'Agenzia delle Entrate n. 185820/2011 del 22.12.2011 non bisogna assoggettare tali compensi a ritenuta d'acconto.
2. Qualora il sostituto non volesse provvedere al rimborso della RA effettuata, la stessa, a fronte della certificazione del sostituto (art. 4 comma 6-TER, D.P.R. n. 322/98), potrà essere dichiarata e scomputata nell'Unico generando eventualmente un credito di imposta.

Domanda

Per un appartamento ristrutturato e successivamente diviso in due immobili, la detrazione si applica con riferimento al numero delle unità immobiliari finali?

Risposta: Valerio Artina

Nel caso in cui si effettuano lavori di ristrutturazione, come precisato al paragrafo 3 della circolare 11 maggio 1998, n. 121/E, la detrazione Irpef del 36% di cui all'art. 1 della L. n. 449/1997 si applica con riferimento al numero delle unità immobiliari esistenti all'inizio dell'intervento.
Nel caso in specie i lavori di ristrutturazione coinvolgono un appartamento che verrà diviso al termine dei lavori in due unità abitative, pertanto il limite su cui calcolare la detrazione è di 48.000 euro.
Inoltre, a partire dal 1° ottobre 2006, a seguito delle modifiche introdotte dal comma 35 quater dell'art. 35 del D.L. n. 223/2006 il calcolo del limite di spesa nel caso in cui sullo stesso immobile abbiano titolo alla detrazione due o più soggetti (comproprietari ecc.) va ripartito tra loro. Pertanto il limite di spesa su cui potrà usufruire della detrazione Irpef del 36% ciascun intestatario sarà di complessivi 24.000 euro.


Modello 730/2012
Secondo le indicazioni fornite dalla Agenzia delle entrate, possono utilizzare il modello 730 i contribuenti percettori nel 2011 delle seguenti tipologie di reddito:
_ redditi di lavoro dipendente, redditi di pensione e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (per es. compensi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative, prestazioni a sostegno del reddito, compensi corrisposti a soci di cooperative);
_ redditi dei terreni e dei fabbricati;
_ redditi di capitale;
_ redditi di lavoro autonomo per i quali non è richiesta la partita Iva (es. prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente);
_ redditi diversi (es. redditi di terreni e fabbricati situati all'estero);
_ alcuni dei redditi assoggettabili a tassazione separata.

E’ fondamentale che i soggetti interessati abbiano in atto un rapporto di lavoro con un sostituto d’imposta nel periodo di effettuazione delle operazioni di conguaglio (da aprile o luglio nel caso di assistenza prestata dal sostituto d’imposta, da giugno a luglio nel caso di assistenza prestata da centri di assistenza fiscale autorizzati).
I soggetti che possono effettuare la denuncia dei redditi con modello 730, presentano il medesimo modello tramite:
_ un centro di assistenza fiscale;
_ un professionista abilitato (consulente del lavoro, dottore commercialista, ragioniere o perito commerciale);
_ il proprio sostituto d’imposta, datore di lavoro o ente che eroga il trattamento pensionistico, (se questi hanno comunicato entro il 15 gennaio di voler prestare assistenza fiscale).
Scadenze
I termini per la presentazione, da parte del contribuente, del modello 730 sono:
_ modello presentato al sostituto d’imposta: entro il 16 maggio 2012;
_ modello presentato al Caf o ad un professionista abilitato: entro il 20 giugno 2012.
I termini per la consegna, da parte del soggetto che ha prestato assistenza fiscale, della copia del modello 730 elaborato e del prospetto di liquidazione sono:
_ modello presentato al sostituto d’imposta: entro il 15 giugno 2012;
_ modello presentato al Caf o ad un professionista abilitato: entro il 2 luglio 2012.
La trasmissione telematica dei modelli 730 da parte dei sostituti d’imposta che hanno prestato assistenza fiscale deve avvenire entro il 30 giugno 2012, mentre da parte dei Caf e dei professionisti abilitati entro il 12 luglio 2012, secondo le specifiche tecniche che sono contenute nel Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 23020/2012.

 

sabato 26 maggio 2012

Parte il 1° giugno il nuovo modello F24 «Semplificato» anche per pagare l’IMU

Al link qui sotto il provvedimento dell'Agenzia delle Entrate e il nuovo modello F24

F24 semplificato

Il modello che potrà utilizzarsi dal prossimo venerdì 1° giugno si compone di un’unica pagina, deve  essere utilizzato per eseguire i versamenti a favore dell’Erario, delle Regioni e degli enti locali (IMU compresa) e persegue l'obiettivo di rendere più semplici le operazioni di pagamento da parte dei contribuenti.
Il nuovo modello è diviso in due parti uguali: una parte è la copia per il soggetto che effettua il versamento e l’altra è quella da lasciare alla banca, all’ufficio postale o all’agente della riscossione.

Modalità di compilazione

La sezione “CONTRIBUENTE” deve essere compilata con il codice fiscale ed i dati anagrafici.
La sezione “MOTIVO DEL PAGAMENTO” è composta dalle colonne:
- Sezione: deve essere indicato il destinatario del versamento (ER se si tratta dell’Erario, RG se la Regione o EL se si tratta dell’ente locale);
- Cod. tributo;
- Codice ente per il quale si effettua il versamento (per il versamento dell’IMU deve essere indicato il codice catastale del Comune);
- Ravv.: da compilare esclusivamente per il pagamento dell’IMU, nel caso ci sia la possibilità e ci si  avvalga del ravvedimento operoso;
- Immob. Variati: da compilare esclusivamente in occasione del pagamento IMU nel caso siano intervenute variazioni di uno o più immobili che richiedono la presentazione della dichiarazione;
- Acc.: da compilare esclusivamente per il pagamento dell’IMU, se il pagamento si riferisce all’acconto;
- Saldo: da compilare esclusivamente per il pagamento dell’IMU per il versamento del saldo; nel caso si scelga di versare in unica soluzione si dovranno barrare li la casella acconto che saldo;
- Num. Immob.: da compilare esclusivamente per il pagamento dell’IMU per l’indicazione del numero degli immobili;
- Rateazione/mese rif.: deve essere indicato “0101” se il contribuente paga gli importi a titolo di saldo o acconto in un’unica soluzione. In caso di pagamento rateale, in questo campo deve essere indicata la rata che si sta pagando ed il numero di rate prescelto. Se, ad esempio, sto pagando la seconda di sei rate devo indicare “0206”;
- Anno di riferimento cui il versamento si riferisce espresso in quattro cifre (es. 2012);
- Detrazione: da compilare esclusivamente per il pagamento dell’IMU;
- Importi a debito versati: deve essere indicato l’importo a debito dovuto. Con riferimento all’IMU, se il contribuente ha diritto alla detrazione (indicata nell’apposita colonna) deve essere indicata l’imposta netta;
- Importi a credito versati: è utilizzata per indicare l’ammontare del credito che si intende utilizzare in compensazione.
Deve essere indicato l’importo con due cifre decimali anche se sono pari a zero.

Come indicare la rateazione IMU relativa all’abitazione principale

Il Ministero dell’Economia e delle finanze ha fornito le istruzioni per la compilazione del campo “Rateazione”.
Nel caso il contribuente scelga di versare, nei casi in cui questo sia possibile, l’IMU dovuta per il 2012 in tre rate:
- per il versamento della prima rata scadente il 18 giugno (33% dell’imposta dovuta applicando l’aliquota e la detrazione di base) deve essere barrata la casella Acc. e nel campo rateazione deve essere indicato “0102”;
- per la rata che scade il 17 settembre deve essere barrata la casella Acc. e indicato “0202”;
- per il saldo di dicembre, invece, deve essere barrata la casella “Saldo” e nel campo “rateazione/mese rif.“ indicato “0101”.
Nel caso in cui, invece, si scelga di eseguire il versamento in due rate:
- per la prima rata di giugno (pari al 50% dell’importo ottenuto applicando le aliquote di base e la detrazione) deve essere barrata la casella Acc. e indicato “0101”;
- per la seconda rata di dicembre deve essere barrata la casella Saldo e indicato “0101”.

giovedì 24 maggio 2012

Incentivi alla creazione d’impresa nel Lazio

È stato pubblicato il bando “Generazione Lavoro – Incentivi alla creazione d’impresa” con il quale la Regione Lazio ha stanziato 4 milioni di euro per favorire l’auto impiego di lavoratori sul proprio territorio, per progetti di start up o per progetti di partecipazione in imprese esistenti.
Possono presentare domanda lavoratori inoccupati, disoccupati, in cassa integrazione o in mobilità. I contributi ricadono nel regime “de minimis” ed è previsto un importo massimo variabile in relazione del numero dei soggetti partecipanti al progetto.

IL BANDO

Avvisi bonari: l'Agenzia conferma che non sono ricorribili.

Nel ricorso contro il ruolo, non verrà eccepita l’inammissibilità per omesso ricorso contro l’avviso bonario.
L’Agenzia delle Entrate, “in merito ad alcuni recenti articoli di stampa che hanno riproposto il tema della impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità”, conferma la propria adesione all’orientamento giurisprudenziale che ritiene detti provvedimenti non autonomamente impugnabili (cfr. Cass. SS.UU. 16923/2007).
Infatti, la sola opinione espressa dalla sentenza 7344/2012, favorevole all’impugnabilità delle “comunicazioni bonarie”, non può essere ancora espressione di un principio consolidato.
Conseguentemente, da un lato non verranno modificate le “avvertenze” poste all’interno degli avvisi bonari (nel senso che non verrà “ventilata” la possibilità del ricorso), dall’altro, “gli uffici continueranno a sostenere l’inammissibilità dei ricorsi eventualmente proposti contro gli avvisi bonari”.
Circa l’intenzione di non modificare il contenuto degli avvisi, va da sé che si tratta di un atto rientrante nella discrezionalità degli uffici. Ferme restando le questioni relative al legittimo affidamento (che, allo stato attuale, pare abbiano rilievo solo per ciò che concerne l’eventuale irrogazione di sanzioni amministrative), è chiaro che la giurisprudenza non è una fonte del diritto, e che, di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate non è tenuta ad adeguare la propria prassi alla luce di quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione.
Dal lato del contribuente, il diritto immediato al ricorso non viene meno, chiaramente, neanche ove nel cosiddetto “avviso bonario” venisse data notizia circa l’impossibilità di impugnazione sino al ruolo, siccome la sussistenza della giurisdizione tributaria (ma alle medesime conclusioni può pervenirsi in merito al carattere impugnabile dei provvedimenti) “non dipende dalla volontà, o, peggio ancora, dagli errori delle parti, ma dall’oggetto della lite in relazione alle previsioni della legge” (Cass. SS.UU. 9 maggio 2008 n. 11498 e 30 giugno 2009 n. 15242).
Dovrebbe valere la cosiddetta “impugnazione facoltativa”
Più interessante appare la seconda affermazione contenuta nel comunicato, ovvero: “Coerentemente con questo orientamento, gli Uffici dell’Agenzia si asterranno dal chiedere l’inammissibilità del ricorso contro il ruolo per mancata impugnazione dell’avviso bonario”.
Tale specificazione è di certo obbligata, ma non muterebbe nemmeno se si ritenesse l’avviso bonario impugnabile.
Come osservato in altra sede l’omesso ricorso contro l’avviso non ha effetti nel successivo ricorso contro il ruolo.
In altre parole, non è giuridicamente possibile che la situazione sia paragonata alla sequenza procedimentale avviso di accertamento/cartella di pagamento. A ciò osta l’art. 6, comma 5 della L. 212/2000, ove è sancito che la nullità del ruolo si verifica non per il semplice fatto circa l’omissione dell’avviso bonario, ma solo se a tale fatto si aggiungono le “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (ergo, se il ruolo non è di per sé nullo se non preceduto dal cosiddetto “avviso bonario”, allora il contribuente può, a sua scelta, decidere di ricorrere contro quest’ultimo atto o contro il ruolo).
Ravvisando la necessità di attendere la futura giurisprudenza, potrebbe trovare applicazione il principio, espresso più che altro in tema di fiscalità locale, della cosiddetta “impugnazione facoltativa”, secondo cui l’elencazione tassativa degli atti ex art. 19 del DLgs. 546/92 non preclude al contribuente la possibilità di ricorrere avverso provvedimenti non rientranti in tale elenco ma contenenti una pretesa tributaria definita, ma la mancata impugnazione di un atto non indicato nell’art. 19 nel termine di sessanta giorni dalla sua notifica “non determina la non impugnabilità (cristallizzazione) di quella pretesa che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art. 19” (Cass. 21045/2007).

Due volte punibile chi emette e registra fatture false

Alberto Marcheselli

Con la interessante sentenza n. 19247 del 21 maggio 2012, la terza Sezione penale della Corte di Cassazione esamina il problema se, nel caso di fatture per operazioni inesistenti, il soggetto che sia amministratore sia della società emittente, sia della società ricevente, risponda di due delitti (emissione della fattura, art. 8, e dichiarazione fraudolenta, art. 2), ovvero di uno solo.
Si tratta, evidentemente, della questione relativa alla portata della norma di cui all’art. 9, D.Lgs. n. 74/2000, in forza del quale, in deroga alle norme sul concorso nel reato, chi emette (e chi concorre con chi emette) non concorre nel delitto di chi dichiara, e viceversa.
La Corte premette, innanzitutto, che un problema di applicazione dell’art. 9 in rassegna non si pone quando del “secondo” delitto il soggetto non sia imputato. Ad esempio, non potrebbe certo invocare l’art. 9 il soggetto imputato di dichiarazione fraudolenta che non sia imputato contemporaneamente di emissione, l’esito sarebbe assurdo: una norma destinata ad evitare la doppia punibilità comporterebbe impunità.
Semmai può essere dubbio se il discorso non sarebbe diverso se - per qualsiasi ragione estrinseca - la “seconda” imputazione non potesse determinare concreta condanna (esempio, perché, l’altro delitto ricade nell’area di applicazione di una amnistia o un indulto o, ipoteticamente, è prescritto), ma tali ipotesi non ricorrono nella fattispecie considerata dalla decisione.
Quanto alla portata dell’art. 9, la Corte osserva che esso è teso solo ad escludere che chi emette la fattura possa rispondere, per ciò solo, di concorso nel delitto di chi tale fattura utilizza, e viceversa.
La norma, afferma la Corte, deroga all’art. 110 e solo nel senso che il solo fatto di concorrere materialmente (e moralmente) alla condotta altrui di utilizzazione della fattura falsa, emettendola, non comporta la corresponsabilità nel delitto di dichiarazione fraudolenta (o viceversa).
Essa riguarda la sola ipotesi in cui la condotta del potenziale concorrente si limiti alla emissione (rispetto alla utilizzazione) o alla utilizzazione (rispetto alla emissione).
Essa non si applica quando un soggetto, invece che limitarsi a emettere o utilizzare (con ciò concorrendo, di fatto, nella condotta di chi utilizza o emette) emetta e utilizzi la fattura per operazione inesistente (ad esempio, perché amministratore di entrambe le società coinvolte). In questo caso, dice la Corte, vi è una doppia condotta propria e si è fuori dall’area di applicazione della esimente di cui all’art. 9.
Tale conclusione concerne sia il soggetto che direttamente emetta e utilizzi la fattura, sia il soggetto che concorra separatamente sia con la emissione che con la utilizzazione (il professionista).

lunedì 21 maggio 2012

IMU: chiarimenti su abitazione principale e immobili per le imprese


La circolare n. 3/DF del Ministero dell’Economia e delle finanze pubblicata venerdì 18 maggio, ha chiarito alcuni aspetti concernenti l’applicazione dell’imposta municipale propria introdotta a decorrere dall’anno 2012, in via sperimentale, dall’art. 13 del DL 201/2011.
Anzitutto, il documento precisa che sono assoggettati all’imposta i fabbricati, le aree fabbricabili e i terreni a qualsiasi uso destinati. Sono compresi anche gli immobili strumentali e quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa; in altre parole, l’IMU colpisce tutti gli immobili delle imprese, indipendentemente dalla loro classificazione catastale. Quindi, in considerazione del fatto che l’IMU sostituisce, oltre all’ICI, l’IRPEF e le relative addizionali per gli immobili non locati, ne consegue che i beni che non producono reddito fondiario, come quelli delle imprese, subiranno un’ulteriore aggravio impositivo.
A tal proposito, la circolare in oggetto precisa che nella locuzione “beni non locati” sono compresi sia i fabbricati che i terreni che non risultano locati o affittati.
Con riferimento alle aliquote, il Ministero precisa che i limiti minimi e massimi stabiliti dalla legge costituiscono dei “vincoli invalicabili” da parte del Comune. Nell’esercizio della propria potestà regolamentare, infatti, l’ente locale può esclusivamente manovrare le aliquote, differenziandole sia nell’ambito della stessa fattispecie impositiva, sia con riferimento alle singole categorie catastali.
In relazione all’abitazione principale e relative pertinenze, la circ. n. 3/DF ha precisato, anzitutto, che  l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in Catasto. Il fatto che più unità immobiliari distintamente iscritte in Catasto siano utilizzate unitariamente come abitazione principale non rileva. In questo caso il contribuente può scegliere quale unità destinare ad abitazione principale (con applicazione del regime agevolato) e quali considerare come abitazioni diverse da quella principale con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal Comune per tali tipologie di fabbricati (l’aliquota di base è pari allo 0,76%). Il contribuente non può applicare le agevolazioni su più di un’unità immobiliare a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario.
Come si è già avuto modo di osservare, per abitazione principale si intende l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Se i componenti del nucleo familiare hanno stabilito dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nello stesso territorio comunale, ai fini dell’IMU, l’agevolazione compente una volta soltanto per nucleo familiare.
Se ad esempio due coniugi, non legalmente separati, dimorano e risiedono in immobili diversi situati nello stesso Comune, l’agevolazione spetta soltanto ad uno dei due coniugi.
Se è il figlio a dimorare e risiedere anagraficamente in un altro immobile ubicato nello stesso Comune, precisa la circ. n. 3/DF, risulta costituito un nuovo nucleo familiare (quello del figlio appunto) ed il genitore perde soltanto l’eventuale maggiorazione di 50 euro della detrazione (se il figlio non supera i 26 anni).

Spetta due volte il beneficio per gli immobili in Comuni diversi

Meno scontata, invece, è un’altra precisazione contenuta nel documento ministeriale.
La limitazione prevista nel caso di diversi immobili destinati ad abitazione principale da parte dei componenti dello stesso nucleo familiare nel territorio dello stesso Comune non è prevista nel caso in cui gli immobili siano ubicati in Comuni diversi. La motivazione, secondo il ministero, riguarderebbe il fatto che “in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative”.
Per quanto concerne le pertinenze dell’abitazione principale, che possono essere al massimo tre, appartenenti ciascuna ad una categoria catastale diversa (C/2, C/6 e C/7), il Ministero precisa che rientra nel limite suddetto anche la pertinenza che risulta iscritta in Catasto unitamente all’abitazione principale. Nel caso in cui le pertinenze superino il limite stabilito dalla norma, il contribuente può scegliere a quali pertinenze applicare il regime agevolato e quali assoggettare all’aliquota ordinaria. In ordine all’individuazione delle pertinenze, i Comuni non possono intervenire con alcuna disposizione regolamentare in conseguenze dell’abrogazione dell’art. 59 del DLgs. 446/97.

giovedì 17 maggio 2012

L'IMU a carico dell'ex coniuge assegnatario della casa.


I soggetti passivi dell’IMU sono individuati dall’art. 9 comma 1 del DLgs. 23/2011. In linea di
massima, soggetto passivo è il proprietario dell’immobile. Nel caso in cui l’immobile sia gravato da un diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, soggetto passivo è il titolare di tale diritto, e non il proprietario (anche detto “nudo proprietario”).
In deroga al principio che individua il presupposto per l’applicazione dell’IMU nel possesso degli immobili, la soggettività passiva IMU, rispetto agli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, detenuti in leasing, è riferita al locatario finanziario a decorrere dalla data della stipula del contratto di leasing e per tutta la durata dello stesso (la disposizione ricalca quella già contenuta, ai fini dell’ICI, nell’art. 3 comma 2 del DLgs. 504/92), mentre – rispetto alle aree demaniali in regime di concessione – soggetto passivo IMU è il concessionario.
In generale, se il diritto a fondamento del possesso non è la proprietà o un diritto reale di godimento, la soggettività passiva non si configura.
L’art. 4 comma 12-quinquies del DL 16/2012, introdotto in sede di conversione con la L. 44/2012, tuttavia, statuisce ora che, ai soli fini dell’IMU (e non con altri effetti sul piano civilistico), l’assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione.
Pertanto, rispetto all’ex casa familiare, soggetto passivo IMU è in ogni caso il coniuge assegnatario, ancorché non titolare, neppure pro quota, del diritto di proprietà o di altro diritto reale sull’immobile. Se l’ex casa familiare risulta in parte (pro quota) anche di proprietà del coniuge assegnatario, la soggettività passiva compete a quest’ultimo:
- rispetto alla sua quota di comproprietà, in quanto titolare del diritto di proprietà;
- rispetto alla quota di comproprietà dell’altro coniuge (e/o altri soggetti), in quanto titolare di diritto di abitazione (ex art. 4 comma 12-quinquies del DL 16/2012, conv. L. 44/201).
Il regime di favore previsto ai fini dell’IMU rispetto all’abitazione principale (aliquota ridotta, detrazione e, in caso di figli conviventi nell’alloggio, relativa maggiorazione), in presenza delle necessarie condizioni, diviene quindi appannaggio del coniuge assegnatario.
Per contro, rispetto all’ex casa familiare, il coniuge proprietario o titolare di diritti reali ma non assegnatario perde la soggettività passiva al tributo.
Ne discendono due ordini di conseguenze.
Da un lato, qualora il coniuge non assegnatario possieda a titolo di proprietà o altro diritto reale un altro immobile sito nello stesso Comune, costituente la propria abitazione principale, potrà fruire rispetto ad esso del regime agevolato (aliquota ridotta e detrazione) (non trova più applicazione la limitazione sancita in tal senso per l’ICI dall’art. 6 comma 3-bis del DLgs. 504/92).
Dall’altro, il coniuge non assegnatario, in quanto titolare della proprietà o altro diritto reale sull’ex casa familiare, sarà tenuto a dichiararne il relativo reddito fondiario. Infatti, essendo venuta meno la sua soggettività passiva all’IMU, rispetto all’ex casa familiare non dovrebbe scattare la valenza sostitutiva che il tributo municipale esplica rispetto all’IRPEF e alle relative addizionali sugli immobili non locati, a meno di non supporre che tale effetto sostitutivo possa intendersi in senso oggettivo (soluzione che pare francamente anomala: il coniuge non assegnatario indicherà nella propria dichiarazione l’IMU dovuta e assolta dall’ex coniuge?). Quanto all’entità del reddito fondiario generato dall’ex casa familiare in capo al coniuge titolare ma non assegnatario, occorre distinguere.
Tale reddito varierà in funzione dell’applicabilità o meno della maggiorazione di un terzo di cui all’art. 41 del TUIR, e risulterà pari, rispettivamente:
- alla rendita catastale, rivalutata del 5%, qualora l’ex casa familiare sia dimora abituale, oltre che dell’ex coniuge, anche di uno o più familiari (per familiare si intendono il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, ad esempio i figli), e ciò risulti dall’iscrizione anagrafica (cfr. le istruzioni al modello UNICO 2012 PF - Appendice al fascicolo 1);
- alla rendita catastale rivalutata del 5% e maggiorata di un terzo (ex art. 41 del TUIR), in caso contrario (ad esempio, ex casa familiare abitata dal solo ex coniuge).

Se la società si estingue, il contenzioso tributario prosegue con i soci

La successione avviene, però, solo se i soci hanno riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.
Alfio Cissello
Nella sentenza n.7327 della Suprema Corte in tema di effetti dell’estinzione della società nelle more del processo tributario, era stato affermato, per quanto è dato comprendere dal testo della sentenza, che una volta estinta la società non si può verificare alcun fenomeno successorio a carico di soci, liquidatori e amministratori, poiché è necessario che il Fisco faccia valere le proprie pretese dimostrando i requisiti imposti, a seconda della fattispecie, dall’art. 2495 del codice civile o dall’art. 36 del DPR 602/73.
Con la sentenza n. 7676 depositata ieri, la Suprema Corte torna sull’argomento, fornendo una soluzione diversa da quella prospettata in precedenza (la sentenza si sofferma solo sulla responsabilità ex art. 2495 del codice civile, ma alle medesime conclusioni si può giungere per l’art. 36 del DPR 602/73).
I giudici, dopo aver riaffermato l’inammissibilità del ricorso per Cassazione notificato nei confronti del soggetto estinto, si soffermano sulla “sorte” del contenzioso nell’ipotesi in cui la società venga cancellata dal Registro delle imprese, e, quindi, sia da considerarsi a tutti gli effetti estinta.
In altri interventi, contrariamente a quanto esposto nella sentenza in commento, avevamo prospettato, con una motivazione accolta dalla giurisprudenza di merito, l’eventualità che, essendo la fattispecie paragonabile al decesso di una persona fisica senza eredi, il processo deve ritenersi estinto per cessazione della materia del contendere. A questo punto, a prescindere dalla tipologia di atto impugnato dalla società estinta (sia questo un accertamento o una cartella di pagamento), il Fisco dovrebbe notificare apposito atto dimostrando la sussistenza della responsabilità fiscale del socio o del liquidatore.
La Suprema Corte, in sostanza, ritiene che, da un lato, non vi può essere nessuna successione nel debito a titolo universale a carico dei soci, dall’altro, che la successione si verifica se e nei limiti in cui sussistono i presupposti di cui all’art. 2495 del codice civile, quindi se il socio ha riscosso somme in forza del bilancio finale di liquidazione. Nella specie, quindi, sarebbe stato ammissibile il ricorso per Cassazione notificato nei confronti dell’ex socio nella misura in cui il Fisco avesse dimostrato i requisiti ex art. 2495 c.c., nonostante il processo abbia avuto origine dall’impugnazione di un atto notificato alla società.

Principio incompatibile con il contenzioso tributario
 
Il tutto muove da una particolare interpretazione dell’art. 110 del codice di procedura civile, secondo cui “quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto”.
In breve, si accoglie l’opinione in virtù della quale il legislatore, con l’articolo riportato, “ha scelto il successore universale al solo fine di proseguire l’attività processuale della parte venuta meno, perchè una successione universale c’è in ogni ipotesi di venir meno della parte, a prescindere dal fatto che il successore sia anche tale quanto al diritto controverso”.
Tutto quadrerebbe, se la causa riguardasse il processo civile, ma siamo nell’ambito fiscale, ove il processo non è un processo di accertamento ma di impugnazione, il cui oggetto è costituito dalla domanda di annullamento dell’atto.
Non è possibile sostenere, come fatto, che l’azione proposta dalla società avverso un suo atto possa proseguire nei confronti dei soci, posto che il presupposto per la loro responsabilità fiscale è del tutto diverso, essendo legata all’art. 2495 del codice civile o all’art. 36 del DPR 602/73. Inoltre, può non esserci coincidenza tra debito della società e somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e ciò fa emergere ancor di più la traballanza di questa tesi (vi sarebbe, nel caso prospettato, una parziale cessazione della materia del contendere?).
Dando per buono quanto affermato, occorrerebbe allora che i soci riassumessero il processo, in quanto, se si opta per la tesi della successione, non può che verificarsi l’interruzione, essendo la situazione paragonata al caso dell’erede.
Al massimo, volendo proprio accogliere il menzionato principio, si potrebbe sostenere la tesi della successione nei debiti sociali nel caso delle società in nome collettivo, posto che i soci rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti tributari della società, ma questo è, come detto, un discorso non fattibile per il caso delle società di capitali.
Il problema deve essere per forza di cose risolto a livello legislativo: solo in questo modo si può determinare in che maniera la responsabilità può essere azionata nei confronti di soci e liquidatori, che cosa succede se la cancellazione avviene nelle more del processo e a quali termini l’azione del Fisco deve sottostare.

lunedì 14 maggio 2012

IMU: agevolazioni per l’abitazione principale

Per fruire del beneficio, il possessore dell’immobile deve dimorarvi e risiedervi anagraficamente col nucleo familiare.
Con riferimento all’abitazione principale e le sue pertinenze, che godono di un trattamento agevolato, l’aliquota base dell’IMU è fissata allo 0,4% e al contribuente spetta una detrazione di 200 euro (aumentabile di 50 euro per ogni figlio, fino all’ottavo, di età non superiore a 26 anni, dimorante e residente nella casa).
I Comuni, tuttavia, possono decidere di abbassare l’aliquota fino allo 0,2% e aumentare la detrazione fino a concorrenza dell’intera imposta dovuta. Ai sensi dell’art. 13, comma 10 del DL 201/2011, nel caso in cui la detrazione venga elevata  sino ad azzerare l’IMU dovuta per le abitazioni principali, l’ente locale non può aumentare l’aliquota ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione.
Al fine di restringere la platea di coloro che possono fruire delle agevolazioni IMU previste per l’abitazione principale e le relative pertinenze (aliquota ridotta e detrazione) l’art. 4, comma 5, lett. a) del DL 16/2012 convertito, modificando l’art. 13, comma 2 del DL 201/2011, ha disposto che il possessore dell’immobile debba dimorarvi e risiedervi anagraficamente assieme al proprio nucleo familiare.
Non solo, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi, situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze si applicano per un immobile soltanto.
La norma non stabilisce alcuna caratteristica che deve avere l’immobile perché possa beneficiare dell’agevolazione; infatti, il fabbricato può essere classificato in qualsiasi categoria catastale (compreso quindi A/1, A/8 e A/9, vale a dire le categorie che raggruppano i fabbricati di maggior pregio), nonché presentare le caratteristiche degli immobili “di lusso” (di cui al DM 2 agosto 1969).
Inoltre, per fruire delle suddette agevolazioni il nucleo familiare deve contemporaneamente dimorare ed avere la residenza anagrafica in uno stesso immobile; in caso contrario (se il nucleo familiare non dimora o non ha la residenza presso lo stesso immobile, ma in due distinti immobili sul territorio dello stesso Comune), l’intero nucleo beneficia di aliquota ridotta e detrazioni per un immobile soltanto (che sarà presumibilmente quello con la rendita catastale maggiore, sempreché la scelta possa farla il contribuente).
Con tale disposizione, il legislatore ha voluto negare il regime agevolato sia all’unità immobiliare nella quale il possessore risieda anagraficamente ma non dimori (e quindi si tratti di una residenza fittizia) sia all’unità nella quale il possessore dimori (cioè abiti) ma non risieda anagraficamente.
Sarebbe da chiarire il concetto di “nucleo familiare”
A questo punto sarebbe da chiarire cosa si intende per “nucleo familiare”.
Potrebbe accadere, infatti, che due coniugi, separati di fatto ma non legalmente, dimorino e risiedano in due unità immobiliari distinte nello stesso Comune. In questo caso, seppur di fatto l’unicità del nucleo familiare sia venuta meno e seppur non vi siano intenti elusivi, stante la formulazione della norma, sembrerebbe che l’agevolazione venga riconosciuta per un immobile soltanto.
Tale impostazione fa ancor più riflettere se si pensa che i coniugi separati di fatto con due unità immobiliari site in Comuni diversi potrebbero invece beneficiare dell’agevolazione prevista per l’abitazione principale per entrambi gli alloggi.

giovedì 10 maggio 2012

L’Agenzia delle Entrate fornisce le istruzioni per l’istituto del reclamo

È stata pubblicata la Circolare n. 9 relativa al neointrodotto procedimento del reclamo, applicabile per i provvedimenti notificati dal 1° aprile 2012 emessi dall’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a € 20.000.
Per prima cosa, ai fini di delineare la decorrenza del nuovo istituto, occorre fare riferimento non alla data in cui l’Agenzia delle Entrate ha consegnato/spedito il plico, ma alla data in cui questo è stato ricevuto dal contribuente.
Rientrano nel reclamo tutti gli atti riconducibili all’Agenzia delle Entrate, quindi gli accertamenti, i ruoli e gli avvisi di liquidazione, nonostante siano di esiguo valore e difficilmente oggetto di mediazione, così come le cartelle impugnate sulla base dell’omessa notifica dell’atto di accertamento.
In merito alla determinazione del valore della lite, si conferma che:
  • se l’atto contiene più tributi, il valore della lite è dato dalla somma di quest’ultimi;
  • se il contribuente impugna più atti con un unico ricorso, il valore è sempre riferito ai singoli provvedimenti impugnati.
Risolte infine le perplessità espresse in merito alle perdite fiscali: il valore della lite deve essere determinato con riferimento all’imposta virtuale, alla quale deve essere sommata quella emergente dal maggior utile accertato.
Ampio spazio viene dato inoltre alla mediazione: in armonia con quanto sostenuto nei precedenti documenti di prassi sulla conciliazione giudiziale, la mediazione può anche “chiudersi a zero”, ovvero senza la diminuzione della pretesa: non a caso, la Circolare conferma che il rinvio all’art. 48 comporta, in caso di mediazione, la riduzione al 40% delle sanzioni, il che torna utile anche nel suddetto caso.
In tale ipotesi, al fine di favorire l’accordo tra le parti, i contribuenti sono invitati a produrre già nella fase amministrativa ogni documento che può sorreggere la difesa, nonostante resti ferma la facoltà di produrli in sede contenziosa. Per le società di persone, viene accolta, in sostanza, la censurabile presa di posizione della Corte di Cassazione, che contrasta con la tesi del litisconsorzio necessario: di conseguenza, soci e società sono liberi di pervenire autonomamente alla mediazione, fermo restando il requisito di valore della lite (se la società definisce e il socio no, l’atto sul maggior reddito di partecipazione deve tenere conto di detta definizione, senza ovviamente la riduzione delle sanzioni).
Problematica appare la situazione sul versante della riscossione: il reclamo non sospende l’effetto esecutivo dell’atto, e la tutela cautelare non può essere chiesta sino al deposito del reclamo. L’unica consolazione per il contribuente è la richiesta, in via amministrativa, di sospensione della riscossione.

mercoledì 9 maggio 2012

Spiraglio VIES per la sanatoria delle mancate opzioni

In assenza di chiarimenti ufficiali, la mancata iscrizione al VIES sembrerebbe far parte delle fattispecie incluse
 SANDRO CERATO
L’art. 2, comma 1, del DL n. 16/2012 contiene la possibilità di sanare la mancata comunicazione preventiva per la “fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali”, purché sussistano i seguenti requisiti:
- la violazione non sia già stata oggetto di constatazione o non siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche, ovvero altre attività di accertamento;
- il contribuente abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;
- sia effettuata la comunicazione o l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;
- sia versata contestualmente la sanzione di 258 euro.
Il perimetro applicativo della disposizione in esame sembra, ad una prima lettura, particolarmente ampio, atteso che riguarda tutte le fattispecie in cui per fruire di un beneficio fiscale, ovvero per accedere a regimi opzionali, il contribuente debba presentare una comunicazione, o una richiesta, all’Amministrazione finanziaria. In attesa di conoscere il pensiero dell’Agenzia delle Entrate, necessario e nel contempo urgente per dar modo ai contribuenti di comprendere con esattezza l’oggetto della “sanatoria”, molti operatori economici si stanno domandando in questo periodo se sia possibile sanare, tramite la disposizione di cui all’art. 2 del DL n. 16/2012, anche la mancata iscrizione al VIES, quale condizione necessaria per poter effettuare operazioni intracomunitarie.
A tale proposito, infatti, l’Agenzia delle Entrate, dapprima nella circolare n. 39/2011 e successivamente nella recente risoluzione n.42/2012, ha precisato che, in assenza di regolare iscrizione al VIES:
- le cessioni e le prestazioni di servizi intracomunitarie effettuate da un soggetto IVA nazionale, non iscritto nel VIES, devono essere assoggettate ad IVA in Italia, in quanto operazioni “interne” e non intracomunitarie;
- specularmente, si precisa nella risoluzione n. 42/2012, “l’acquirente italiano non regolarmente iscritto al VIES, ricevuta la fattura senza IVA dal fornitore europeo, non deve procedere alla doppia annotazione della stessa nel registro delle fatture emesse e nel registro degli acquisti, non essendo applicabile il meccanismo dell’inversione contabile”.
Premesso che l’iscrizione al VIES deve essere richiesta prima dell’effettuazione delle operazioni intracomunitarie, per l’effettuazione delle quali è tra l’altro richiesto un lasso temporale di 30 giorni dalla data della richiesta, è necessario verificare se tale “iscrizione” costituisca o meno la condizione per fruire di benefici fiscali, ovvero per accedere ad un regime fiscale opzionale. Relativamente al primo aspetto, a parere di chi scrive l’iscrizione al VIES non costituisce una condizione per fruire di benefici fiscali, in quanto il regime IVA delle operazioni intracomunitarie non presenta particolari benefici fiscali, atteso che le disposizioni del DL 331/93 prevedono il regime della tassazione a destino dell’operazione intracomunitaria, in luogo di quello, tipico delle operazioni interne, della tassazione nel luogo di partenza.
VIES come condizione per accedere a un regime fiscale opzionale
Più delicato, invece, è il secondo aspetto, quello relativo ai regimi fiscali opzionali, in quanto è necessario chiedersi se l’iscrizione al VIES, quale condizione per operare in ambito comunitario, costituisca o meno un regime fiscale opzionale. Tenendo conto delle interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate, in precedenza riportate, e in attesa di conoscere il pensiero definitivo dell’Amministrazione finanziaria a tale riguardo, la risposta potrebbe essere affermativa, in quanto l’Agenzia stessa sembra di fatto sostenere che l’iscrizione al VIES costituisca una sorta di opzione per poter applicare il regime proprio delle operazioni intracomunitarie (tassazione a destino), in assenza della quale si rende applicabile il regime “naturale” delle operazioni ai fini IVA (tassazione nel luogo di partenza). Tale interpretazione, che si riscontrerebbe anche nel pensiero dell’Agenzia (circ. n. 39/2011 e ris. n. 42/2012), costituisce di fatto un naturale effetto del rapporto che sussiste tra la disciplina generale dell’IVA, contenuta nel DPR 633/72, e quella “derogatoria” prevista per le operazioni intracomunitarie, di cui al DL 331/93, applicabile in presenza dei requisiti ivi contenuti, e previo esercizio dell’“opzione” che si materializza con la richiesta di iscrizione al VIES. In assenza di tale opzione, quindi, torna naturalmente applicabile il regime proprio previsto dalle disposizioni “nazionali” del DPR 633/72. 

lunedì 7 maggio 2012

Contratti di rete pronti al decollo

Bruno Pagamici
ITALIA OGGI - 7 maggio 2012

Disco verde per le agevolazioni fiscali a favore delle reti d’impresa. Dal 2 al 23 maggio 2012 le imprese che hanno aderito a un contratto di rete possono presentare il modello «Reti». L’invio del documento, con riferimento al periodo d’imposta in corso al 31/12/2011, consente di poter beneficiare dell’agevolazione fiscale prevista dall’art. 42 comma 2-quater del dl 78/2010, convertito nella legge 122/2010. Si tratta di un regime di sospensione d’imposta per la quota degli utili d’esercizio accantonata in una apposita riserva (per un massimo di 1 milione di euro per ciascuna impresa). Il tutto finalizzato all’esecuzione degli investimenti previsti dal programma comune di rete. Sulla questione è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la circ. 14/4/2011 n. 15/E, mentre il modello per la comunicazione dei dati per accedere all’agevolazione (il cosiddetto modello «Reti») è stato approvato con provvedimento direttoriale n. 31139 dello scorso 14 aprile 2011. Le risorse messe a disposizione per il 2012 a favore delle reti d’impresa ammontano a 14 milioni di euro.
Ambito soggettivo.
Secondo la circ. n. 15/E/2011, possono beneficiare dell’agevolazione tutte le imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete iscritto presso il registro delle imprese e asseverato. L’accesso alle agevolazioni è riservato a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali, dalla tipologia di attività svolta o dal settore economico di riferimento e dalla localizzazione territoriale.
http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Home/CosaDeviFare/Richiedere/Agevolazioni/Agevolazioni+Reti+di+imprese/

Condizione per l’agevolazione.
I presupposti per beneficiare dell’agevolazione sono:
1) adesione al contratto di rete;
2) accantonamento dell’utile di esercizio in una specifica riserva.
Dell’istituzione della riserva deve essere data informazione nei seguenti modi:
- in nota integrativa, per i soggetti tenuti per legge alla redazione della stessa;
- integrando le scritture contabili previste dall’art. 2217 c.c., secondo comma, con apposito prospetto (bilancio e inventario) dal quale dovranno risultare la destinazione a riserva dell’utile d’esercizio e le vicende della riserva, nel caso di imprenditori individuali e società di persone che rientrano nei limiti del regime di contabilità semplificata;
3) asseverazione del contratto di rete.
I requisiti devono sussistere al momento della fruizione dell’agevolazione, ovvero al momento del versamento del saldo delle imposte dovute per il periodo d’imposta relativo all’esercizio cui si riferiscono gli utili.
Investimenti rilevanti.
II dl 78/2010 nulla dispone in merito all’individuazione degli investimenti previsti dal contratto di rete, da eseguirsi entro l’esercizio successivo. Sulla questione è invece intervenuta la circolare n. 15/E/2011 la quale ha chiarito che, in termini generali, possono essere considerati ammissibili i costi:
- sostenuti per l’acquisto o l’utilizzo di beni, non necessariamente strumentali, e di risorse umane;
- relativi a beni, servizi e personale messi a disposizione, da parte delle imprese aderenti, del contratto di rete (in tal caso, rileva il loro costo figurativo).
Occorre in ogni caso dimostrare, anche con adeguata documentazione, che i suddetti costi sono stati effettivamente sostenuti per la realizzazione degli investimenti previsti nel programma di rete. Per quanto concerne il termine di effettuazione di questi ultimi, l’Agenzia ha chiarito che il vincolo dell’esercizio successivo è computato con riferimento alla data della delibera di accantonamento degli utili all’apposita riserva, e non alla loro mera maturazione. Se la destinazione è decisa il 30 aprile 2012, in sede di approvazione del bilancio dell’esercizio 2011, il termine di effettuazione degli investimenti corrispondenti all’utile accantonato è individuato nel 31 dicembre 2013, ovvero entro l’esercizio successivo alla delibera. Naturalmente, non sussiste alcun obbligo di realizzazione di tutti gli investimenti previsti dal programma entro tale termine, in quanto l’adempimento riguarda solo l’impiego degli utili che hanno beneficiato della sospensione d’imposta: al contrario, il timing di sostenimento dei costi rimane quello riportato nel programma comune.
Agevolazione.
Il beneficio si sostanzia in una variazione in diminuzione ai fini delle imposte sui redditi (Irpef/Ires), con esclusione dell’Irap. Essa può essere fruita esclusivamente in sede di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per l’esercizio cui si riferiscono gli utili accantonati al fondo patrimoniale comune, ovvero al patrimonio destinato. Per l’anno fiscale successivo, l’acconto delle imposte dirette è determinato assumendo come tributo del periodo precedente quello che si sarebbe ottenuto in assenza dell’agevolazione. Sul punto, l’Agenzia ha chiarito che gli eventuali versamenti in acconto eccedenti, al momento del saldo, per effetto dell’applicazione del regime di sospensione di imposta generano un credito Irpefllres utilizzabile secondo le modalità ordinarie.
Modello Reti.
L’accesso al beneficio fiscale richiede la preventiva presentazione del modello Reti e poi la compilazione degli appositi righi dell’Unico. Il modello deve essere utilizzato per comunicare ai fini della fruizione dei vantaggi fiscali, i dati delle imprese appartenenti ad una delle reti d’impresa. L’adempimento deve essere assolto esclusivamente in via telematica, direttamente (per i soggetti abilitati dall’Agenzia), oppure tramite gli intermediari incaricati dal dpr 322/98, nel periodo compreso tra il 2 e il 23 maggio 2012, relativamente al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011. Decorso tale termine di scadenza, l’amministrazione finanziaria prenderà in considerazione esclusivamente le comunicazioni di rinuncia, totale o parziale, all’agevolazione. La comunicazione è composta dal frontespizio e dal quadro A (in cui vanno indicati l’importo corrispondente alla quota degli utili accantonati destinati al fondo patrimoniale o al patrimonio destinato all’affare, rigo Al, colonna 1), relativamente al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011, nonché il relativo risparmio d’imposta (rigo Al, colonna 2). L’importo da indicare nel rigo Al, colonna 1, non può superare il limite di 1 milione di euro, anche nell’ipotesi che l’impresa aderisca a più di un contratto di rete.
Calcolo del risparmio fiscale.
Il risparmio di imposta da indicare nella colonna 2, rigo Al, deve essere determinato secondo i criteri individuati dalla circolare n. 15/E/2011, differenziati in base alla tipologia di contribuente:
- soggetti Ires: applicazione dell’aliquota del 27,50% all’importo della variazione in diminuzione dal reddito d’impresa, comunque non superiore a un milione di euro, pari alla quota agevolabile accantonata nell’apposita riserva in sospensione d’imposta;
– imprenditori individuali: differenza tra l’Irpef riguardante il solo reddito d’impresa (senza tenere conto di altri redditi posseduti) al lordo della variazione in diminuzione, nel limite massimo di un milione di euro, e quella al netto. Per esempio, se il reddito d’impresa, senza l’accantonamento, è di 100 mila euro e, per effetto della variazione fiscale, si riduce a 80 mila euro, il risparmio d’imposta è individuato come differenza di Irpef calcolata sui due importi. Deve, inoltre, essere considerato il risparmio d’imposta relativo all’addizionale regionale e comunale all’Irpef, ove prevista, utilizzando l’aliquota del comune di domicilio fiscale. In caso di perdita, il risparmio dell’imposta dovuta è determinato applicando le aliquote progressive Irpef all’importo deducibile dal reddito d’impresa, corrispondente all’ammontare dell’accantonamento;
– società di persone e società di capitali «trasparenti»: somma delle minori imposte dovute da ciascun socio, relative al reddito da partecipazione in tali imprese, computate secondo i criteri di cui al punto precedente

Niente decadenza della dilazione per tardivo versamento di appena 4 giorni

I giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Genova fanno proprio il principio di buona fede e di leale collaborazione.

Alfio CISSELLO

Diversi autori si sono soffermati sulla legittimità della condotta, varie volte posta in essere dagli Uffici, relativa al disconoscimento del beneficio del termine o di istituti deflativi del contenzioso per violazioni del contribuente a dir poco irrisorie .
Un esempio contribuisce ad inquadrare la problematica.
Un contribuente riceve una comunicazione bonaria e decidere di non contestare la pretesa in quanto fondata: per questo motivo, egli intende avvalersi della dilazione delle somme ai sensi del DLgs. 462/97, ma versa la prima rata il trentaduesimo giorno successivo alla ricezione dell’avviso bonario.
Il comma 4 dell’art. 3-bis del Decreto richiamato stabilisce che il mancato versamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione bonaria comporta il disconoscimento della dilazione, quindi legittima l’iscrizione a ruolo delle intere somme residue.
Il contribuente si vede quindi recapitare una cartella di pagamento portante a riscossione gli interi importi.
Tale condotta, nonostante possa essere astrattamente compatibile con il dato normativo, non può essere accettata in quanto, se è vero che il mancato pagamento della prima rata causa la decadenza dal beneficio del termine, è altresì vero che esiste, come sancito dallo Statuto dei diritti del Contribuente, il principio di buona fede e di leale collaborazione.
Vi sono, inoltre, gli estremi per considerare quanto esposto espressione di un principio generale vigente in diritto tributario.
Proprio con riferimento alla dilazione degli avvisi bonari, la C.T. Prov. di Genova, con la sentenza n. 35 dello scorso 26 gennaio, ha sancito che il tardivo versamento di appena quattro giorni di una rata successiva alla prima del piano di dilazione non legittima il disconoscimento di tutto il piano di dilazione.
Al massimo, anche se il suddetto punto non è stato esaminato, si può discutere sull’applicabilità della sanzione da omesso versamento, peraltro riducibile a seguito di ravvedimento operoso.

Principio valido anche per il ravvedimento operoso

L’omesso versamento, precisa la Commissione, non può essere equiparato al tardivo versamento, “per di più di soli quattro giorni”. Inoltre, la stessa Agenzia delle Entrate, con riferimento alla dilazione dei ruoli, aveva fatto propria detta opinione (risoluzione n. 9/2001).
La prassi ministeriale, invero, altre volte ha precisato che gli omessi o tardivi versamenti non consistenti, sia in termini di ritardo che di entità, non possono comportare il disconoscimento dell’agevolazione, che spesso consiste nella dilazione degli importi.
Una conferma viene data sia con riferimento all’accertamento con adesione (circolare n. 65/2001) sia con riferimento alle somme da corrispondere a seguito di mediazione (circolare n. 9/2012).
Ora, limitatamente alla dilazione degli avvisi bonari, la questione, per le rate successive alla prima, è stata risolta dal Legislatore (la decadenza si verifica solo se una rata successiva alla prima non viene versata e la violazione non è sanata entro il termine per la rata successiva), ma il principio enunciato nella sentenza, che evidentemente si riferiva all’art. 3-bis del DLgs. 462/97 ante DL 201/2011, è sempre molto importante.

venerdì 4 maggio 2012

Patrimoniale sugli immobili esteri, per l’Ue si usano i valori catastali

La legge di conversione del DL 16/2012 ha modificato la disciplina dell’IVIE dovuta per gli immobili situati nell’Unione europea e nella SEE.


 Salvatore SANNA e Gloria POLIMENO

In sede di conversione del DL 16/2012 (conv. L. 44/2012), è stato modificato il regime dell’imposta patrimoniale dello 0,76% che le persone fisiche applicano sul valore degli immobili detenuti all’estero, prevedendo un nuovo criterio per la determinazione della base imponibile per gli immobili situati nell’Ue o nello Spazio Economico Europeo.
In linea generale, l’art. 19, comma 13 e ss., del DL 201/2011 ha disposto che l’imposta sul valore degli immobili all’estero (detta anche IVIE) sia dovuta:
- nella misura dello 0,76% del valore dei beni in esame,
- in proporzione alla quota di possesso dell’immobile e dei mesi dell’anno nei quali si è protratto il possesso. A tal fine, viene precisato che il mese durante il quale il possesso si è protratto per almeno quindici giorni deve essere computato per intero.
Con riferimento al valore degli immobili sul quale applicare l’imposta, il regime ordinario prevede che occorra considerare:
- il costo risultante dall’atto di acquisto o da altri contratti;
- in mancanza, il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile.
Il Decreto sulle semplificazioni fiscali convertito è intervenuto su questa disciplina, prevedendo una specifica deroga per gli immobili situati in Paesi appartenenti all’Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni. Già a partire dal 2011 (UNICO 2012), per tali immobili si utilizzerà per base imponibile il valore catastale come determinato e rivalutato nel Paese estero.
La modifica introdotta in sede di conversione del DL 16/2012 nasce, evidentemente, dalla volontà di avvicinare il più possibile i criteri di calcolo dell’imposta patrimoniale con quelli propri dell’IMU ed evitare così eventuali censure in ambito comunitario.
Prima della conversione in legge del DL 16/2012, la base imponibile dell’imposta era identificata nel valore dell’immobile nel Paese Ue o SEE come assunto ai fini dell’assolvimento di imposte sul patrimonio o sui trasferimenti; soltanto con la versione definitiva introdotta dalla legge di conversione del DL 16/2012 è stato stabilito che il valore imponibile per gli immobili situati nella Ue o nello SEE debba essere identificato in quello catastale estero. Ad ogni modo, resta fermo che:
- in assenza di tale valore, torna applicabile il costo risultante dall’atto o dal contratto di acquisto e, in mancanza, il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile;
- è possibile beneficiare di una franchigia di 200 euro. Pertanto, l’imposta non risulta dovuta se il valore dell’immobile all’estero non supera i 26.316 euro.
Si ricorda infine che, in relazione agli immobili esteri posseduti, è possibile scomputare dall’imposta patrimoniale dovuta un credito d’imposta: pari alle imposte patrimoniali assolte all’estero, se l’immobile è situato in un Paese extra-Ue ed extra-SEE; pari alle eventuali imposte di natura patrimoniale e reddituale gravanti sullo stesso immobile (a condizione che non siano già state detratte ai sensi dell’art. 165 del TUIR), se il medesimo è situato all’interno dell’Unione europea o dello Spazio Economico Europeo.

Non bastano i dati del modulo RW

Un altro profilo interessante in merito alla nuova patrimoniale sugli immobili esteri riguarda il coordinamento tra la sua liquidazione all’interno del quadro RM del modello UNICO e la compilazione del modulo RW.
Alla luce di quanto illustrato precedentemente, infatti, i criteri per la compilazione del modulo RW e per la liquidazione della patrimoniale possono talvolta riguardare un’identica fattispecie (ad esempio, il medesimo immobile situato in Belgio) e possedere significative differenze.
Secondo quanto chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 45/2010, gli immobili esteri devono essere indicati nel modulo RW:
- al costo storico se documentato;
- ovvero, al valore normale del bene eventualmente risultante da un’apposita perizia di stima.
Ne deriva che il valore da indicare nel modulo RW, con valenza esclusivamente dichiarativa, spesso non coinciderà con il valore che deve essere considerato per il calcolo dell’imposta patrimoniale in esame e di conseguenza sarà assolutamente necessario raccogliere nuove informazioni dai contribuenti per la “campagna dichiarativa” 2012.
Ai fini della liquidazione dell’imposta patrimoniale nei righi RM33 – RM34 di UNICO, infatti, il costo storico deve essere utilizzato (se documentato):
- per gli immobili situati in Paesi non appartenenti all’Ue o allo SEE.
- soltanto in mancanza di un valore stimabile attraverso criteri catastali, se l’immobile è situato nella Ue o nello SEE.
 

mercoledì 2 maggio 2012

Regimi opzionali, efficace la comunicazione tardiva

Criticità per l’IVA di gruppo, opportunità per l’IRAP in base al bilancio
/ Michele BANA
L’art. 2, comma 1, del DL 16/2012, la cui legge di conversione (L. 26 aprile 2012 n. 44) è stata pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 85 della Gazzetta Ufficiale n. 99 del 28 aprile ed è in vigore dal giorno successivo, stabilisce che la fruizione dei benefici di natura fiscale o l’accesso ai regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione, ovvero ad altro adempimento di natura formale, non tempestivamente eseguiti, non è preclusa, purché ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni:
- la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza;
- il contribuente: sia in possesso dei sostanziali requisiti di legge; esegua l’adempimento entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile (nel caso dei contribuenti aventi il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, l’omessa comunicazione dell’opzione può, pertanto, essere sanata entro il 30 settembre 2012); versi contestualmente la sanzione di 258 euro mediante modello di pagamento F24, senza potersi avvalere della compensazione con crediti tributari. In mancanza dell’istituzione di uno specifico codice tributo, deve ritenersi utilizzabile l’identificativo “8911”.
La norma deve ritenersi applicabile retroattivamente, se favorevole al contribuente, e interessa la generalità dei regimi opzionali, come, ad esempio, quello riguardante la liquidazione e il versamento mensile o trimestrale dell’IVA di gruppo – previsto dall’art. 73, comma 3, del DPR 633/1972, così come attuato dal DM 13 dicembre 1979 – del periodo d’imposta 2011 (e 2012), il cui termine è scaduto il 16 febbraio 2011 (o 2012). La natura periodica di tali adempimenti potrebbe, tuttavia, costituire un evidente impedimento oggettivo alla regolarizzazione ex-post dell’omesso esercizio tempestivo dell’opzione, se perfezionata in un momento in cui il periodo d’imposta di riferimento potrebbe già essersi chiuso (il 2011, ma non il 2012) e i termini per le liquidazioni periodiche già decorsi (2011, e i primi tre mesi del 2012), salvo il caso in cui la controllante, pur non avendo manifestato l’opzione entro il 16 febbraio, abbia comunque liquidato e versato periodicamente l’IVA di gruppo.
Un altro possibile regime opzionale interessato dalla novità normativa è quello riservato alle società di persone e agli imprenditori individuali in contabilità ordinaria che possono avvalersi della facoltà di determinare la base imponibile IRAP – in luogo del regime naturale fondato sulle disposizioni del TUIR – secondo le medesime regole previste per le società di capitali (art. 5-bis, comma 2, del DLgs. 446/1997), ovvero il cosiddetto principio di derivazione dal bilancio. Tale possibilità è, quindi, prospettabile già rispetto all’opzione per il triennio 2011-2013 (o 2012-2014), pur non avendola esercitata tempestivamente, entro 60 giorni dall’inizio del primo periodo d’imposta di efficacia del triennio e, dunque, entro il 1° marzo 2011 (o 29 febbraio 2012).
La novità è particolarmente rilevante in relazione alla prima annualità, il 2011, in quanto il relativo esercizio si è già chiuso ed è, pertanto, possibile verificare, a differenza dell’adempimento tempestivo, l’effettiva convenienza dell’adozione dei criteri di determinazione della base imponibile IRAP secondo le regole previste per le società di capitali. Il contribuente è, infatti, in grado di conoscere, a consuntivo, la consistenza di quelle componenti reddituali (plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, oneri diversi di gestione, ecc.) del primo periodo d’imposta del triennio di efficacia della prospettata opzione, che consentono di valutare meglio l’opportunità di derogare al regime naturale fondato sulle disposizioni del DPR 917/1986, anche alla luce delle stime effettuate con riferimento agli altri due esercizi costituente il triennio di efficacia dell’opzione. Quest’ultima potrebbe, infatti, essere preferita qualora siano previste significative minusvalenze da realizzo e sopravvenienze passive, nonché spese che sarebbero, invece, soggette ad una limitazione della deducibilità in base al DPR 917/1986: al contrario, il contribuente sarà orientato ad applicare il regime naturale in previsione di plusvalenze considerevoli, o comunque eccedenti le minusvalenze e le sopravvenienze passive, irrilevanti fiscalmente in base all’art. 5-bis, comma 1, del DLgs. 446/1997.
Analogamente, la forma di regolarizzazione introdotta dal Decreto “semplificazioni tributarie” deve ritenersi prospettabile, sempre entro il 30 settembre 2012, con riferimento agli istituti speciali dell’IRES, ovvero il consolidato fiscale e la trasparenza – delle società di capitali partecipate esclusivamente da imprese della medesima natura (art. 115 del DPR 917/1986) e delle srl a ristretta base proprietaria (art. 116 del TUIR) – relativi al triennio 2011-2013, il cui termine di esercizio tempestivo dell’opzione è scaduto, rispettivamente, lo scorso 16 giugno e 31 dicembre 2011.