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venerdì 28 febbraio 2014

WEB TAX: salta la proroga al 1° luglio

Il ritiro del decreto salva-Roma non mette a rischio solo i conti della Capitale, ma fa cadere anche una serie norme che avevano prorogato altre disposizioni. Né è un esempio la proroga prevista per la WEB TAL al 1° luglio 2014. 


La Legge di Stabilità 2014 (L. 147/2013) aveva previsto nuove regole “fiscali” per imprese e professionisti per l’acquisto di servizi di pubblicità e link sponsorizzati on line (c.d. WEB TAX). Sintetizzando il contenuto della norme in questione, queste prevedono l’obbligo per i soggetti passivi di acquistareservizi di pubblicità e link sponsorizzati online da soggetti titolati di una partita IVA Italiana.

Inoltre, si prevede che gli spazi pubblicitari online e i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca (servizi di search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito internet o la fruizione di un servizio online attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti, quali editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita IVA rilasciata dall'amministrazione finanziaria italiana.

Il co. 178, dell’unico articolo della Legge di Stabilità per il 2014 (L. 147/2013), prevede inoltre che per rendere tracciabili le operazioni relative all’acquisto di servizi di pubblicità online e di servizi a essa ausiliari, il pagamento di tali operazioni deve essere effettuato esclusivamente mediante bonifico bancario o postale dal quale devono risultare anche i dati identificativi del beneficiario, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni e a veicolare la partita IVA del beneficiario.

L’entrata in vigore delle norma era fissata al 1° gennaio 2014.

Inizialmente, il Decreto Milleproroghe, Decreto Legge 30.12.2013 n° 150, G.U. 30.12.2013, approvato in via definitiva il 26 febbraio 2014, rinviava l’applicazione della WEB TAX al 1° luglio 2014.

Al momento della presentazione del Decreto Milleproroghe alle Camere per la conversione, lo stesso era stato sdoppiato e le norme che riguardavano il rinvio della WEB TAX al 1° luglio 2014 erano confluite nel D.L. Enti locali (D.L. 151/2013), nel quale erano confluite anche le norme su Roma capitale (per questo in seguito definito Decreto Salva Roma).

Il ritiro del Decreto Salva Roma produce il seguente effetto: la norma sulla WEB TAX è efficace dal 1° gennaio 2014.

L'impegno annunciato dal Governo è a “recepire con un diverso provvedimento, quelle che sono le norme ritenute indispensabili e di primaria importanza”.

Probabilmente, nel nuovo Provvedimento non confluirà il rinvio della WEB TAX, quanto piuttosto la suaabrogazione. Infatti, proprio l'attuale premier Matteo Renzi aveva chiesto durante l'approvazione della legge di stabilità al suo predecessore, Enrico Letta, di “eliminare ogni riferimento alla web tax e porre il tema dopo una riflessione sistematica nel semestre europeo”.

Ad ora l’unica certezza è che dal 1° gennaio è scattato comunque l'obbligo di tracciabilità per gli acquisti di pubblicità online.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 26 febbraio 2014

Decadenza agevolazioni prima casa

Sistema RATIO
Centro Studi Castelli

Gianluigi Fino, Pierangelo Fino

Con l'Ordinanza n. 2527 del 5.02.2014, la Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio in tema di decadenza delle agevolazioni fiscali previste per l'acquisto della prima casa.
Ai sensi della nota 2-bis dell'art. 1 del D.P.R. del 26.04.1986, n. 131 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), ai fini dell'applicazione dell'aliquota del 3% (in luogo dell'ordinaria aliquota del 7%) agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione (non di lusso) e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni:
a) che l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi
dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all'estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l'acquirente sia cittadino italiano emigrato all'estero, che l'immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l'immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall'acquirente nell'atto di acquisto;
b) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare;
c) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo.
Con particolare riferimento all'ipotesi a), la Corte di Cassazione con l'Ordinanza in commento ha stabilito che il mancato trasferimento della residenza nel Comune ove questo è ubicato entro i 18 mesi dall'acquisto dell'immobile, comporta la decadenza dal beneficio. Una deroga a tale principio non potrà trovare applicazione neppure in considerazione del fatto che l'immobile sia ancora in costruzione all'atto della registrazione della compravendita. Inoltre, argomenta la Suprema Corte, ai sensi dell'art. 76 del citato D.P.R., in caso di decadenza dal beneficio, l'imposta deve essere richiesta, entro il termine di 3 anni. Al riguardo, come rilevato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 1196 del 12.11.2000, il predetto termine triennale di decadenza decorre non dalla registrazione dell'atto, bensì dal momento in cui il contribuente perde i benefici fiscali. Chi decade dal beneficio dell'agevolazione, infine, dovrà: (i) versare l'imposta (registro, ipotecaria e catastale, o IVA) nella misura ordinaria, (ii) pagare una sanzione
pecuniaria nella misura del 30% della predetta imposta nonché (iii) corrispondere gli interessi di mora in forza del c. 4 dell'art. 55 del Testo Unico Imposta di Registro.

martedì 25 febbraio 2014

Calcoli di convenienza per la definizione agevolata

Abbiamo già avuto modo di trattare i principali aspetti relativi alla definizione agevolata dei ruoli. 



Come è stato quindi già chiarito, per la rottamazione delle cartelle è necessario il pagamento integrale delle somme entro il prossimo 28 febbraio. Non tutti gli importi sono però agevolabili: le entrate erariali come l’Irpef e l’Iva beneficiano infatti integralmente dello stralcio degli interessi di mora e di ritardata iscrizione a ruolo, mentre per le entrate non erariali come il bollo dell’auto e le multe per violazione al codice della strada l’agevolazione è limitata agli interessi di mora.


Gli importi agevolabili sono tuttavia solo quelli relativi a ruoli affidati all’agente della riscossione entro lo scorso 31 ottobre.


Non sarà possibile invece beneficiare di alcuna agevolazione per le somme dovute per effetto di sentenze di condanna della Corte dei Conti, i contributi richiesti dagli enti previdenziali (Inps, Inail), i tributi locali non riscossi da Equitalia e le richieste di pagamento di enti diversi da quelli ammessi.


Appare ovvio come la disposizione, sebbene di favore, comporti, in ogni caso, un esborso di denaro non indifferente. Non sono infatti possibili rateazioni per la definizione degli importi, in quanto resta dovuto l’integrale pagamento, in un’unica soluzione, entro il 28 febbraio.
In molti casi non è quindi così semplice poter accedere al beneficio, soprattutto ove si consideri il lasso di tempo (decisamente breve) a disposizione, e gli importi, spesso non irrisori, per i quali si deve provvedere al versamento.


Giova infatti ribadire come l’agevolazione non sia sempre così rilevante: spesso si tratta solo di poche decine di euro, in quanto gli importi sono bassi o i ruoli sono stati formati in tempi relativamente recenti.
Affinché la rottamazione delle cartelle rappresenti invece un beneficio effettivo sarà quindi preferibile provvedere al pagamento di ruoli abbastanza risalenti nel tempo, ma soprattutto di importo non trascurabile.


Pertanto, si giunge al paradossale risultato in cui, negli unici casi nei quali la definizione agevolata rappresenti una soluzione economicamente conveniente, la stessa potrà essere finanziariamente insostenibile per il contribuente, il quale è posto davanti alla necessità di effettuare pagamenti rilevanti in un brevissimo lasso di tempo.


In alcuni casi, invece, la rottamazione delle cartelle può rappresentare una buona soluzione per chi voglia estinguere rateazioni già in corso. In questo caso, infatti, fermo restando che non possono essere restituiti gli interessi sulle rate già pagate, sarà possibile ottenere uno sconto non solo sugli interessi di mora e su quelli di ritardata iscrizione a ruolo, ma anche su quelli relativi al carico residuo della rateazione.


Alcuni dubbi potrebbero tuttavia sorgere per tutti quei ruoli che comprendono non solo imposte erariali, ma anche contributi previdenziali e assistenziali.


Come abbiamo avuto modo di vedere, infatti, i contributi Inps e Inail sono esclusi dalla possibilità di definizione agevolata, per cui, qualora si volesse beneficiare della rottamazione delle cartelle, sarà comunque necessario scorporare dal totale degli importi la quota relativa alle somme non agevolabili.


Sugli importi non ammessi alla definizione agevolata sarà quindi possibile provvedere all’integrale pagamento (comprensivo degli interessi) oppure potrà essere presentata richiesta di rateazione.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 24 febbraio 2014

OPERAZIONI CON SAN MARINO

Di Paolo Meneghetti e Vittoria Meneghetti

Da pochi giorni San Marino è stata esclusa dall'elenco dei Paesi black list, il che dovrebbe alleggerire il carico di adempimenti che sono costretti a compiere i soggetti che intrattengono rapporti con tale Stato.

Fino all'anno scorso le operazioni con la Repubblica di San Marino erano connotate da complessi adempimenti che disincentivavano i rapporti con tale Stato.
 Dal 12 febbraio di quest'anno qualcosa è cambiato, poiché il ministro dell'Economia Saccomanni ha firmato l'uscita di San Marino dalla lista dei Paesi black list, anche in virtù della Convenzione tra Italia e San Marino per evitare la doppia imposizione e prevenire le frodi fiscali in vigore da gennaio di quest'anno; ciò dovrebbe consentire, per lo meno, di evitare la compilazione della comunicazione black list attraverso il modello polivalente.
Tuttavia, anche in assenza della comunicazione black list gli adempimenti richiesti restano laboriosi; ipotizzando una cessione di beni da parte di un'azienda italiana verso un'azienda (ossia soggetto munito di p.Iva) sammarinese il cedente dovrebbe gestire un complesso iter: deve emettere la fattura in 4 copie, 3 delle quali vanno consegnate all'acquirente che a sua volta deve restituirne una con il timbro a secco dell'Ufficio tributario di San Marino e con la marca perforata con l'indicazione della data. Nel caso in cui il cedente, entro 4 mesi, non riceva la copia perforata e vidimata deve darne comunicazione sia all'Ufficio tributi di San Marino sia all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate competente. Nella fattura di vendita il cedente apporrà la propria p.Iva preceduta da "IT" e il codice identificativo del cliente preceduto dalle lettere "SM" e seguito da 5 numeri e la dicitura "operazione non imponibile ex art.71, DPR 633/1972", articolo che tratta delle operazioni con San Marino (e con Città del Vaticano). Inoltre è costretto a emettere anche il DDT in 3 copie, 2 delle quali scorteranno la merce fino all'entrata nel Paese.
Una volta adempiuto alla fatturazione occorre espletare un altro adempimento nel caso in cui le cessioni di beni non siano solo verso San Marino, ma anche verso altri Stati Europei: la compilazione del Modello Intra 1-bis (parte fiscale) anche se la Repubblica di San Marino non rientra tra gli stati UE (fino a pochi giorni fa era necessaria anche la comunicazione polivalente per i paesi black list, adempimento che ad oggi parrebbe non più obbligatorio, anche se sono opportuni chiarimenti in merito).
Per quanto riguarda il modello Intrastat, dall' 1.01.2010 la relativa presentazione può avvenire solo telematicamente entro il 25 del mese successivo al trimestre di riferimento (se le operazioni nei 4 trimestri precedenti non superano 50.000 euro) o al mese della cessione (se le operazioni superano 50.000 euro).
Questione differente riguarda, invece, gli acquisti da imprese sammarinesi che possono avvenire con addebito d'imposta da parte del cedente o senza addebito. Nel primo caso il cessionario italiano dovrà annotare nel registro Iva acquisti la fattura perforata e timbrata a secco e potrà detrarre l'Iva, nel secondo caso invece, integrerà l'originale del cessionario con l'Iva e annoterà la fattura nei registri Iva acquisti e Iva vendite e comunicherà l'annotazione all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate competente. In entrambi i casi non occorre presentare il modello Intrastat.

mercoledì 19 febbraio 2014

Sanatoria delle cartelle: ultimi giorni

La definizione agevolata delle cartelle sta giungendo alla scadenza, prevista per il 28 febbraio 2014. Entro quella data, pertanto, i contribuenti avranno dovuto versare il totale degli importi dovuti al fine di beneficiare dello stralcio degli interessi di mora e di ritardata iscrizione a ruolo. 


Ma come agire praticamente?

Per poter beneficiare della rottamazione delle cartelle non sarà necessario presentare alcuna istanza agli sportelli Equitalia, in quanto la definizione si perfezionerà con il semplice pagamento del totale dovuto.

Sarà quindi consigliabile recarsi presso gli sportelli dell’agente della riscossione, al fine di poter individuare quali sono i ruoli per i quali è possibile fruire della definizione agevolata.

Non tutti gli importi sono infatti agevolabili e non tutti nella stessa misura: le entrate erariali come l’Irpef e l’Iva beneficiano infatti integralmente dello stralcio degli interessi, mentre per le entrate non erariali come il bollo dell’auto e le multe per violazione al codice della strada l’agevolazione è limitata agli interessi di mora.

La differenza non è di poco conto. Infatti, mentre gli interessi di mora sono semplicemente quelli che maturano dalla data di notifica della cartella fino a quella di pagamento, gli interessi di ritardata iscrizione a ruolo comprendono gli importi che maturano dal giorno in cui sarebbe dovuto avvenire il pagamento, fino alla data di consegna del ruolo all’agente della riscossione.

Non sarà possibile invece beneficiare di alcuna agevolazione per le somme dovute per effetto di sentenze di condanna della Corte dei Conti, i contributi richiesti dagli enti previdenziali (Inps, Inail), i tributi locali non riscossi da Equitalia e le richieste di pagamento di enti diversi da quelli ammessi.

È sempre bene ribadire, inoltre, che la definizione agevolata è consentita solo sui ruoli affidati all’agente della riscossione entro lo scorso 31 ottobre.

Una volta individuati gli importi agevolabili, sarà necessario effettuare l’integrale pagamento presso gli sportelli Equitalia oppure mediante la compilazione del bollettino di pagamento F35.

Qualora si preferisse la seconda soluzione, è necessario indicare nel campo “Eseguito da” la dicitura “Definizione Ruoli - L.S. 2014”.

Inoltre, per la corretta ricezione del pagamento, si consiglia di utilizzare un differente bollettino F35, completo di codice fiscale, per ciascuna delle cartelle/avvisi che si vuole pagare in forma agevolata.

A seguito dell’avvenuto pagamento l’Agente della riscossione provvederà a predisporre, entro il prossimo 30 giugno, l’elenco dei debitori che hanno beneficiato della definizione agevolata, con l’indicazione dei codici tributo. In base a tale elenco, inoltre, gli enti creditori provvederanno a stralciare gli importi dovuti dai contribuenti.

In ogni caso, si ricorda che fino al prossimo 15 marzo la riscossione dei debiti potenzialmente interessati dalla definizione agevolata rimarrà sospesa.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 18 febbraio 2014

Enti non commerciali: rendiconto da non dimenticare

Spesso gli enti non commerciali rappresentano una sorta di “fanalino di coda”, oggetto di scarso interesse anche da parte degli stessi associati. 


Tuttavia sottovalutarli rappresenta un grave errore. Grande è la loro diffusione, soprattutto al fine di rispondere alla nuove esigenze della nostra società, e meritano di essere considerati con la dovuta attenzione.
Ecco allora, che, se si fa un gran parlare dei bilanci di esercizio , non possono essere dimenticati i rendiconti degli enti non profit.

Tuttavia, sebbene sia ormai pacifico che sia necessaria la redazione di un apposito bilancio anche per gli enti che non perseguono finalità di lucro, e che non sono quindi tenuti al pagamento delle imposte, la disciplina codicistica non fornisce molte indicazioni riguardo agli obblighi di rendicontazione degli enti non commerciali.
La stessa infatti si limita a chiarire, all’art. 20 cod. civ., che, per le associazioni riconosciute, vige l’obbligo di convocare, una volta l’anno, l’assemblea, per l’approvazione del bilancio.
Con riferimento alle associazioni non riconosciute, invece, l’art. 36 del codice civile stabilisce che “l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati”.

Tuttavia, con riferimento alla generalità degli enti non commerciali (associazioni non riconosciute comprese), si ritiene che la redazione del bilancio rappresenti un obbligo insito nella stessa natura di ente collettivo: appare ovvio infatti come il bilancio sia uno strumento essenziale per garantire la trasparenza dell’attività nei confronti degli associati e, quindi, il rapporto fiduciario con gli stessi.
Non è mancato, inoltre, chi non abbia visto nell’art. 20 (dedicato alle associazioni riconosciute), un generico obbligo nei confronti di tutte le associazioni alla redazione del rendiconto al termine di ogni esercizio.
Inoltre, non va dimenticato come l’art. 18 del codice civile, nel rinviare all’art. 1710 cod. civ., faccia sorgere un vero e proprio obbligo di rendiconto in capo agli amministratori, in quanto risultano applicabili le regole del mandato.

In generale, però, si può dire che non vi sono vere e proprie disposizioni legislative che possano guidare il redattore nella compilazione del rendiconto, così come invece accade per le società commerciali.

Si possono rinvenire infatti solo alcune disposizioni specifiche, quali quelle relative alle ONLUS (art. 20 e ss. D.P.R. 600/73), nonché a quei particolari casi in cui sono effettuate raccolte pubbliche di fondi (D.Lgs. 460/97). Non va inoltre dimenticato l’obbligo di rendicontazione per gli enti iscritti al registro del 5 per mille.

In mancanza di un apposita disciplina civilista è possibile comunque affermare che, anche nel caso in cui non fossero tenuti alla redazione delle scritture contabili, gli enti non commerciali sono sempre sottoposti all’obbligo di rendicontazione.
Pertanto, anche l’ente che esercita soltanto l’attività istituzionale dovrà provvedere alla redazione del rendiconto.

Con specifico riferimento alle modalità di redazione e ai contenuti dei rendiconti, pertanto non può che farsi riferimento agli schemi approvati con atto di indirizzo dell'Agenzia delle Onlus n. 6 del 11.2.2009.

I documenti che compongono il bilancio di esercizio degli enti non profit possono essere individuati nei seguenti :
1) Stato Patrimoniale;
2) Rendiconto gestionale;
3) Nota integrativa;
4) Relazione di missione.
I soggetti che hanno avuto proventi e ricavi annui inferiori ad euro 250.000 possono tuttavia predisporre, in luogo dei 4 documenti appena visti, un rendiconto finanziario secondo criteri di cassa, al quale deve essere allegato un prospetto sintetico delle attività patrimoniali in essere.
Tale documento può essere definito anche “Rendiconto degli incassi, dei pagamenti e Situazione Patrimoniale”.
Autore: Redazione Fiscal Focus

Avviso bonario prima della cartella

L'invio a un indirizzo errato rende inesistente la notifica della cartella

La cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione deve essere preceduta, a pena di nullità, dall'invio di un avviso bonario con la comunicazione dell'irregolarità riscontrata. Se poi si accerta che la cartella è stata recapitata presso un luogo diverso dall'indirizzo del contribuente, il giudice tributario deve dichiarare l'inesistenza della notifica non sanabile con la proposizione del ricorso.

Sono queste le principali affermazioni di principio contenute nella sentenza 150/08/13 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria.

Il caso. 
La controversia ha riguardato una cartella di pagamento, emessa da Equitalia nei confronti di una contribuente, a seguito del controllo automatico della dichiarazione per l’anno 2007 da parte dell'Agenzia delle Entrate. Il contribuente ha presentato ricorso dinanzi alla CTP di Genova eccependo il mancato ricevimento dell'avviso bonario e l'irrituale notifica della cartella perché avvenuta presso un indirizzo non più valido da numerosi anni, come comunicato telematicamente all'Amministrazione Finanziaria. L’adito Giudice ha respinto il ricorso ritenendo che la costituzione in giudizio dell'appellante avesse sanato ogni e qualunque vizio di notifica e, in ogni caso, che fosse irrilevante il mancato invio dell’atto prodromico (ossia l’avviso bonario).

La contribuente si è rivolta alla Commissione Tributaria Regionale di Genova per chiedere la riforma della sentenza di prime cure e l’appello è stato accolto.

L’avviso bonario è atto impugnabile.
 La CTR, innanzitutto, dichiara non valida l'affermazione dell’Ufficio resistente circa la non impugnabilità dell'avviso bonario. Ciò perché la Cassazione ha ormai statuito che qualsiasi comunicazione atta a portare a conoscenza del contribuente un suo debito tributario può essere impugnata e l'avviso bonario esplicita una ben determinata pretesa tributaria ingenerando nel contribuente l'interesse a chiarire la sua posizione in maniera non più modificabile.

Comunicazione preventiva dell’esistenza di errori. Nel caso di specie, inoltre, l'Ufficio era obbligato a inviare una comunicazione preventiva, trattandosi di un errore nell'esposizione dei crediti e debiti “il che avrebbe dovuto esser portato a conoscenza del contribuente – si legge in sentenza - nei modi previsti dalla legge, ossia con avviso bonario che il contribuente (…) avrebbe potuto eventualmente impugnare e che, in ogni caso, avrebbe portato sanzioni inferiori”. Di qui l’illegittimità dell’operato dell’Ufficio.

Il Collegio ligure, infine, ha dichiarato l'inesistenza della notifica della cartella impugnata, non sanabile, a differenza della dichiarazione di nullità, con la costituzione in giudizio della contribuente. Nel caso esaminato, la cartella è stata notificata in maniera irrituale mediante posta raccomandata direttamente dal Concessionario. Come se non bastasse, l’atto di riscossione è pervenuto alla contribuente in modo “fortuito e causale”, poiché inviato presso un indirizzo non più valido da molti anni, nonostante l'Amministrazione Finanziaria fosse perfettamente a conoscenza della nuova residenza della contribuente.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 17 febbraio 2014

Canoni di locazione: ora anche in contanti

Dopo quasi un mese e mezzo il Mef interviene chiarendo la nuova disciplina sulla tracciabilità dei pagamenti dei canoni di locazione in contanti: chiarimenti che hanno l’aria di uno stravolgimento della norma, tanto sono rilevanti. 


Viene, in primo luogo, concentrata l’attenzione sull’aspetto sanzionatorio.

Come noto, infatti, in sede di prima interpretazione della norma, fu chiarito che le sanzioni applicabili nel caso in cui il canone di locazione a uso abitativo fosse stato corrisposto in contanti fossero quelle previste dalla normativa antiriciclaggio per il trasferimento di contanti ultra-soglia.

Pertanto, indipendentemente dall’importo dei canoni stessi, si riteneva applicabile la sanzione prevista in materia antiriciclaggio, dall’1 al 40% dell’importo del canone, sia in capo al locatore che al conduttore, con una soglia minima di 3.000 euro, così come previsto dall’art. 58 del D.Lgs. 231/2007.

Ebbene, con la nota prot. DT 10492 del 5 febbraio 2014, il dipartimento del Tesoro chiarisce che, “ai fini dell’irrogazione delle sanzioni comminate ai sensi del d.lgs. n. 231/07, con finalità di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, rileva unicamente il limite stabilito dall’art. 49 del citato decreto”.

Pertanto, affinché possano essere irrogate le sanzioni prima richiamate, rileva esclusivamente l’ormai famoso limite dei 1.000 euro previsto dalla disciplina antiriciclaggio.

Anche per i canoni di locazione abitativa, quindi, devono ritenersi applicabili le normali disposizioni, e scatteranno sanzioni solo nel caso in cui sia superata la soglia di 999,99 euro di trasferimenti in contanti.

Quali sono dunque le sanzioni previste per i canoni inferiori a suddetta soglia?
Questo non è dato saperlo, almeno sulla base della nota in oggetto, ma viene comunque specificato un ulteriore aspetto, che segna un ritorno al passato, quindi una sostanziale inefficacia della nuova previsione normativa.

Viene infatti stabilito che “la finalità di conservare traccia delle transazioni in contante, eventualmente intercorse tra locatore e conduttore, può ritenersi soddisfatta fornendo una prova documentale, comunque formata, purché chiara, inequivoca e idonea ad attestare la devoluzione di una determinata somma di denaro contante al pagamento del canone di locazione, anche ai fini della asseverazione dei patti contrattuali, necessaria all'ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali previste dalla legge a vantaggio delle parti contraenti”.

In considerazione del periodo prima richiamato, pertanto, si potrebbe tranquillamente ritenere assolto il nuovo obbligo di tracciabilità dei pagamenti dei canoni di locazione a uso abitativo con la consegna della vecchia e cara ricevuta di pagamento.
Un ritorno al passato, dunque, dopo due mesi di concitate rincorse di dubbi e interpretazioni.

A seguito del chiarimento fornito, quindi, le attestazioni di pagamento sarebbero altresì sufficienti al fine di poter beneficiare delle agevolazioni e delle detrazioni previste dalla legge.

Un vero e proprio stravolgimento della norma, quindi, che fa sorgere alcuni dubbi con riferimento all’aspetto che una semplicissima nota del Ministero possa incidere in maniera così forte su una disposizione normativa, come la Legge di stabilità 2014.
Autore: Redazione Fiscal Focus

sabato 15 febbraio 2014

Terreni e quote: proroga per la rivalutazione

Nella Legge di Stabilità per il 2014 rivalutazione al 1° gennaio 2014

Premessa - Tra le varie novità introdotte dal maxiemendamento alla Legge di Stabilità per il 2014 approvato dal Senato troviamo anche la rivalutazione terreni e partecipazioni. Si tratta della rideterminazione del valore d’acquisto di terreni edificabili con destinazione agricola e di partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati, attraverso il pagamento di un'imposta sostitutiva applicata sul valore stabilito e attraverso una perizia giurata.

Legge di Stabilità 2014 – 
Nel maxiemendamento alla Legge di Stabilità 2014 è prevista la possibilità di rideterminare il valore di acquisto delle partecipazioni e dei terreni posseduti alla data del 1° gennaio 2014 alla condizione che, entro il 30 giugno 2014, si provveda alla predisposizione di apposita perizia giurata da parte dei soggetti a tal fine individuati. Il precedente affrancamento, disposto dalla legge di stabilità dello scorso anno, è scaduto il 30 giugno 2013 e aveva a riferimento il valore al 1° gennaio 2013.

Pagamento imposta sostitutiva - Sempre entro il 30 giugno 2014 è necessario procedere con il pagamento integrale dell’imposta sostitutiva del 2% (rideterminazione costo delle partecipazioni non qualificate) o del 4% (rideterminazione costo delle partecipazioni qualificate o dei terreni) ovvero della prima rata dell’imposta complessivamente dovuta. Come già nelle versioni precedenti della rivalutazione, il pagamento dell'imposta sostitutiva può, infatti, essere effettuato anche in due o tre rate annuali con applicazione degli interessi del 3% annuo.

Soggetti che possono rivalutare – L’agevolazione è concessa a persone fisiche che non agiscono nella sfera dell'impresa, società semplici ed enti non commerciali; tali soggetti possono essere anche non residenti. L'usufruttuario ha titolo per rivalutare i terreni e partecipazioni, in quanto in caso di cessione limitatamente al corrispettivo percepito può realizzare plusvalenza tassabile ai sensi dell'articolo 67 del Tuir.
La convenienza - La facoltà di rideterminare il valore di acquisto dei terreni edificabili è, infatti, finalizzata alla riduzione della plusvalenza tassabile in presenza di vendita ai sensi dell'articolo 67 del Testo Unico delle imposte dirette. Si ricorda che la successione o la donazione, anche successiva all’abolizione delle relativa imposta, consente comunque di adottare il valore dichiarato ai fini delle imposte ipotecarie e catastali quale costo iniziale al fine del calcolo della plusvalenza.

Rivalutazione precedente - La proroga comprende anche la nuova opportunità prevista dalla precedente disposizione di proroga (D.L. 70/2011), con la quale si consente ai contribuenti che abbiano già effettuato una precedente rideterminazione del valore dei medesimi beni di detrarre dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione l’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata, ovvero chiedere il rimborso, il cui importo non può ovviamente essere superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 14 febbraio 2014

Srl semplificate in cerca di chiarimenti

Si è ormai chiuso l’esercizio al 31.12.2013 e le società a responsabilità limitata semplificata si sono “scontrate” con quello che inizialmente fu considerato come uno dei più grandi limiti dello statuto standard previsto per le stesse: la durata dell’esercizio sociale. 


L’inderogabilità dello statuto standard


Si deve ricordare infatti come, con il c.d. “decreto lavoro”, fu completamente sconvolta la disciplina delle società a responsabilità limitata, introducendo moltissime innovazioni, soprattutto in tema di società a responsabilità limitata semplificata.

Tra le altre cose fu altresì previsto, per questo ultimo modello societario, l’inderogabilità dello statuto standard.
Peccato però che tale statuto non fosse compatibile con le novità normative introdotte e, ancora peggio, lo stesso fosse estremamente laconico.
Soltanto otto articoli, i quali non possono essere integrati, hanno pertanto, ad oggi, l’arduo compito di disciplinare l’intera vita di una società.

È pur vero, però, che il rispetto di uno statuto standard si rese necessario al fine di evitare una sovrapposizione tra le due tipologie appena introdotte con il Decreto lavoro, cioè la SRL semplificata e la SRL ordinaria con capitale inferiore a 10.000 euro.

Su questi aspetti è recentemente tornato a soffermarsi il Ministero dello Sviluppo Economico che, con il parere del 15 gennaio 2014 Protocollo 6404, ha chiarito nuovamente che le clausole dell’atto costitutivo standard sono inderogabili.

La durata dell’esercizio sociale

Tra i primi punti sui quali si soffermò la stampa specializzata ci fu però quello relativo alla durata dell’esercizio sociale.

Nello statuto standard non era infatti accolta alcuna previsione che fissasse la scadenza dell’esercizio al 31.12 di ogni anno, ragion per cui fu sostenuto che, nel caso delle Srls, l’esercizio di riferimento era quello che decorreva dalla data della costituzione e terminava allo spirare dell’anno.

Ebbene, oggi sembra essere raggiunto un risultato: anche per le srl semplificate è possibile redigere il bilancio al 31.12.2013, senza necessità di dover considerare l’esercizio annuale.

Pertanto, ad esempio, una srl semplificata, costituita in data 3 settembre 2013 non dovrà considerare il periodo che va dal 3/09/2013 al 2/09/2014, ma potrà ritenere l’esercizio chiuso al 31.12.2013.

Ma vediamo sinteticamente quale è il processo logico che ha condotto a tale soluzione.

Alcuni Autori hanno richiamato l’art. 76 del Tuir, nel quale troviamo scritto che “se la durata dell'esercizio o periodo di gestione non è determinata dalla legge o dall'atto costitutivo, o è determinata in due o più anni, il periodo di imposta è costituito dall'anno solare”.
Ebbene, nel caso delle Srl semplificate, la durata non è determinata né nell’atto costitutivo standard né dalla legge, ragion per cui deve essere pacificamente applicabile la disposizione in oggetto, e il periodo d’imposta fiscale può coincidere con l’anno solare.

Se l’aspetto fiscale pare quindi essere stato risolto, dubbi rimangono in merito all’aspetto civilistico.

In questo caso, tuttavia, giunge in soccorso l’importante principio dell’“economia dei mezzi giuridici”, che ci consente di estendere i risultati raggiunti in ambito fiscale a quello civilistico.

Non si deve inoltre dimenticare l’esigenza di semplificazione cui risponde la stessa nascita delle srl semplificate, e che renderebbe del tutto priva di senso la fissazione di un “doppio esercizio”, uno rilevante ai fini civilistici e l’altro ai fini fiscali.

Questa tesi può essere avvalorata leggendo la nota informativa del Notariato del 5/11/2012 che, sebbene riferita alle “vecchie” srl semplificate, contiene spunti che possono essere validamente estesi anche alla nuova disciplina.
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 13 febbraio 2014

Studi di settore. KO tecnico per il Fisco

L’Ufficio deve spiegare perché ha disatteso le giustificazioni del contribuente, altrimenti l’accertamento è illegittimo

Secondo la Commissione Tributaria Regionale della Toscana (sentenza n. 135/25/13 depositata il 18 dicembre 2013), deve essere annullato l'avviso di accertamento nel quale non si è dato conto delle circostanze addotte dal contribuente nel contraddittorio preventivo.

Il caso. 
La controversia trae origine da un accertamento di maggiori ricavi a carico di una società in nome collettivo.

In sede di contraddittorio preventivo la società aveva addotto, quali elementi di fatto incidenti sulla capacità reddituale, i motivi di salute che avevano ridotto l’apporto di lavoro di uno dei due soci e l'esistenza di una causa civile che aveva bloccato un’importante commessa. Come rilevato dal collegio gigliato, nessuno di questi due elementi è stato adeguatamente considerato nell’elaborazione dell'avviso di accertamento oggetto d’impugnazione, sicché l’atto impositivo è stato annullato per palese violazione dei principi generali del giusto procedimento.

La motivazione dell’avviso. Secondo indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità, osserva il Giudice toscano, quando il contribuente partecipa al contraddittorio preventivo deducendo la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standard” o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo in esame, la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (ex multis Cass. SS.UU. n. 26638/2009).

La specifica realtà economica. Gli studi di settore, infatti, non sono altro che un’elaborazione statistica che, per quanto seriamente approssimata, può solo costituire una presunzione semplice. Ne deriva che la procedura di accertamento standardizzato, basata sugli studi di settore, non può esimersi dall'esaminare la situazione concreta nella quale il contribuente svolge la sua attività; e il momento nel quale tale esame deve essere compiuto è indubbiamente il contraddittorio preventivo, in ossequio al principio del giusto processo e della prassi amministrativa. Altrimenti lo studio di settore si trasformerebbe da mezzo di accertamento in mezzo di determinazione del reddito “con una illegittima compressione dei diritti emergenti dagli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione” (SS.UU. n. 26638/2009 cit.).

Il Fisco paga le spese. 
Ebbene, nel caso esaminato, l’Amministrazione Finanziaria non si è attenuta a nessuno dei principi sopra richiamati e tale comportamento ha inficiato irrimediabilmente l’accertamento a carico della società. Di conseguenza, l’appello di quest’ultima è stato accolto, con condanna dell’Ufficio procedente al pagamento delle spese processuali che, per entrambi i gradi di giudizio, sono state quantificate in duemila euro oltre eventuali accessori di legge.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 10 febbraio 2014

Definizione agevolata da valutare con attenzione

La c.d. “rottamazione delle cartelle” è un istituto che, sin da subito, non è parso particolarmente interessante, ma con i chiarimenti di Telefisco è diventato un beneficio da valutare con moltissima attenzione. 


Equitalia, nel corso dell’incontro, ha infatti chiarito che, se è vero che in pendenza di giudizio di primo e secondo grado le somme possono essere oggetto di definizione agevolata, rimane fermo il fatto che non può essere chiesto il rimborso qualora la parte risulti vittoriosa in giudizio.

I chiarimenti
Più nello specifico, Equitalia si è soffermata sul fatto che possono essere oggetto di definizione agevolata, tra l’altro,anche le somme iscritte provvisoriamente a ruolo in pendenza di giudizio di primo o secondo grado, ma ha altresì aggiunto che possono essere oggetto di definizione agevolata anche i tributi e i relativi accessori dovuti a seguito di liquidazione e controllo formale della dichiarazione.

Queste ipotesi vanno a sommarsi a quelle espressamente previste dal Comunicato Equitalia, tra cui le entrate erariali come l’Irpef e l’Iva, le quali beneficiano integralmente dello stralcio degli interessi, nonché le entrate non erariali come il bollo dell’auto e le multe per violazione al codice della strada, per le quali tuttavia lo stralcio è limitato ai soli interessi di mora.

Si sottolinea inoltre come sia già stato chiarito che non è impedita la definizione agevolata in presenza di rateizzazioni, sospensioni giudiziali o altre situazioni particolari.

Con specifico riferimento alla rateazione è tuttavia da ritenersi che, oltre allo stralcio degli interessi di mora, vi potrà essere quello sulle rate residue da pagare, mentre è escluso che possano essere chiesti a rimborso gli interessi già corrisposti sulla rateazione per le rate già saldate.

Sono invece espressamente escluse dalla previsione le somme dovute per effetto di sentenze di condanna della Corte dei Conti, i contributi richiesti dagli enti previdenziali (Inps, Inail), i tributi locali non riscossi da Equitalia e le richieste di pagamento di enti diversi da quelli ammessi.

È stato invece chiarito che, anche nel caso in cui penda un giudizio di impugnazione di una cartella di pagamento, il contribuente potrà richiedere la definizione agevolata per l’integrale pagamento della cartella stessa.
Tuttavia, è bene sottolineare come, in caso di integrale pagamento della pretesa tributaria oggetto di giudizio pendente si dovrebbe considerare cessata la materia del contendere.
Rimarranno quindi a carico delle parti che le hanno sostenute le spese di giudizio.

Le spese di giudizio saranno invece dovute nel caso in cui venga richiesta la sanatoria della cartella dopo che la sentenza con la quale si ha la condanna alla rifusione delle spese della lite sia divenuta definitiva.

Pertanto è necessario prestare la massima attenzione qualora si voglia procedere con il pagamento integrale di una cartella impugnata.

Il rimborso delle somme versate 
Da ultimo va sottolineato come il contribuente che si è avvalso della sanatoria delle cartelle e, in pendenza di giudizio, ha versato le somme provvisoriamente iscritte a ruolo, non potrà ottenere il rimborso delle somme versate qualora risulti vittorioso in giudizio.

Infatti, nel caso in cui il contribuente decida di aderire alla possibilità di sanatoria delle cartelle, tale scelta viene considerata definitiva e immodificabile.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 7 febbraio 2014

Notifica al coinquilino. È nulla

Cassazione Tributaria sentenza del 6 febbraio 2014

La cartella di pagamento deve essere annullata se l’atto prodromico è stato consegnato a persona che si è qualificata come coinquilino. Solo il vincolo di parentela o di affinità giustifica la presunzione che l’atto sarà consegnato al suo destinatario. È quanto ha affermato la Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile - T nell’ordinanza 6 febbraio 2014 n. 2705.

Il caso.
 Gli Ermellini hanno respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che aveva lamentato la violazione e falsa applicazione degli articoli 139, comma 2, cpc e 19 D.Lgs. 546/92, in relazione all’articolo 360 n. 3 cpc. A detta dell’Amministrazione, la CTR della Puglia aveva erroneamente escluso la ritualità della notifica dell’avviso d’accertamento inerente alla cartella di pagamento per imposta di successione, oggetto di controversia, dovendo parificarsi il coinquilino, cui era stato consegnato l’atto prodromico, alla persona “addetta alla casa”.

Consegna al coinquilino. Ebbene, i giudici del Palazzaccio ritengono la doglianza del Fisco palesemente infondata perché non linea con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità. È pacifico, infatti, che la consegna di copia dell’atto a persona che, pur coabitando con il destinatario, non sia a lui legata da rapporto di parentela o non sia addetta alla casa non è assistita dalla presunzione di consegna e non realizza la fattispecie notificatoria, con la conseguente nullità della notifica (su tutte Cass. n. 13625 del 2004).

Senza raccomandata notifica nulla. Nel caso di specie è risultato, da un alto, che la notifica del prodromico avviso di accertamento è avvenuta nelle mani “di persona che vive in casa”, dall’altro, che il destinatario non era stato informato dell'avvenuta notificazione, mediante l’invio di una raccomanda con avviso di ricevimento.

Ok consegna alla madre non convivente. Sul tema in trattazione si segnala anche la sentenza n. 7714/13 che ha considerato valida la notifica dell’avviso di accertamento nelle mani della matrigna del contribuente. In questo caso la relata indicava chiaramente che l’atto impositivo era stato notificato “presso il domicilio del destinatario a mani della madre”. È stato pertanto inutile dedurre che la consegnataria del plico, ancorché familiare, fosse residente altrove. Infatti, secondo la S.C., è proprio, e soltanto, il vincolo di parentela o di affinità - a prescindere dal requisito della stabile convivenza - a giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al suo destinatario.

Di conseguenza, mentre la disposizione dell’articolo 139 cpc non impone all’ufficiale giudiziario di indagare in merito al rapporto di convivenza indicato dalla persona che riceve l’atto, resta a carico di colui che assume di non avere ricevuto l’atto l’onere di provare in concreto la mera occasionalità della presenza, nella propria residenza o domicilio, di detta persona, non essendo sufficiente – a tale scopo - la produzione di un certificato anagrafico attestante che il familiare abbia altrove la propria residenza. Ciò perché le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo in ordine all’effettiva residenza di una persona nel luogo da esse indicato (Cass. n. 26985/09, n. 5201/12). Insomma, a fronte della relata attestante che la notifica è avvenuta nel domicilio del contribuente e a mani di un parente, nessuna rilevanza, in assenza di prove circa l’occasionalità della presenza di tale persona nel luogo suindicato, assume la circostanza che la stessa abbia la residenza anagrafica altrove.
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 6 febbraio 2014

Cartelle pazze: sospensione con un clic

Equitalia si fa sempre più vicina ai contribuenti e, nell’ottica di semplificare gli adempimenti a carico degli stessi, fornisce sul suo sito un ulteriore strumento: la possibilità di sospendere le cartelle di pagamento non dovute semplicemente dal computer di casa, senza necessariamente recarsi allo sportello. 


Sebbene infatti i servizi forniti da Equitalia siano notevolmente migliorati nel corso del tempo e siano davvero in estinzione tutti quei casi in cui gli importi richiesti da Equitalia sono diversi da quelli effettivamente notificati al contribuente dagli enti creditori, può continuare ad accadere che vi siano degli errori.

Ciò avviene soprattutto in tutti quei casi in cui l’ente creditore fornisce a Equitalia delle informazioni errate o parziali, oppure quando non comunica delle intervenute cancellazioni del debito.
Ecco perché è stata introdotta questa nuova possibilità, che consente ai contribuenti di richiedere la sospensione semplicemente con un clic dal sito di Equitalia.

Tale possibilità era prevista anche in passato, sebbene finora la domanda potesse essere presentata soltanto allo sportello, via fax, via e-mail oppure tramite raccomandata con ricevuta di ritorno.

Risale infatti al 2010 la direttiva interna di Equitalia con la quale si prevedeva la sospensione della riscossione direttamente tramite l’agente della riscossione stesso, e con la Legge di stabilità 2013 tale possibilità è stata accolta in un testo legislativo.

È quindi consentito ai contribuenti chiedere direttamente ad Equitalia la sospensione della riscossione, senza presentare richieste ad uffici diversi, in tutti i casi in cui sia intervenuta la prescrizione o decadenza del credito prima della formazione del ruolo, vi sia stato un provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore, sia stata disposta la sospensione amministrativa (dell’ente creditore) o giudiziale, sia stata emessa sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, sia stato effettuato il pagamento, oppure sia intervenuta qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito.

In ogni caso, la domanda va inviata entro 90 giorni dalla notifica dell’atto per cui si chiede la sospensione e, a seguito della stessa, Equitalia sospende ogni attività di riscossione e invia tutta la documentazione all’ente creditore, il quale verifica la correttezza della documentazione presentata e comunica l’esito sia al contribuente sia a Equitalia per l’eventuale annullamento della cartella.
Se dopo 220 giorni dalla presentazione della domanda l’ente creditore non fornisce riscontri, le somme contestate vengono annullate di diritto.
Una procedura molto importante per il contribuente, dunque, che da oggi diviene anche estremamente semplice.
Infatti è ora possibile presentare la domanda online, attraverso il nuovo canale telematico disponibile sul sito internet www.gruppoequitalia.it.
A tal fine non sarà necessaria alcuna registrazione e non saranno necessarie password: si tratta infatti semplicemente di un percorso guidato al quale accedere entrando semplicemente nel box “Sospendere la riscossione”.
Successivamente sarà necessario inserire nell’apposito modulo online i propri dati e quelli dell’atto per cui si presenta la domanda.
È inoltre indispensabile allegare tutta la documentazione che giustifica la richiesta di sospensione (ad esempio ricevuta di pagamento, copia della sentenza) e copia di un documento di riconoscimento valido. Una volta inviata e confermata l’istanza, si riceve un riepilogo con i dati inseriti.

Pochi sono dunque i documenti necessari per accedere a questo nuovo beneficio. Basterà soltanto dotarsi di una copia della cartella di pagamento o dell’atto della procedura cautelare ed esecutiva per il quale si vuole richiedere la sospensione e di tutta la documentazione che giustifica la richiesta della sospensione stessa.
Oltre alla copia di un valido documento d’identità sarà inoltre necessaria una dichiarazione sostitutiva di certificazione (ai sensi dell'art. 46 D.P.R.445/2000) per le persone giuridiche.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 5 febbraio 2014

Invalidità. Vale il reddito personale

L'erogazione della pensione dal 28 giugno 2013 spetta sulla base del reddito personale, mentre quelle in data antecedente sulla base del reddito familiare

Premessa – A decorrere dallo scorso mese di giugno, per la concessione della pensione di inabilità conta solo il reddito personale dell’invalido senza obbligo di computare quello di altri membri della famiglia. Quindi, per le istanze d'invalidità presentate prima del 28 giugno 2013 e non ancora decise, il diritto a pensione è valutato sulla base del solo reddito personale, ma l'erogazione fino al 28 giugno 2013 sulla base del reddito familiare. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza 27812/2013, facendo il punto sulla questione del requisito reddituale per la fruizione della pensione di inabilità a carico dell’INPS, e pronunciandosi su modalità e termini di applicazioni delle disposizioni introdotte l’estate scorsa dal D.L. n. 76/2013 per risolvere l’empasse amministrativo-giurisdizionale sorta all’inizio del 2013.

Il caso – La questione, in particolare, riguarda la modifica per via amministrativa delle soglie reddituali per l’accesso alla pensione di inabilità a carico dell’INPS, che aveva posto una pesante ipoteca sulla “sorte pensionistica” di migliaia di cittadini inabili. In estrema sintesi, la questione è sorta – nel dicembre 2012 – con l’emanazione, da parte dell’INPS, di una circolare (n. 149/12) attraverso la quale veniva modificata la disciplina della pensione di inabilità, individuando ex novo il reddito familiare (non, come sino ad allora, quello personale) del richiedente, quale “tetto” per la fruibilità della pensione da parte degli invalidi totali (attualizzato per il 2013 in 16.127,30 euro lordi annui). Tuttavia, con messaggio INPS n. 717/2013, infatti, veniva decretato lo stop al nuovo criterio su indicazioni del Ministero del Lavoro che annunciò una circolare di chiarimento; circolare che non è mai arrivata. Intanto, il 28 giugno 2013 è entrato in vigore il decreto lavoro (D.L. n. 76/2013) il quale all'art. 10, c. 5 detta la soluzione normativa alla questione stabilendo che “il limite di reddito per il diritto alla pensione d'inabilità […] è calcolato con riferimento al reddito agli effetti dell'Irpef con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”. A fare subito i conti con la suddetta norma è la Corte di Cassazione, che è stata chiamata a decidere un ricorso dell’INPS avverso una sentenza della corte di appello di Messina che ha riconosciuto il diritto alla pensione a un invalido da dicembre 2006 sulla base del solo reddito personale.

La sentenza – La Suprema Corte esordisce nell’affermare che la “nuova norma si applica anche alle domande […] e ai procedimenti giurisdizionali non conclusi con sentenza definitiva alla data di entrata in vigore”, cioè al 28 giugno 2013, “limitatamente al riconoscimento del diritto a pensione a decorrere dalla medesima data, senza il pagamento di importi arretrati”, né “recupero degli importi erogati prima […]”. Data l’ambiguità dell’intervento del legislatore, la Corte trae alcuni principi “che indirizzano sia l'attività amministrativa che quella giudiziaria”. In sintesi, in base alla nuova norma, le posizioni in essere al 28 giugno 2013, per domande d'invalidità presentate prima di tale data e per contenzioso pendente alla stessa data, vanno valutate in questo modo: il diritto alla pensione è accertato sulla base del solo reddito personale; l'erogazione della pensione dal 28 giugno 2013 spetta sulla base del reddito personale; l'erogazione della pensione prima del 28 giugno spetta sulla base del reddito familiare. Nel caso di specie, quindi, la norma contenuta nel recente decreto lavoro (D.L. n. 76/2013) volge a favore dell’INPS, in quanto prima del 28 giugno 2013, la pensione è erogata sulla base del requisito “familiare”.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 4 febbraio 2014

Prima casa. Il separato perde il bonus

Cassazione Tributaria sentenza del 3 febbraio 2014

Decade dalle agevolazioni “prima casa” il contribuente che, in occasione della separazione consensuale, trasferisce la proprietà della casa familiare all’ex, senza acquistare un altro immobile entro un anno.

È quanto emerge dalla sentenza 3 febbraio 2014 n. 2263 della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile.

Il caso. La Commissione Tributaria Regionale di Genova ha annullato un avviso di liquidazione per il recupero delle ordinarie imposte di registro, ipotecarie e catastali notificato a un contribuente che aveva trasferito la proprietà dell’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, entro il quinquennio, senza provvedere all’acquisto di un'altra abitazione entro l’anno successivo. Il giudice di secondo grado ha motivato la sua decisione nel senso che il trasferimento della casa familiare, avvenuto a seguito di separazione consensuale, trovava il suo titolo nel relativo provvedimento di omologazione del Tribunale, che costituiva pur sempre “provvedimento decisionale”.

Le doglianze del Fisco. Avverso il verdetto di secondo grado ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate evidenziando che, nel ritenere illegittima la revoca dell’agevolazione, la CTR non aveva considerato, da un lato, che la cessione della casa attuata in sede di separazione consensuale comporta, pur sempre, il trasferimento del diritto reale sul bene, dall’altro, che il fenomeno traslativo è costituito dall’accordoassunto volontariamente dai coniugi, e non dal relativo provvedimento di omologazione.

Ok al recupero delle maggiori imposte. 
Il ricorso dell’Amministrazione ha fatto centro. La Suprema Corte ricorda che le convenzioni concluse dai coniugi in sede di separazione personale, contenenti attribuzioni patrimoniali relative a beni mobili o immobili, non sono né legate alla presenza di un corrispettivo né costituiscono propriamente donazioni, ma rispondono, di norma, al peculiare spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale”, in funzione della complessiva sistemazione solutoria/compensativa di tutta la serie di possibili rapporti aventi significati patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale (cfr. Cass., sentenze n. 5741/2004 e n. 5473/2006).

Ne deriva che il regolamento concordato tra i coniugi, pur acquistando efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione (cfr. Cass. n. 9174/2008), trova la sua fonte nell’accordo delle parti: il trasferimento di un bene attuato mediante la fattispecie complessa cui dà vita il procedimento di cui all’articolo 711 c.p.c. costituisce, comunque, un trasferimento riconducibile alla volontà del cedente.
Ebbene, la sentenza gravata non si è attenuta a tale principio. Gli Ermellini l’hanno pertanto cassata, con conseguente rigetto del ricorso originario del contribuente. La causa, infatti, è stata decisa nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Le spese sono state interamente compensate tra le parti.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 3 febbraio 2014

Cartelle Equitalia: si alla notifica diretta per posta

Il concessionario può notificare la cartella per raccomandata senza avvalersi di altri soggetti

La notifica della cartella di pagamento direttamente eseguita dall’Agente della riscossione per mezzo del servizio postale non è inesistente, ma perfettamente valida. Lo sostengono due recenti pronunce di merito, una della CTR di Milano e l’altra della CTP di Lecce, alimentando, di fatto, un contrasto giurisprudenziale sul punto.

Una gran parte della giurisprudenza di merito (ex multis: CTR Roma n. 82/2009; CTR Milano n. 61/2010; CTP Milano n. 75/2011; CTP di Campobasso n. 233/2011, n. 113/2012, n. 36/2013 e n. 134/2013, nonché GdP di Genova n. 4486/2012) considera nulla la cartella esattoriale notificata direttamente dall’Agente della riscossione attraverso la modalità della spedizione a mezzo posta con raccomandata A/r, ritenendo sempre necessario l’intervento dei soggetti tassativamente previsti e abilitati dall’articolo 26 primo comma del D.P.R. n. 602/1973. Tale assunto muove dall’osservazione che l’articolo 26 citato ha permesso, sino alla sua modifica del 1° luglio 1999, la possibilità di notificare le cartelle “[…] anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento”. Con il mutamento della disposizione di legge (dapprima ex art. 12 del D.Lgs. n. 46 del 1999, e poi ex art. 1 del D.Lgs. n. 193 del 2001) è stato però eliminato l’inciso “da parte dell’esattore”, cosicché il legislatore avrebbe escluso i soggetti che, nella precorsa consuetudine, notificavano le cartelle esattoriali tramite raccomandata con avviso di ricevimento in assenza della necessaria relata di notifica. In buona sostanza, quindi, dal 1999 l’Agente della riscossione non sarebbe più autorizzato a notificare direttamente per posta la cartella di pagamento.

CTR Lombardia
. Con sentenza n. 82/19/13, pubblicata lo scorso 27 luglio, la CTR meneghina ha respinto il ricorso di un contribuente che ha impugnato una cartella di pagamento inerente al bollo auto. Il ricorrente ha eccepito senza successo la nullità della cartella per inesistenza giuridica della notifica, poiché compiuta direttamente per posta dal concessionario della riscossione. Ebbene, discostandosi dal nutrito filone giurisprudenziale di cui si è detto, i giudici regionali della Lombardia affermano: “Regolare risulta infine la notifica della cartella eseguita a mezzo del servizio postale come recentemente riaffermato dalla Suprema corte: ‘la notifica della cartella di pagamento è specialmente disciplinata dall’art. 26, D.P.R. n. 602 del 1973e può farsi direttamente dal concessionario mediante lettera raccomandata senza affidamento a soggetti abilitati’ (Cass. Civ. 4.4.2013, n. 8321)”.

CTP Lecce.
 Analoga posizione è stata espressa dalla CTP di Lecce nella sentenza 635/02/13, pubblicata il 31 dicembre scorso. Il Collegio salentino, infatti, richiamando anch’esso la giurisprudenza dei supremi giudici (sentenza 14327/2009 e ordinanza 1056/2011), ha osservato che, in tema di notifica a mezzo posta della cartella esattoriale, trova applicazione l’articolo 26 del D.P.R. 602/1973, per il quale la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di raccomandata con avviso di ricevimento. In un’ipotesi siffatta l’atto è notificato in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente e dal consegnatario, senza necessità di redigere la relata di notifica, com’è confermato per implicito dall’articolo 26 citato, penultimo comma, secondo il quale l’esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento, in ragione della forma prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’ente impositore.

Ad avviso della CTP di Lecce, in buona sostanza, il Legislatore ha attribuito al concessionario la facoltà di scelta circa il metodo da seguire per la notificazione della cartella di pagamento, e tutti i modi previsti dall’articolo 26 sono assolutamente equivalenti tra loro. “È, pertanto, priva di qualunque fondamento giuridico l’eccezione mossa dalla ricorrente, la quale fonda il proprio assunto sull’erroneo presupposto che la notifica a mezzo posta importi violazione dell’articolo 26 del d.p.r. già citato”, si legge in sentenza.
Autore: Redazione Fiscal Focus