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lunedì 23 dicembre 2013


Stabilità: confermati i bonus edili per il 2014

La legge di stabilità proroga al tutto il 2014 la detrazione per ristrutturazione e risparmio energetico

Premessa – La legge di stabilità ha confermato la proroga a tutto il 2014 per la detrazione Irpef del 50% per gli interventi di ristrutturazione (nel limite di 96.000 €) e del 65% per gli interventi di risparmio energetico. Nel 2015, i due incentivi verranno ridotti rispettivamente al 40% e al 50%. Dal 2016 rimarrà solo il bonus ristrutturazioni per una detrazione pari al 36% e nel limite i 46.000 €.

Bonus ristrutturazione - Lo scorso anno il D.L. n. 83/2012 era intervenuto sensibilmente sulla materia delle detrazioni per interventi di recupero edilizio e di risparmio energetico, sia da un punto di vista temporale, che da un punto di vista sostanziale. In estrema sintesi, le novità principali apportate dal sopra citato intervento legislativo riguardavano l’innalzamento, per il periodo 26 giugno 2012 - 30 giugno 2013, al 50% della detrazione per le spese sostenute per interventi di recupero edilizio ex art. 16-bis TUIR (la detrazione a regime è pari al 36%) e l’innalzamento del limite massimo di importo detraibile 50%, sempre per il periodo 26 giugno 2012 - 30 giugno 2013, che passava da € 48.000,00 ad € 96.000,00. Nel 2013, attraverso il D.L. n. 63/2013 e la relativa Legge di conversione la detrazione Irpef per interventi di recupero edilizio del 50% e l’innalzamento del tetto da 48.000 a 96.000 sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2013.

Legge di stabilità – Ora con la legge di stabilità 2014 la detrazione in questione è stata prorogata fino alla fine del 2014. Le spese sostenute nel 2015 saranno poi agevolate con una detrazione fiscale del 40%. Nel 2014 e nel 2015 il tetto di spesa agevolabile resta fermo a 96 mila euro. A partire dal 2016 il bonus torna invece all’aliquota ordinaria del 36% e il tetto di spesa scende a 48 mila euro.
Risparmio energetico – Anche per quanto riguarda il risparmio energetico il D.L. n. 83/2012, aveva prorogato la detrazione Irpef/Ires del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti di cui all’art. 1, commi da 344 a 349, Finanziaria 2007, relativamente alle spese sostenute nel periodo 1.1 – 30.6.2013, fermi restando i requisiti richiesti ed i valori massimi di spesa. Successivamente il decreto legge n. 63/2013 aveva poi prorogato al 31 dicembre 2013 la detrazione fiscale per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Inoltre, lo stesso decreto aveva innalzato dal 55% al 65% la percentuale di detraibilità delle spese sostenute nel periodo che va dal 6 giugno 2013 (data di entrata in vigore del decreto) al 31 dicembre 2013.

Proroga – Con la legge di stabilità la detrazione in questione è prorogata fino al 31 dicembre 2014. La detrazione nella misura del 65% spetta per le spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici prevista dall’art. 1, commi da 344 a 349, Finanziaria 2007 ed è usufruibile in 10 quote annuali di pari importo. Considerato che detta detrazione può essere utilizzata sia da persone fisiche che da soggetti operanti in regime d’impresa, la detrazione potrà essere fruita dalle persone fisiche “private” e dai lavoratori autonomi, sulla base del principio di cassa, mentre dalle imprese/società secondo il principio di competenza. Le spese agevolabili, il limite e la percentuale di detrazione variano sulla base del tipo di intervento partendo da una detrazione massima di 100.000 (65% su una spesa di 153.846,15) prevista per la riqualificazione energetica globale per finire con una detrazione di 30.000 (65% su una spesa di 46.153,85) per la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale.
Interventi antisismici – Infine anche la detrazione del 65% per gli interventi antisismici viene prorogata fino al 31.12.2014. Successivamente a partire dal 01.01.2015 e fino al 31.12.2015 tali interventi godranno della detrazione del 50%.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 20 dicembre 2013

Impianti fotovoltaici: il trattamento fiscale

Con la circolare n. 36 l’Agenzia delle Entrate fa il punto del trattamento tributario

Premessa – L’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 36/E del 19 dicembre, fa il punto sugli impianti per la produzione di energia fotovoltaica, focalizzandosi, in particolare, sulle conseguenze che derivano in materia catastale e tributaria a seconda della qualificazione degli stessi come beni mobili o immobili.

Fotovoltaico tra beni mobili e immobili, ecco come distinguerli - La circolare pone l’accento sulla corretta qualifica mobiliare o immobiliare degli impianti. Si considerano beni immobili quando costituiscono una centrale di produzione di energia elettrica che può essere autonomamente censita nella categoria catastale D/1 “opifici” oppure D/10 “fabbricati per funzioni produttive connesse ad attività agricole”, nel caso in cui abbiano i requisiti di ruralità. Inoltre, si considerano immobili quando sono posizionati sulle pareti di un immobile o su un tetto e per esse sussiste l’obbligo della dichiarazione di variazione catastale. A questo proposito, il documento precisa che la dichiarazione di variazione catastale è necessaria quando l’impianto fotovoltaico integrato su un immobile ne incrementa il valore capitale (o la redditività ordinaria) di almeno il 15%. In questo caso, infatti, l’impianto non è accatastato autonomamente, ma aumenta la rendita catastale dell’immobile principale, senza mutarne la classificazione. Sono, invece, classificabili come beni mobili quando non è necessario dichiararli al Catasto né autonomamente né come variazione dell’unità immobiliare di cui fanno parte perché rispettano specifici requisiti in termini di potenza e dimensioni.

Esenzione – La circolare, nel capitolo dedicato al trattamento Iva delle cessioni di impianti considerati beni immobili, precisa che l’aliquota ridotta al 10% si applica all’acquisto o alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte solare-fotovoltaica e spiega quali sono. Si definiscono così gli impianti in grado di produrre e fornire elettricità di potenza tale da poter essere utilizzata o immessa nella rete di distribuzione e che, a questo scopo, contengano quei componenti necessari individuati nella norma CEI 82-25.

Impianti fotovoltaici realizzati su beni di terzi - Fiscalmente, il costo dell’impianto, a seconda che risulti iscritto tra le Immobilizzazioni materiali o tra le Altre immobilizzazioni immateriali dello Stato patrimoniale, concorrerà alla determinazione del reddito d’impresa, rispettivamente, ai sensi dell’articolo 102 del Tuir, attraverso la procedura di ammortamento; ovvero, ai sensi dell’articolo 108, comma 3, del Tuir, come spesa relativa a più esercizi, nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio. Non spetta il rimborso dell’Iva assolta sull’acquisto o sulla realizzazione dell’impianto.

Trattamento fiscale "V Conto energia" - Il decreto Mef del 5 luglio 2012 ha introdotto il “V Conto energia”, in base al quale ai produttori di energia fotovoltaica sono corrisposti due diversi incentivi: tariffa premio e tariffa omnicomprensiva, erogati, rispettivamente, in relazione all’energia prodotta e autoconsumata e all’energia prodotta e immessa in rete. Il documento di prassi chiarisce come la tariffa premio sia da intendere come contributo a fondo perduto, esclusa dal campo di applicazione Iva e imponibile ai fini delle imposte dirette e dell’Irap (se percepita nell’ambito di un’attività commerciale). La tariffa omnicomprensiva si configura invece come corrispettivo e, pertanto, se erogata a un soggetto che svolge attività commerciale o di lavoro autonomo, è rilevante ai fini dell’Iva, delle imposte dirette e dell’Irap.
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 19 dicembre 2013

Il fondo patrimoniale: aspetti fiscali

Circolare IRDCEC n.27 del 18 dicembre 2013

L’IRDCEC si occupa della disciplina civilistica e fiscale del fondo patrimoniale, strumento di difesa del patrimonio familiare dall’aggressione dei terzi creditori.

Disciplina civilistica -
 L’art. 167 del c.c. prevede che il fondo patrimoniale possa essere costituito dai due coniugi con atto pubblico da un terzo, anche mediante testamento, e consistere nella destinazione di determinati beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, al fine di garantire a quest’ultima una certa stabilità economica nel caso di dissesto dei singoli patrimoni dei coniugi.
I beni che possono essere destinati al fondo patrimoniale sono: quelli immobili, i mobili iscritti nei pubblici registri e i titoli di credito; i titoli, tuttavia, devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o “in altro modo idoneo ”.

Per quanto concerne le modalità di costituzione del fondo patrimoniale, detta costituzione può avvenire:
- con atto pubblico su iniziativa di uno dei coniugi o di entrambi,
- ovvero ad opera di un terzo, anche mediante testamento. Nell’ipotesi in cui la costituzione avvenga per atto fra vivi su iniziativa di un terzo, per il suo perfezionamento è necessaria l’accettazione dei coniugi. Tale accettazione non è prevista espressamente per l’ipotesi in cui alla costituzione del fondo abbia provveduto uno solo dei due coniugi.

L’art. 168 co.3 del c.c. stabilisce che per l’amministrazione del fondo valgono le regole dettate per i beni appartenenti alla comunione legale, quindi:
- l’ordinaria amministrazione spetta ai coniugi disgiuntamente;
- mentre è necessaria un’azione congiunta per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione;
- per alienare, ipotecare, dare in pegno i beni del fondo, è in ogni caso necessario il consenso di entrambi i coniugi, salvo diverse pattuizioni. Nel caso in cui vi siano figli minori, è necessaria anche l’autorizzazione del giudice che emette un provvedimento in camera di consiglio “nei soli casi di necessità o utilità evidente ”.
Il fondo patrimoniale si estingue in tutte le ipotesi di annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio 8art.171 c.c.); tuttavia, permane in vita fino al raggiungimento della maggiore età dei figli minori, ove ve ne siano, in modo tale da garantire loro il soddisfacimento dei bisogni esistenziali; mentre fra le cause di scioglimento del fondo non viene menzionata dal legislatore la volontà espressa dei coniugi, ipotesi che, tuttavia, viene ammessa, con talune limitazioni, dalla dottrina prevalente.

Esecuzione sui beni destinati al fondo - In deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore, al fine di tutelare gli interessi della famiglia, i terzi creditori dei coniugi non possono procedere all’esecuzione sui beni del fondo e sui loro frutti nell’ipotesi in cui il creditore sia a conoscenza del fatto che il debito è stato contratto per scopi estranei al fabbisogno familiare (art. 170 c.c.).
Tale deroga al principio generale dell’art. 2740 c.c. opera anche nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria (si vedano in tal senso diverse sentenze della Corte di Cassazione, che riconoscono come reato la costituzione di un fondo da parte di coniugi fortemente indebitati), nonostante l’Agenzia abbia con nota del 17.12.83 n.15/10423 specificato il contrario.

Affinché possa essere opponibile ai terzi l’appartenenza di taluni beni e frutti al fondo patrimoniale, è necessario che la costituzione di questo ultimo venga annotata a margine dell’atto di matrimonio e, secondo una dottrina minoritaria, che sia adempiuto l’onere della trascrizione nei registri immobiliari ex. artt. 2647 e 2685 c.c. (la giurisprudenza e la parte maggioritaria della dottrina ritengono sufficiente l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio), relativamente ai beni immobili o mobili registrati in esso conferiti. Nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo abbia comportato un trasferimento dei diritti reali sul bene, oltre alla costituzione del vincolo, va trascritto anche tale acquisto ai sensi di quanto disposto dagli artt. 2643 e 2684 c.c.

Profili imposizione diretta – 
La proprietà dei beni conferiti al fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione ” (art.168 c.c.). Tale locuzione sta a significare che il legislatore ha voluto riconoscere al conferente la possibilità di disporre in merito alla titolarità dei diritti reali sul bene.
Secondo l’IRDCEC, dunque se la costituzione del fondo avviene su iniziativa di uno dei due coniugi, egli ha una riserva di proprietà sul medesimo, non sussistendo in tal caso alcun trasferimento di diritti reali in capo all’altro coniuge.
Da un punto di vista tributario il fondo patrimoniale configura un patrimonio separato e non autonomo, appartenente a entrambi i coniugi e privo, anche agli effetti tributari, di soggettività giuridica.
L’istituto ritiene che l’interpretazione fornita in merito alla titolarità dei beni conferiti si coordini comunque con la disciplina fiscale, prevista dall’art.4 co.1 lett. b) del Tuir; il mancato trasferimento di ogni diritto reale in capo al coniuge non conferente non è in contrasto con i poteri di amministrazione dei beni, che comunque spettando ad entrambi.
Fiscalmente i redditi dei beni appartenenti al fondo sono imputati per metà del loro netto ammontare a ciascuno dei due coniugi, titolari del diritto di fruirne e di disporne.
Nel caso in cui si verifichi la cessazione del fondo patrimoniale in presenza di figli minori, invece, i
redditi dei beni che rimangono destinati al fondo sono imputati per intero al coniuge superstite o al coniuge cui sia stata esclusivamente attribuita l’amministrazione del fondo medesimo.

Le plusvalenze -
 Per quanto concerne le plusvalenze derivanti da cessione di beni immobili o partecipazioni appartenenti al fondo patrimoniale, l’IRDCEC conclude che sono redditi di beni appartenenti al fondo e quindi tassati ai sensi dell’art.4 del Tuir e non riconducibili, quindi, in capo al titolare dei beni medesimi.

La cedolare secca - In sede di applicazione della cedolare secca vale lo stesso criterio (cfr. Ris. n.20/E/2012).
Di conseguenza, il coniuge non titolare dell’immobile destinato al fondo patrimoniale, può anch’esso optare autonomamente per l’applicazione del regime della cedolare secca sui canoni di locazione lui imputati al 50% per effetto dell’atto di destinazione patrimoniale.

Modelli impositivi applicabili all’atto di costituzione del fondo patrimoniale - Secondo l’IRDCEC, i modelli impositivi applicabili all’atto della costituzione del fondo patrimoniale sono i seguenti:
- fondo patrimoniale costituito da entrambi i coniugi con beni in comunione legale: imposta fissa di registro;
- fondo patrimoniale costituito con beni di proprietà esclusiva di uno dei coniugi che se ne riserva la titolarità: imposta fissa di registro;
- fondo patrimoniale costituito da uno dei due coniugi con beni personali, senza riserva di titolarità sui beni: imposta di donazione e successione su una base imponibile pari al 50% del valore del bene trasferito (corrispondente alla quota di bene che viene trasferita all’altro coniuge), con un’aliquota del 4% sul valore eccedente la franchigia di 1 milione di euro;
- fondo patrimoniale costituito da un terzo (a prescindere dalla manifestazione o meno di una riserva di titolarità sui beni): imposta di donazione e successione su una base imponibile pari al 100% del valore del bene trasferito, con aliquota e franchigia variabili in funzione del rapporto esistente fra il terzo e ciascuno dei due coniugi.

Scontano comunque autonoma imposizione, a prescindere dalle imposte già assolte, le successive eventuali attribuzioni di beni, conseguenti al venir meno del fondo patrimoniale; come, per esempio, in ipotesi di scioglimento del matrimonio con attribuzione dei beni in proprietà ai figli, per disposizione del giudice.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 18 dicembre 2013

Caos Srl: il Notariato fornisce alcuni chiarimenti

Le nuove Srl e Srls presentano una disciplina di favore che in alcuni punti risulta essere ancora oscura, soprattutto a causa dei numerosi interventi legislativi che si sono succeduti in un brevissimo lasso di tempo: interventi che, come noto, sono stati spesso dettatati dall’esigenza di dover fornire all’ordinamento risposte rapide per lo sviluppo della competitività delle imprese in un contesto di forte crisi economica. 


Come non dimenticare infatti le effimere società a responsabilità limitata a capitale ridotto: introdotte dall’art. 44 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, sono state eliminate dall’ordinamento con il D.L. 28 giugno 2013, n. 76.

Ad oggi pertanto tre sono le soluzioni che possono essere adottate da coloro che intendono avviare una nuova iniziativa imprenditoriale ricorrendo alla forma giuridica della società a responsabilità limitata:
1. la società a responsabilità limitata ordinaria (con capitale sociale superiore a 10.000 euro);
2. la società a responsabilità limitata a capitale minimo (con capitale sociale compreso tra 1 euro e 10.000 euro);
3. la società a responsabilità limitata semplificata.

Le tre forme societarie possono essere adottate indipendentemente da qualsiasi limite di età e prevedono una normativa diversa per rispondere alle differenti esigenze dei nuovi imprenditori.

In particolare, chi vorrà costituire una società con meno di 10.000 euro potrà ricorrere alla Srl a capitale minimo o alla Srl semplificata, nel primo caso lasciandosi la libertà di intervenire sulle diverse clausole dello statuto e dell’atto costitutivo, nel secondo caso rimanendo vincolati all’atto costitutivo standard, ma risparmiando sugli oneri di costituzione. In entrambi i casi i conferimenti dovranno essere effettuati in denaro all’atto della costituzione.

Come fa rilevare il Notariato con il suo studio dal titolo "Le nuove Srl" (n. 892/2013 del 12 dicembre 2013) può tuttavia accadere che, anche nel caso delle Srl a capitale minimo, si vogliano effettuare conferimenti di beni in natura.
La soluzione a tal fine percorribile risiede nella possibilità di iscrivere tali beni ad apposita riserva, ma occorre considerare che, sebbene costituisca una soluzione legittima, quanto appena proposto non è esente da alcuni profili problematici come ad esempio il possibile rischio di aggiramento delle norme in tema di valutazione e stima dei conferimenti.

Non bisogna inoltre dimenticare come le Srl con capitale minimo siano costrette ad accantonare un quinto degli utili (si badi bene, non un ventesimo come per le altre Srl) fino a quando le riserve e il capitale non abbiamo raggiunto la soglia dei 10.000 euro.
In considerazione di tale penalizzazione i soci potrebbero decidere di versare sin da subito un sovrapprezzo il quale, unitamente al capitale, sia di importo pari o superiore a 10.000 euro. In tal caso si ritiene, tuttavia, che tale sovrapprezzo potrà essere distribuito solo allorquando la riserva legale, sommata al capitale, abbia raggiunto il limite dei 10.000 euro.

Una volta raggiunto tale limite, però, non è necessario imputare a capitale la riserva: potrà quindi accadere che una società, anche una volta raggiunta una soglia elevata di patrimonio netto, possa continuare ad avere un capitale pari ad un euro.

Sempre nell’accantonamento delle riserve dubbi potrebbero sorgere in merito alla sovrapponibilità delle due discipline: quella delle Srl a capitale ordinario e quella delle Srl a capitale minimo.
Si pensi al caso di una Srl costituita con un capitale di euro 9.000: le nuove norme impongono di accantonare il 20% degli utili fino al raggiungimento della soglia dei 10.000 euro. Pertanto dovrebbe essere sufficiente accantonare 1.000 euro.
Successivamente è possibile procedere con la distribuzione integrale degli utili? Ebbene, in questo caso devono essere altresì richiamate le norme in tema di Srl ordinarie, secondo le quali è necessario accantonare il 5% degli utili netti annuali fino a quanto la riserva non raggiunga un quinto del capitale sociale (ovvero 1.800 euro).
Pertanto sarà necessario accantonare il 20% degli utili fino al raggiungimento della soglia di 1.000 euro e successivamente il 5% degli utili per gli altri 800 euro.
Al contrario, le società a responsabilità limitata a capitale minimo che abbiano accumulato una riserva legale che, sommata al capitale sociale, raggiunga la quota di 10.000 euro, non sono tenute a costituire successivamente una nuova riserva legale secondo le norme proprie delle Srl ordinarie.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 17 dicembre 2013

Interessi legali all’1%

Dal 2014 il tasso si abbassa di un punto e mezzo

Premessa – Per gli interessi legali misura del saggio fissata all’1 per cento a partire dall’1 gennaio 2014. La modifica stabilita dal ministero tiene conto del rendimento medio dei titoli di Stato e del tasso di inflazione annuo.

Aumento non automatico – La variazione del tasso d’interesse non avviene in modo automatico, infatti l'articolo 1284 del Codice Civile, assegna al Mef il compito di modificare gli interessi legali sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e del tasso di inflazione registrato nell'anno, con decreto da emanarsi non oltre il 15 dicembre.

Riduzione dal 1 gennaio 2014 – Con un decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze del 12 dicembre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.292 di venerdì 13 viene previsto che dal 1° gennaio 2014 calerà di un punto e mezzo percentuale la misura del tasso di interessi legali che passa dunque dall’attuale 2,5% all’1 per cento.

Ravvedimento operoso - Oltre ai riflessi sulla domanda di investimenti, sui mutui e sui finanziamenti, la variazione del tasso di interesse si fa sentire in particolare in ambito fiscale, per le somme da versare a titolo di ravvedimento operoso. Per sanare gli omessi o tardivi versamenti di qualsiasi tributo, i contribuenti hanno a disposizione tre tipi di ravvedimento, il ravvedimento "sprint" entro 14 giorni dalla scadenza, il ravvedimento breve, dal quindicesimo giorno fino al trentesimo giorno successivo alla scadenza, e il ravvedimento lungo o annuale, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel quale è commessa la violazione. In caso di ravvedimento, oltre alle somme dovute e alle sanzioni, sono dovuti gli interessi legali, nella misura dell'2,5% annuo fino al 31 dicembre 2013, e nella nuova misura del 1% dal 1° gennaio 2014.

Ravvedimento sprint -
 Con il ravvedimento "sprint", da fare entro 14 giorni dalla scadenza, la sanzione ordinaria del 30%, applicabile sui tardivi od omessi versamenti di imposte, si riduce allo 0,2% per ogni giorno di ritardo fino al quattordicesimo giorno. Dal quindicesimo al trentesimo giorno di ritardo, si applica la misura fissa del 3%, prevista per il ravvedimento breve o mensile.

Ravvedimento breve - I contribuenti che ad esempio hanno saltato l'appuntamento con i versamenti in scadenza il 2 dicembre 2013, ma che non hanno eseguito il pagamento nemmeno entro 14 giorni, hanno tempo 30 giorni per il ravvedimento breve o mensile. Gli interessi legali da corrispondere saranno del 2,5% fino al 31 dicembre.

Ravvedimento lungo – Per chi si avvale invece del ravvedimento lungo o annuale, oltre alle imposte eventualmente ancora dovute, è applicabile la sanzione fissa del 3,75% più gli interessi dell'2,5% annuo fino al 31 dicembre 2013 e del 1% dal 1° gennaio 2014, per i giorni successivi alla scadenza, fino al giorno di pagamento compreso.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 16 dicembre 2013

RC auto: le novità dal 2014

Lo scorso 13 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato novità importanti circa l’RC auto, che confluiscono nel provvedimento sul rilancio dell'economia, che il Presidente del Consiglio Enrico Letta si è impegnato a licenziare chiedendo la fiducia alle Camere. 

Le novità sulla Rc auto sono oggetto d’esame del ministero dello Sviluppo economico dallo scorso maggio e sono state definite solo ieri.
Ecco i contenuti del pacchetto:

Scatola nera: sconto minimo del 10% e piena efficacia probatoria in tribunale - Le compagnie assicurative non avranno l’obbligo di offrire la scatola nera ai propri clienti, ma quelle che decidono di farlo dovranno praticare sconti di almeno il 10%.
Le spese di montaggio e smontaggio restano a carico dell'assicurazione, ma le spese di funzionamento, come il canone del servizio satellitare, rimangono a carico dell'assicurato.
In caso d'incidente, le risultanze della scatola nera hanno piena efficacia probatoria in giudizio; quindi, se almeno uno dei veicoli coinvolti è dotato di scatola nera, il magistrato eventualmente chiamato a pronunciarsi sull'incidente dovrebbe decidere in base ai dati registrati dal dispositivo. Di conseguenza, viene sancito il divieto di smontare, manomettere o disattivare il dispositivo, per cui ogni intervento, anche di semplice riparazione, dovrebbe essere effettuato da tecnici autorizzati dalla compagnia assicurativa.

Lista dei testimoni da stilare al momento della richiesta di risarcimento – Viene messa fine alla pratica di far comparire testimoni dell'incidente a distanza di tempo: la lista di chi dichiara di aver assistito al fatto va compilata al momento in cui si chiede il risarcimento all'assicurazione. Unica eccezione ammessa è quella relativa alle testimonianze verbalizzate dalle forze dell'ordine eventualmente intervenute sul luogo del sinistro. Nemmeno il giudice ha la facoltà di ammettere nuovi testimoni in un'eventuale causa sull'incidente. Inoltre, se il giudice riscontrasse che i testimoni sono sempre gli stessi nomi comparsi anche in altre cause, deve avvisare la Procura.

Il risarcimento in forma specifica - L'obbligo di "risarcimento in forma specifica", cioè la rinuncia del danneggiato ad ottenere denaro dall'assicurazione, viene proposto in fase di stipula di una polizza e poi l'assicurato decide se avvalersene o meno, se capitasse un incidente in cui ha ragione.

In ogni caso, accettare nella polizza la clausola di risarcimento in forma specifica darebbe diritto a uno sconto minimo, anche in questo caso fissato dal Governo, pari all’8%, che potrebbe aumentare al 12% in aree a maggior rischio di frodi che andrebbero individuate con apposito D.M.

Per far riparare il veicolo, ci si affida a un carrozziere convenzionato con la compagnia, che regola i conti direttamente con essa. Non si tratta di un vero obbligo, ma di un forte disincentivo a non avvalersene, perlomeno per chi accetta in partenza la possibilità di doversi rivolgere a un'officina convenzionata: se il danneggiato sceglie lui stesso il riparatore, riceve la stessa somma che la compagnia riconosce alla carrozzeria convenzionata.

In ogni caso, il pagamento avviene direttamente dalla compagnia al carrozziere, anche quando questi non è convenzionato. Il danneggiato riceve denaro solo nel caso in cui decidesse di non far effettuare la riparazione.

Si allungano i tempi per la perizia -
 Fino al 2012 si era stabilito che le compagnie avessero solo due giorni lavorativi di tempo per mandare un perito nel luogo e negli orari indicati dal danneggiato, per verificare i danni. Successivamente il proprietario del veicolo poteva procedere alla riparazione. Invece, il nuovo pacchetto allunga il termine a 15 giorni non festivi.

Si dovrà attendere di più prima di andare in officina. E, se il veicolo non è marciante, la compagnia vedrà aumentare i costi per risarcire il fermo tecnico (periodo per il quale l'interessato non può utilizzare il suo mezzo e spostarsi in altro modo).

Risarcimenti più lenti - 
Anche i tempi concessi alle compagnie per pagare il danno dovrebbero allungarsi con il pacchetto di novità in discussione: in caso di danni a sole cose, si passerebbe da 60 a 90 giorni. Qualora la denuncia dei danni fosse firmata da tutti i conducenti coinvolti, dagli attuali 30 si passerebbe a 45 giorni.
Questo per dare alle compagnie abbastanza tempo per effettuare concreti accertamenti antifrode: da gennaio 2012 le compagnie sono obbligate a intraprenderne e a rendere conto dell'attività svolta in questo campo, ma finora i risultati sono stati scarsi e le assicurazioni hanno attribuito ciò proprio ai tempi stretti messi a loro disposizione.

Meno tempo per le denunce - Finora il Codice civile ha sempre dato due anni per denunciare un danno dopo un incidente. Per evitare che vengano fatte denunce fasulle, il termine viene abbattuto drasticamente a 120 giorni. Il principio generale dei due anni resterebbe solo per chi, avendo riportato lesioni personali, non può fare la denuncia entro i 120 giorni.

Stop alle deleghe al carrozziere - 
Spesso il carrozziere si accorda direttamente con la compagnia di assicurazione per il pagamento e al danneggiato viene fatta sottoscrivere una cessione del credito, che egli vanta verso la compagnia per il risarcimento del danno. Questa cessione del credito viene ora vietata, per evitare che il carrozziere aumenti fittiziamente i costi.

Niente più super bonus ai clienti fedeli - Negli ultimi anni, molte compagnie hanno sviluppato una classifica interna, con classi di bonus malus agevolate ad uso interno per i clienti migliori: più fedeli e senza sinistri provocati. Per evitare questo fenomeno e quindi stimolare a ogni scadenza la ricerca di polizze più convenienti da parte degli assicurati, ora vengono abolite le classi "interne" stabilite dalle compagnie.
In generale si prospetta un ridimensionamento del peso delle classi sulla determinazione della tariffa: con il diffondersi delle scatole nere, ognuno dovrebbe vedersi attribuire una tariffa in base allo stile di guida rilevato dall'apparecchio.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 13 dicembre 2013

E-commerce: se vendi in Italia, paghi qui le tasse!

Una modifica alla legge di stabilità potrebbe obbligare i venditori online a munirsi di P.Iva italiana.

Una possibile modifica - Interessanti novità nel campo del commercio elettronico sono quelle emerse in questi giorni dall’esame, in Commissione Bilancio della Camera, del disegno di legge sulla stabilità. Nello specifico, si è palesata una proposta di modifica secondo la quale, chi effettua transazioni di vendita nel nostro Paese, dunque con i canali di rete messi a disposizione dall’Italia, deve possedere una partita Iva italiana, pertanto presenta una cosiddetta ‘stabile organizzazione’ sul nostro territorio nazionale.

Le multinazionali del web – L’intervento potrebbe quindi mutare i rapporti delle grandi multinazionali della rete con il web nostrano, in quanto le obbligherebbe a rispettare gli oneri fiscale dei Paesi nei quali traggono guadagni, come appunto è l’Italia. L’intento del possibile emendamento sarebbe quindi quello di porre dei paletti a questi imprenditori cibernauti che nella maggior parte dei casi non risultano fedeli alle imposizioni nazionali. Inoltre l’intervento risulterebbe quale valido aiuto alla Polizia tributaria che al momento trova non poche difficoltà nel dimostrare la stabile organizzazione nel nostro Paese di aziende che effettuano qui le loro transazioni pur dichiarando d’aver sede in altre nazioni. Dunque, in base a questa proposta di modifica, se un ‘venditore’ online svolge la propria attività in Italia vuol dire che in Italia possiede una stabile organizzazione, non potranno quindi esser presi in considerazione escamotage che pretendono di dimostrare il contrario.

Cos’è la stabile organizzazione? –
 Fin qui, oltre ad aver indicato la possibile modifica al testo del disegno di legge sulla stabilità, abbiamo altresì posto un focus sulla questione della stabile organizzazione. Ma cosa si intende quando diciamo che un soggetto ha una stabile organizzazione in un dato stato? Ebbene, per risolvere incomprensioni e controversie sorte tra l’Amministrazione Finanziaria e contribuenti, è stata recentemente diffusa una nuova e più esaustiva definizione del concetto del quale stiamo parlando, al fine di non cadere in equivoci ed errate interpretazioni. Secondo questa ri-definizione, vediamo che “costituisce stabile organizzazione l'utilizzo abituale della rete nazionale, sia essa fissa, mobile o satellitare, per trasmettere dati da elaboratori elettronici, localizzati anche al di fuori del territorio nazionale, verso indirizzi IP italiani, al fine di fornire servizi online, ivi inclusi quelli consistenti in tutte le azioni poste in essere al fine di attribuire maggiore visibilità sulla rete internet al fruitore del servizio, compresi banner o finestre di pop up visualizzati nelle pagine web, indicizzazione e visualizzazione di link sponsorizzati sui motori di ricerca, annunci pubblicitari trasmessi via email, visualizzati all'interno di social network o per mezzo di applicazioni su dispositivi mobili".

Il dettaglio della modifica – Qualora l’emendamento venisse approvato, esso andrebbe a modificare l’articolo 17. Si tratterebbe infatti dell’articolo 17-buis della legge di stabilità, il quale sottolinea che “i soggetti passivi che intendano acquistare servizi on line sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana”. A quali servizi si riferisce l’intervento che potrebbe mutare la fisionomia del citato disegno di legge? Dunque, secondo quanto apposto dal legislatore, i servizi oggetto di interesse, venduti tramite transazioni elettroniche, sono le compravendite di "spazi pubblicitari on line, link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca (altrimenti detti servizi di search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili". Una volta approvata questa nuova disposizione, siffatti servizi potranno essere acquistati esclusivamente da soggetti che risultano titolari di partita Iva italiana, tra questi ‘venditori’ ai quali l’acquirente potrà rivolgersi vengono indicati editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altri operatori pubblicitari. Il pagamento potrà avvenire solo con modalità tracciabile, quindi avvalendosi del bonifico bancario.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 11 dicembre 2013

RAVVEDIMENTO A DOPPIO BINARIO.

In caso di omissione, regolarizzazione di acconti Irpef e Ires con scadenze diverse

Premessa – Per i contribuenti che hanno saltato l’appuntamento con il secondo (o unico) acconto delle imposte dirette è già tempo di ravvedimento. Quest’anno però a fronte di due scadenze diverse per soggetti Irpef e Ires, rispettivamente il 2 dicembre e il 10 dicembre, il calendario per ravvedersi si sdoppia.

Ravvedimento - Per evitare la sanzione del 30%, ci sono i ravvedimenti sprint, breve e lungo con mini-sanzioni e interessi del 2,5% annuo. Si possono sanare versamenti omessi o insufficienti per Irpef, Irap, Ires, cedolare secca, imposte sostitutive eccetera.

Il ravvedimento sprint può essere effettuato entro i 14 giorni successivi alla scadenza del termine per il versamento; il ravvedimento breve o mensile dal quindicesimo giorno fino al trentesimo; il ravvedimento lungo o annuale entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all'anno in cui è stata commessa la violazione.

Ravvedimento sprint - Col ravvedimento sprint, la sanzione ordinaria del 30%, applicabile sui tardivi od omessi versamenti di imposte, si riduce allo 0,2% per ogni giorno di ritardo. La misura del 30%, che si riduce normalmente al 3% in caso di ravvedimento breve o mensile entro 30 giorni, è ulteriormente ridotta a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. La misura varia dallo 0,2% per un giorno di ritardo fino al 2,80% per 14 giorni. Per i soggetti Irpef essendo la scadenza dell’acconto in calendario lo scorso 2 dicembre per poter fruire della mini sanzione prevista in casi di ravvedimento sprint c’è tempo fino al prossimo lunedì 16 dicembre. I soggetti Ires invece, avranno tempo fino a martedì 24 dicembre.

Versamento tra il 15° e 30° giorno dalla scadenza - Per i versamenti effettuati dal 15° al 30° giorno dalla scadenza, la sanzione ordinaria a carico del contribuente che non effettua in tutto o in parte il pagamento è pari al 30% dell’importo non versato. La fattispecie dell’omesso o insufficiente versamento può essere sanata versando l’imposta o maggiore imposta più la sanzione ridotta a un decimo, quindi il 3% e, infine, non ci si deve dimenticare degli interessi. Per gli acconti omessi la scadenza è il 2 gennaio 2014 per i contribuenti Irpef e il 9 gennaio 2014 per quelli Ires.

Versamento oltre il 30° giorno dalla scadenza - Anche per i versamenti effettuati oltre il 30° giorno dalla scadenza, la sanzione ordinaria a carico del contribuente che non effettua, in tutto o in parte, il pagamento rimane sempre pari al 30% dell’importo non versato. Anche in questo caso la fattispecie dell’omesso o insufficiente versamento può essere sanata versando l’imposta non versata, una sanzione un po’ più alta pari al 3,75% (1/8 del 30%) e, infine, gli interessi. Il termine ultimo per poter fruire del ravvedimento operoso è la scadenza della presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale la violazione è stata commessa. In questo caso il termine, per i soggetti Irpef e Ires è lo stesso: il 30 settembre 2014.

Modalità di versamento – 
Ricordiamo che l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 27/E del 2 agosto 2013 ha chiarito che in caso di ravvedimento, se il contribuente esegue un versamento per imposta, sanzioni, interessi in misura inferiore al dovuto, e le sanzioni o gli interessi non sono commisurati all'imposta versata, il ravvedimento si considera perfezionato con riferimento alla quota parte dell'imposta proporzionata al quantum complessivamente corrisposto a vario titolo.

Unitarietà dell’istituto - Il fatto che nel modello F24 si debba indicare separatamente imposta, interessi e sanzioni, non fa venir meno l'unitarietà dell'istituto ma, per avere evidenza dell'intenzione del contribuente di avvalersi del ravvedimento, è necessario che nel modello sia imputata parte del versamento alle sanzioni, indicando l'apposito codice tributo. Se necessario, gli uffici potranno variare i codici tributo e suddividere gli importi versati a vario titolo (imposta, interessi, sanzione) per determinare l'importo ancora da versare, con sanzioni e interessi (circolare Assonime n. 29 del 27 settembre 2013).
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 9 dicembre 2013

Ipoteca senza preavviso. Più tempo per il ricorso

Il debitore ha 60 giorni di tempo, decorrenti dalla data di conoscenza dell'atto cautelare

Se al debitore non è stata inviata la comunicazione di cui al comma 2-bis dell'articolo 77 del D.Lgs. 602/1973 - perché tale norma non era ancora entrata in vigore -, il termine di sessanta giorni per impugnare l'ipoteca decorre dal momento in cui l’interessato ha avuto materiale conoscenza della relativa iscrizione.

È quanto emerge dalla sentenza 111/32/2013 della Commissione Tributaria Regionale Lombardia.

Dal 2011 c’è il preavviso. Il contenzioso riguarda un’iscrizione di ipoteca avvenuta anteriormente all'entrata in vigore sia dell'articolo 35 del D.L. n. 223 del 2006 (decreto Bersani), che ha incluso l'ipoteca tra gli atti impugnabili davanti al giudice tributario, sia dell'obbligo a carico del Concessionario della riscossione di notificare la comunicazione preventiva per avvisare il debitore che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta ipoteca. L’obbligo di avvisare preventivamente il debitore è stato introdotto dal D.L. n. 70 del 2011 (c.d. Sviluppo), il quale ha aggiunto il comma 2-bis all'articolo 77 del D.P.R. n. 602 del 1973.

Il ricorso dopo 8 anni. 
Il titolare dei beni ipotecati ha proposto ricorso in CTP chiedendo l’annullamento della misura cautelare. A detta del ricorrente, poiché nel caso in esame nessuna comunicazione era stata inviata dall'amministrazione, non esisteva alcun termine di decorrenza per l'impugnazione, con la conseguenza che il ricorso doveva ritenersi tempestivo, anche se l’iscrizione d’ipoteca risaliva a otto anni prima. Di diverso avviso Equitalia, la quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per tardività dell'impugnazione.

Accolto l’appello del contribuente. Il giudice di primo grado ha ritenuto fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dell’esattore, respingendo il ricorso del contribuente. Di qui il giudizio di secondo grado che si è chiuso con la riforma della sentenza di prime cure.

La CTR della Lombardia ha ritenuto tempestivo il ricorso originario poiché al momento dell'iscrizione ipotecaria non vi era l'obbligo di comunicazione al debitore, né vi era una data di decorrenza su cui calcolare i 60 giorni concessi per l'impugnazione “e, pertanto, il termine poteva decorrere da quando il debitore era venuto a conoscenza dell'iscrizione ipotecaria”. Chiarificatrice sul punto – evidenzia la CTR - la sentenza della Cassazione n. 4777 del 2013.

Quanto alla possibilità di impugnare l'iscrizione ipotecaria, il collegio meneghino di secondo grado ricorda che con la riforma del 2006 si è espressamente prevista l’impugnabilità dell’ipoteca iscritta dal Concessionario. Pertanto, anche per questo punto della controversia, il ricorso è stato giudicato ammissibile.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 6 dicembre 2013

Acconti IRES: il ricalcolo nel previsionale

Slittamento al 10 dicembre 2013 dell'acconto Ires-Irap che passa dal 101 al 102,5% per il 2013 e il 2014. 

Chi ha versato in due tranche l’acconto, avendo già pagato il 40% tra giugno e agosto, dovrà ora versare il restante 62,5%.

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Il prossimo 10 dicembre 2013 è il termine ultimo per il versamento del secondo acconto Ires ed Irap, grazie alla proroga delle scadenze prevista dal D.L. n. 133/2013.
Tale provvedimento ha anche fissato la misura dell'acconto per le società di capitali per il 2013 e il 2014.
Tra i contenuti principali del decreto legge, infatti, vi sono:
- la proroga della scadenza dell'acconto confermata al 10 dicembre 2013 per i soggetti Ires;
- l’aumento della percentuale dell’acconto dovuto per le banche, gli enti creditizi, finanziari e assicurativi al 130% e al 102,50% per i soggetti Ires (S.r.l., S.p.A., ecc.).

La proroga delle scadenze - Se in generale i soggetti Ires potranno contare su una mini proroga dei versamenti della seconda o unica rata di acconto, al 10 dicembre 2013, i soggetti il cui periodo d'imposta non coincide con l'anno solare, dovranno provvedervi entro il decimo giorno del dodicesimo mese dello stesso periodo d'imposta.
Dato che la nuova misura dell'acconto è stata conosciuta a versamenti già effettuati, molte società dovranno effettuare un versamento integrativo (senza applicazione di sanzioni e interessi) entro il prossimo 10 dicembre, per allineare quanto già corrisposto sulla base della vecchia misura (102,5%).

La maggiorazione ai fini Irap -
 L'acconto maggiorato riguarderà anche l'Irap dovuta dai soggetti Ires, visto che il comma 3 dell'articolo 30 del decreto legislativo 446/1997dispone che gli acconti Irap sono dovuti secondo le disposizioni previste per le imposte sui redditi.
In ogni caso, il decreto legge stabilisce che la maggiorazione degli acconti ai fini dell'Ires e dell'Irap varrà per quanto dovuto per periodi d'imposta 2013 e 2014.
Dal 2015, se le esigenze di finanza pubblica dovessero persistere, si passerà a rincarare le accise.

Il ricalcolo previsionale - 
La misura del versamento del secondo acconto deve tenere conto di quanto già corrisposto con la prima rata. Il decreto legge che ha previsto la maggiorazione e la proroga dei termini, non limita l'accesso al metodo "previsionale"; infatti, coloro che dovessero prevedere una riduzione delle imposte dovute per il 2013 rispetto al dato storico 2012, potranno determinare l'acconto sul debito erariale stimatofermo restando il rispetto delle misure fissate per legge (102,5%).


Il calcolo operativo – Se l’importo del tributo risultante dal rigo RN17 (RN28 per ENC) è inferiore o uguale a € 20,66 (approssimato a € 21,00), nessun acconto è dovuto dal contribuente.
Ma qualora, invece, l’importo del tributo risultante dal rigo RN17 (RN28 per ENC) fosse superiore a € 20,66 (approssimato a € 21,00), l’acconto dovuto è pari al 102,50% dell’importo del tributo stesso.
Le modalità di versamento sono diverse:
- se l’importo dell’acconto dovuto è inferiore o uguale a € 257,50, il versamento va eseguito in un’unica soluzione entro il 10/12/2013;
- se l’importo dell’acconto dovuto è superiore a € 257,50, il versamento va fatto in due rate: la prima rata andava versata entro il 16/06/2013 – 9/7/2013 (ovvero 16 luglio 2013 – 20 agosto 2013 con maggiorazione 0,4%) e la seconda rata entro il 10/12/2013, grazie alla proroga.

Per quanto riguarda il calcolo della seconda rata, esso è più complicato rispetto agli scorsi anni, in quanto anche se la prima rata è stata calcolata sul 40% del 100% del rigo RN17 "IRES dovuta” di Unico SC 2013, il D.L. 133/2013 ha stabilito che da quest'anno l'importo complessivo dell'acconto è, a regime, del 102,5% di quanto dovuto per l'anno precedente.
Quindi, per la seconda rata dell'acconto 2013, il consueto calcolo del 60% del 100% del rigo RN17 non è più corretto, ma va calcolato l'intero acconto dovuto per il 2013 (102,5% del rigo RN17), al quale va tolto quanto già pagato come prima rata.
Nel caso di eventuali ricalcoli previsionali, l’importo dovuto all’Erario deve essere comunque pari al 102,5% dell’IRES dovuta (ricalcolata in base alle stime di reddito per il 2013).
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 5 dicembre 2013

Acconti Irpef in ritardo: ravvedimento leggero entro 15 giorni


Scadenza Termine Proroga
Premessa – Se il 2 dicembre i soggetti Irpef non hanno effettuato il versamento del secondo o unico acconto delle imposte dirette, è possibile rimediare versando la somma dovuta più una piccola sanzione. Questa sanzione varia a seconda che il pagamento omesso venga sanato entro 15 giorni, oppure entro 30 giorni o, infine, entro il termine ultimo del 30 settembre 2014 (termine per la presentazione della dichiarazione). Per i soggetti Ires invece che hanno già pagato il secondo acconto con le “vecchie percentuali” è necessario integrare il versamento entro il prossimo 10 dicembre.

Acconti imposte dirette - Entro lo scorso 2 dicembre, i contribuenti Irpef (persone fisiche, società di persone) dovevano versare la seconda o unica rata degli acconti relativi alle imposte sui redditi per il periodo d’imposta 2013. Al contrario per i soggetti Ires il D.L. n. 133/2013 ha disposto a loro favore la proroga al 10.12.2013 del termine per il versamento della seconda o unica rata dell’acconto delle imposte dirette.

Sanzioni – I contribuenti Irpef che hanno omesso l’acconto delle imposte possono ora rimediare fruendo del ravvedimento operoso, il quale varia a seconda del momento in cui viene fatto. In caso di omesso/tardivo versamento delle imposte, è applicabile la sanzione pari al 30% dell’importo non versato. Tale misura è tuttavia ulteriormente ridotta con riferimento ai versamenti effettuati entro 15 giorni dal termine previsto. La sanzione ordinaria del 30%, applicabile sui tardivi od omessi versamenti di imposte, si riduce infatti a un quindicesimo per ogni giorno di ritardo: varia dal 2% per un giorno di ritardo, fino al 28% per 14 giorni di ritardo. A partire dal quindicesimo giorno di ritardo si applica la misura fissa del 30%.

Ravvedimento operoso - Tale sanzione ridotta può essere ulteriormente abbassata usufruendo del ravvedimento operoso (sempre che ne ricorrano i presupposti), il quale permette di diminuire la sanzione a un decimo diventando così dello 0,2% per ogni giorno di ritardo: variando quindi dallo 0,2% per un giorno di ritardo, fino al 2,8% per 14 giorni di ritardo. Naturalmente, nel calcolo delle somme dovute al Fisco per pagare gli importi dovuti e le sanzioni occorre sempre non dimenticarsi degli interessi dovuti nella misura dell’1,5% annuo.

Versamento tra il 15° e 30° giorno dalla scadenza - Per i versamenti effettuati dal 15° al 30° giorno dalla scadenza, la sanzione ordinaria a carico del contribuente che non effettua in tutto o in parte il pagamento è pari al 30% dell’importo non versato. La fattispecie dell’omesso o insufficiente versamento può essere sanata versando l’imposta o maggiore imposta più la sanzione ridotta a un decimo, quindi il 3% e, infine, non ci si deve dimenticare degli interessi.

Versamento oltre il 30° giorno dalla scadenza -
 Anche per i versamenti effettuati oltre il 30° giorno dalla scadenza, la sanzione ordinaria a carico del contribuente che non effettua, in tutto o in parte, il pagamento rimane sempre pari al 30% dell’importo non versato. Anche in questo caso la fattispecie dell’omesso o insufficiente versamento può essere sanata versando l’imposta non versata, una sanzione un po’ più alta pari al 3,75% (1/8 del 30%) e, infine, gli interessi. Il termine ultimo per poter fruire del ravvedimento operoso è la scadenza della presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale la violazione è stata commessa. Per gli acconti del 2 dicembre la scadenza è, quindi, il 30 settembre 2014.

Acconti Ires - Dopo la pubblicazione sulla G.U. del D.L. n. 133/2013 che ha disposto, a favore dei soggetti Ires, la proroga al 10.12.2013 del termine per il versamento della seconda/unica rata dell’acconto Ires/Irap 2013 è stato pubblicato sulla G.U. 2.12.2013, n. 282 il D.M. 30.11.2013 che fissa all’1,50% l’aumento dell’acconto Ires dovuto per il 2013 e per il 2014. Ora alla luce dell’aumento disposto dal D.M. 30.11.2013 e dalla proroga prevista dal D.L. 133/2013 i soggetti Ires, che hanno già pagato la seconda rata dell'acconto Ires e Irap utilizzando le vecchie percentuali (101%, al netto della prima rata), l'integrazione dell'acconto al 102,5% potrà essere effettuata entro il 10 dicembre 2013 senza dover pagare alcuna sanzione o interesse a titolo di ravvedimento.
Autore: Redazione Fiscal Focus

L’autotutela in ambito tributario

A cura di Alberto Nastasia

I più recenti indirizzi giurisprudenziali in tema di impugnabilità del diniego di autotutela tributaria

L’esatta comprensione dei termini e delle modalità entro cui è possibile attivare oggi l’autotutela tributaria passa attraverso l’analisi delle previsioni normative che, nel corso del tempo, hanno regolato l’istituto, nonché dall’esame delle indicazioni al riguardo fornite dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza.

Occorre, infatti, considerare che prima del 1992 non esisteva nel panorama normativo nazionale alcuna disposizione che prevedesse la possibilità per l’Amministrazione Finanziaria di rivedere la propria posizione, annullando d’ufficio o revocando atti precedentemente emanati. Soltanto con l’art. 68 delD.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, è stata introdotta nel nostro ordinamento l’esercizio - seppure entro individuati limiti soggettivi e oggettivi - del potere di annullamento degli atti tributari.

Due anni più tardi il legislatore - allo scopo di dirimere contrastanti orientamenti sorti in dottrina e giurisprudenza in ordine all’interpretazione della menzionata disposizione - con l’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, ha riconosciuto al Fisco la possibilità di procedere all’annullamento o revoca degli atti illegittimi o infondati, rinviando, tuttavia, a successivi decreti la definizione degli organi competenti e dei criteri di economicità sulla base dei quali l’attività dell’amministrazione deve essere intrapresa o abbandonata.

Tale funzione è stata assolta dal D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 il quale, all’art. 2 contempla la possibilità di annullare o revocare, senza l’indicazione di un preciso termine, gli atti in autotutela, attivando la procedura - sia spontaneamente sia su istanza del contribuente - anche in pendenza di giudizio ovvero in caso di non impugnabilità dell’atto.

Sulla scorta di tale disposizione, il potere di autotutela può oggi essere esercitato sia per rimediare a un conflitto attuale o potenziale tra amministrazione e contribuente sia per eliminare atti ormai consolidati dai quali possono derivare per l’amministrazione ingiustificati vantaggi.

Ulteriori elementi utili a comprendere i termini di operatività dell’istituto possono essere tratti dalle interpretazioni che l’Agenzia delle Entrate ha fornito delle previsioni normative dianzi esaminate. Fra esse, lacircolare 8 luglio 1997, n. 197 che, con riferimento ai presupposti per l’applicazione dell’autotutela, osserva che “l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio trova le sue ragioni di legittimità nella sussistenza”, oltreché del requisito dell’illegittimità dell’atto, anche di “uno specifico concreto e attuale interesse pubblico all’eliminazione dell’atto, diverso dal generico interesse al ripristino della «legalità»”.

La posizione della Cassazione
 in ordine all’esercizio dell’autotutela tributaria è efficacemente sintetizzato nella sentenza 29 dicembre 2010, n. 26313, secondo cui:

- l’esercizio del sindacato sulla attività di autotutela costituisce procedimento autonomo e ben distinto da quello di impugnazione di atto impositivo, cui non interferisce;

- l’autotutela non rappresenta, in ogni caso, un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti.

I giudici di legittimità hanno, quindi, individuato un limite all’impugnabilità del diniego così da evitare che il contribuente possa farvi ricorso allo scopo di contestare la pretesa tributaria già divenuta definitiva, in tal modo riproponendo al giudice tributario, oltre i limiti temporali previsti dall’ordinamento, questioni attinenti il merito.

In base al quadro dianzi tratteggiato, si può conclusivamente affermare che è oggi innegabile per il contribuente il diritto - seppure entro i segnalati limiti - di impugnare l’atto con cui l’Amministrazione Finanziaria gli abbia negato autotutela in relazione ad accertamenti esperiti nei suoi confronti.

Con riferimento, invece, alla questione degli effetti derivanti dall’annullamento di un precedente annullamento di un atto impositivo, interessanti spunti sono offerti dalla sentenza della Cassazione 8 ottobre 2013, n. 22827, in cui gli Ermellini hanno affermato che tutte le volte in cui l’Amministrazione Finanziaria abbia in un primo momento annullato l’atto di accertamento emanato, non sarà più possibile, attraverso l’annullamento dell’atto di annullamento, “rianimarlo”. In tali ipotesi si renderà, pertanto, necessaria l’emissione da parte dell’Amministrazione Finanziaria - sempreché i termini di accertamento lo consentano - di un nuovo atto di accertamento.

La soluzione cui è giunta la Cassazione pare assolutamente coerente con il quadro normativo, nonché rispettosa dei diritti del contribuente, pertanto non suscettibile di determinare contrasti giurisprudenziali.

mercoledì 4 dicembre 2013

Redditometro:anche il convivente nel reddito complessivo

Premessa – Per il calcolo del reddito presunto nel redditometro è necessario considerare anche i redditi conseguiti dagli altri conviventi anche se non appartenenti al medesimo nucleo famigliare (Ctp di Reggio Emilia, con la sentenza 203/03/13). 


La famiglia - Già agli albori del redditometro l’Amministrazione Finanziaria, nel calcolo del reddito fatto negli accertamenti sintetici, dava importanza al reddito di tutta la famiglia. La C.M. 30 aprile 1999, n. 101/E affermava, infatti, la “necessità di procedere sempre ad un esame complessivo della posizione reddituale dell'intero nucleo familiare del contribuente, essendo evidente come frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell'accertamento sintetico possano trovare spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare”.

Circolare 49/2007 - Sempre in tema di reddito familiare, interessanti sono state anche le disposizioni impartite agli Uffici, proprio ai fini dell'accertamento sintetico da redditometro, con la C.M. 9 agosto 2007, n. 49/E: “È opportuno, inoltre valutare la complessiva posizione reddituale dei componenti il nucleo familiare essendo evidente come, frequentemente, gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell'accertamento sintetico possano trovare giustificazione nei redditi degli altri componenti il nucleo familiare; ricostruire la complessiva situazione del soggetto d'interesse, nonché dei componenti il suo nucleo familiare, sulla base dei dati in possesso del sistema informativo o di quelli autonomamente individuati da ciascun Ufficio competente; valutare, in particolare, i redditi imponibili dichiarati anche per gli anni precedenti i periodi d'imposta oggetto di controllo, nonché gli elementi contabili desumibili dagli atti registrati (ad esempio, negozi di disinvestimento patrimoniale nella qualità di dante causa, successione ereditaria, donazione di denaro, ecc.) stipulati anche dal coniuge e dagli altri familiari, che possono aver contribuito alle spese-indice di capacità contributiva. A tale riguardo, nell'ambito della valutazione della complessiva situazione economica della famiglia frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell'accertamento sintetico possono trovare spiegazione nella potenzialità di spesa degli altri componenti il nucleo familiare”.

Giurisprudenza - 
Anche la giurisprudenza ha confermato, in aderenza alle accennate istruzioni fornite agli Uffici, che l'atto di accertamento dovrebbe prendere in considerazione il reddito complessivo di tale nucleo familiare e non esclusivamente quello del contribuente soggetto ad accertamento (Ctp di Salerno, 3 maggio 2001, n. 68; Ctp di Lecce, 13 gennaio 2009, n. 8; Ctp di Cuneo 21 marzo 2011, n. 47/1/11). Ciò è vero anche e addirittura se il nucleo familiare si è rotto a causa di separazione e l'ex coniuge del contribuente è tenuto a versare a questi somme di denaro (Ctp di Novara 23 febbraio 2009, n. 20).

Famiglia di fatto - La giurisprudenza ha altresì dato valenza alla famiglia di fatto “che si caratterizza per un lungo periodo di convivenza (...). argomento che, meglio di qualunque altro, ne dimostra la solidità e quindi la durevolezza del rapporto quanto, e talvolta di più, delle unioni consacrate formalmente, per come pretenderebbe al contrario di affermare, almeno sembrerebbe di capire, l'Ufficio accertatore” (Ctp di Milano, sent. 11 settembre 2012, n. 271/1/12). I giudici milanesi, in una siffatta situazione, concludono che nel sostenere che non pare che nella fattispecie possa sorgere il dubbio della sussistenza di un’“aumentata capacità contributiva”, dato che “per famiglia deve intendersi ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo”.

Sentenza 203/03/13 – Sempre su questa linea di pensiero e sempre più al passo con i tempi e con nuove forme di famiglie e di coesistenze è anche la Ctp di Reggio Emilia la quale con la sentenza 203/03/13 depositata il 15 novembre 2013, sostiene che la capacità di spesa del contribuente deve tener conto dei redditi di altri soggetti conviventi anche se non appartenenti al medesimo nucleo famigliare. Da tale sentenza si traggono importanti spunti difensivi in tema di redditometro in quanto dall'omessa considerazione dei redditi attribuibili a questi componenti (Cass. 28 luglio 2006, n. 17203) scaturisce l'illegittimità, da eccepire in sede di giudizio, dell'atto emesso dall'Amministrazione Finanziaria.
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 2 dicembre 2013

Scade oggi l’acconto Irpef

Soggetti Irpef tenuti al pagamento del secondo o unico acconto delle imposte dirette

Premessa – Entro oggi 2 dicembre 2013 va effettuato il versamento della seconda o unica rata dell’acconto delle imposte relative al reddito e al valore della produzione conseguiti nel 2013 dai soggetti Irpef, nonché l’acconto dei contributi previdenziali (IVS e Gestione Separata INPS) dovuti per il 2013, che saranno dichiarati nel mod. Unico/Irap 2014 da detti soggetti. Proroga al 10 dicembre solo per i soggetti Ires.

I soggetti coinvolti - Entro oggi va effettuato il versamento della seconda o unica rata dell’acconto Irpef, Irap, “cedolare secca”, Ivie e Ivafe e imposta sostitutiva per i contribuenti “minimi” dovute sul reddito/valore della produzione conseguito nel 2013.
Proroga per i soggetti Ires - La proroga al 10 dicembre 2013 riguarda tutte le imposte dovute dalle società di capitali (Ires, Irap, addizionali, maggiorazione Ires del 10,50% per le società di comodo), ma non dovrebbe incidere sulla parte di Irpef dovuta dalle persone fisiche socie di Srl trasparenti e i relativi contributi Inps.

Maggiorazione - I
n sede di determinazione della seconda (o unica) rata dell’acconto, è necessario considerare l’incremento disposto dal D.L. n. 76/2013 (Decreto c.d. “Lavoro”), in base al quale a decorrere dal 2013 l’acconto Irpef passa dal 99% al 100%. I predetti aumenti hanno effetto anche ai fini Irap, pertanto per i soggetti Irpef e le società di persone l’acconto Irap passa dal 99% al 100% a decorrere dal 2013.

Il calcolo - Per il 2013 le maggiorazioni sono applicabili in sede di versamento della seconda (o unica) rata dell’acconto Irpef/Irap 2013 da determinare quale differenza tra l’acconto complessivamente dovuto applicando la nuova misura e quanto versato per la prima rata. Le predette disposizioni si riflettono anche sull’acconto Ivie/Ivafe, ma non si riflettono sul versamento dell’acconto della cedolare secca che rimane fissato al 95%.

Previsionale o storico – Esistono due metodi di calcolo degli acconti, a discrezione del contribuente il metodo storico e il metodo previsionale. Il metodo storico utilizza, come base di calcolo, le imposte risultanti dall’ultima dichiarazione dei redditi, quella relativa al periodo d’imposta precedente (UNICO 2013– redditi 2012). Il metodo previsionale si basa, invece, su una stima del reddito/valore della produzione che si presume di conseguire nel 2013. In particolare, qualora il contribuente preveda di conseguire un reddito/valore della produzione inferiore rispetto a quello realizzato nel 2012, può effettuare un versamento in misura inferiore a quanto dovuto o non effettuare alcun versamento.

Ricalcolo – Si ricorda inoltre che nel calcolo dell’acconto occorre tenere conto delle modifiche normative che dal 2013 influiscono sulla base imponibile, considerando sia quelle che determinano l'obbligo di ricalcolo dell'acconto (tra tutte si pensi alle nuove misure di indeducibilità dei costi auto) sia quelle che, al contrario, non prevedono tale onere (come per esempio la riduzione dal 15 al 5% della deduzione forfetaria sui canoni di locazione disposta dalla Legge 92/2012). Il rischio errore, quindi, è in agguato.

Contributi previdenziali - Il 2 dicembre scade anche il secondo acconto per i contributi Inps degli iscritti alla gestione commercianti e artigiani ovvero alla gestione separata dei professionisti, con partita Iva e senza Cassa. Il ricalcolo degli acconti da parte di artigiani, commercianti, liberi professionisti o iscritti alla gestione separata Inps si riflette anche sul debito dei contributi previdenziali Inps. L'eventuale minore importo versato a titolo di contributo Inps sarà, però, soggetto alle sanzioni previste ai fini Inps, ma è escluso dal ravvedimento. Per pagare i contributi Inps, infatti, si usa il modello F24, così come per l'Irpef, l'Irap, e le altre imposte scaturenti dalla dichiarazione dei redditi, ma il ravvedimento spontaneo riguarda solo i tributi e non i contributi o premi.
Autore: Redazione Fiscal Focus