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martedì 30 agosto 2011

Nuovo redditometro: prime convocazioni in autunno


L’Agenzia delle Entrate sta predisponendo nuove comunicazioni per richiedere documentazione su beni, spese e posizione reddituale
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La ripresa autunnale potrebbe riservare ai contribuenti una sorta di “duplice offensiva” da condurre grazie agli accertamenti sintetici: un “doppio binario” che verrebbe a crearsi in ragione della diversa operatività prevista a seconda che l’azione dell’ufficio sia diretta al completamento del piano straordinario triennale – fondato sul redditometro di cui ai decreti ministeriali del 1992 – oppure che si riferisca al “nuovo” accertamento sintetico.
In questo intervento mi occupo proprio di quest’ultima attività, che dovrebbe rappresentare il prosieguo di un “embrione” operativo avviato la scorsa primavera con l’invio di alcune decine di migliaia di missive a contribuenti che, con riferimento alperiodo d’imposta 2009, presentavano elementi indice di capacità contributiva, nonché spese apparentemente in contrasto con l’entità del reddito dichiarato.
L’intento, manifesto, del Fisco era quello di indurre i contribuenti a “ravvedersi”, senza tuttavia palesare quale poteva essere la “soglia” di reddito ritenuto congruo, in ragione del fatto che la nuova tabella degli elementi indice di capacità contributiva non era – e non è – disponibile: c’è da dire, però, che l’Amministrazione finanziaria si preoccupò di affermare prontamente che si trattava di una mera campagna “informativa” e di sensibilizzazione e nient’altro.
Ora, però, alle soglie dell’autunno, sembra che sia giunto il momento per la predisposizione di una “fase 2” del rodaggio sul nuovo accertamento sintetico: tant’è che dall’Agenzia delle Entrate è trapelata la circostanza che sono in fase di predisposizione delle comunicazioni, evidentemente diverse da quelle primaverili, mediante le quali gli uffici competenti richiederanno al contribuente, ai sensi dell’art. 32 del DPR n. 600/73,documentazione e informazioni concernenti beni, spese e posizione reddituale.
Essendo ragionevole ipotizzare che gli interessati saranno i medesimi contribuenti che hanno ricevuto in passato la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate, è opportuno puntualizzare che, diversamente da quanto accaduto qualche mese fa, l’eventuale “inerzia” del contribuente potrebbe pregiudicare la sua posizione in chiave difensiva.
Non è superfluo sottolineare come il nuovo art. 38 preveda una “doppia griglia” di contatti tra ufficio e contribuente: dapprima la richiesta di documenti ed informazioni, al fine di consentire all’Agenzia delle Entrate il completamento dei dati necessari per la prosecuzione dell’istruttoria; successivamente, ed evidentemente nel caso in cui la documentazione e le giustificazioni addotte non siano ritenute “vincenti” le presunzioni scaturenti dai dati acquisiti, l’invito all’avvio del rituale contraddittorio, ai sensi dell’art. 5 del DLgs. n. 218/1997.
Pertanto, a differenza della missiva primaverile, che non “impegnava” il contribuente, la richiesta di elementi, dati e notizie che giungerà nelle prossime settimane dovrà essere puntualmente evasa dal contribuente, per non incorrere nelle sanzioni che la legge contempla in caso di “reticenza”.
Il contribuente dovrà soddisfare la richiesta per non incorrere in sanzioni
Su tutte, ed è quella maggiormente dannosa, la “sterilizzazione” di quanto non addotto in risposta alla richiesta del fisco, in ragione del penultimo comma dell’art. 32 del DPR n. 600/1973 il quale stabilisce che “Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa”.
Il che significa che, teoricamente, anche la successiva fase di accertamento con adesione per il contribuente potrebbe essere incisa negativamente dal precedente rifiuto di cooperare.
L’unica via di fuga da una circostanza del genere è allora rappresentata dalla possibilità direndere inoperanti le cause di inutilizzabilità, depositando in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile: ma occorrerà “provare”, e non “ora per allora”, l’impossibilità di adempiere che si era venuta a creare per cause non dipendenti dalla volontà del contribuente.
Ragione per cui, nel caso che questi sia impossibilitato ad esaudire le richieste ricevute, è nel suo interesse innanzitutto prospettare formalmente, all’ufficio richiedente, la necessitàdi un differimento nella consegna della documentazione: in caso di risposta negativa o persistendo l’impossibilità – motivata e documentata – di reperimento della documentazione, affidarsi quale extrema ratio al giudizio della Commissione tributaria laddove l’ufficio facesse valere, tanto in sede amministrativa quanto giudiziale, la sopravvenuta “sterilizzazione” di quanto richiesto a fini difensivi.

martedì 9 agosto 2011

Sanzioni ridotte per l’omesso versamento sino a 15 giorni

Nella circ. 41, l’Agenzia delle Entrate ha commentato il «nuovo» art. 13 del DLgs. 471/97, così come modificato dalla manovra correttiva
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La cosiddetta “manovra correttiva” (DL 98/2011, conv. L. 111/2011) ha modificato l’art. 13 del DLgs. 471/97, estendendo alla generalità dei casi il “ravvedimento sprint”, concernente gli omessi versamenti di imposte risultanti dalla dichiarazione con un ritardo non superiore ai quindici giorni.
Con la circ. 41/2011 (§ 10), l’Agenzia delle Entrate ha fornito interessanti specificazioni sulla nuova normativa.
Ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 471/97 ante “manovra correttiva”, era previsto che le sanzioni del 30% sui ritardi di versamenti di tributi sarebbero state ridotte ad un quindicesimo per ogni giorno di ritardo solo ove i crediti fossero stati garantiti da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge. Formulata in tal modo, la norma aveva una ristretta applicazione, posto che operava, ad esempio, per i versamenti dell’imposta di successione, garantiti ex art. 38 del DLgs. 346/90, e per altre sporadiche fattispecie (versamenti derivanti da accertamento con adesione, che, nel sistema ante DL 98/2010, erano, al ricorrere di determinate circostanze, assistiti da garanzia, come aveva, a suo tempo, precisato la circ. 65/2011).
Ora, il Legislatore ha espunto il riferimento ai crediti assistiti da garanzia, attribuendo così alla norma un’efficacia generalizzata.
Pertanto, il beneficio, che si cumula con quello derivante dal ravvedimento operoso, opera, ad esempio, per i “lievi ritardi” in tema di versamenti a saldo o in acconto delle imposte risultanti dalla dichiarazione dei redditi.
Nella circolare si precisa che “se, ad esempio, un versamento di euro 1.000 viene eseguito con due giorni di ritardo, sconta la sanzione del 4 per cento (30 x 2/15) pari ad euro 40. La riduzione della sanzione diminuisce all’aumentare dei giorni di ritardo, fino, ovviamente, ad annullarsi al quindicesimo giorno, tornando pari al 30 per cento (30 x 15/15)”.
Trattandosi di disposizione sanzionatoria più favorevole nei confronti dei contribuenti, essa si applica anche alle violazioni commesse antecedentemente all’entrata in vigore del DL 98/2011, sempre che non sia divenuto definitivo l’eventuale provvedimento di irrogazione della sanzione.
È stato anticipato che la disposizione in esame si aggiunge al ravvedimento operoso, disciplinato dall’art. 13 del DLgs. 472/97, che, in base alla lett. a), consente di fruire della riduzione della sanzione a un decimo del minimo edittale se la regolarizzazione avviene entro trenta giorni dalla commissione della violazione.
Riduzione valida anche senza ravvedimento operoso
Allora, “se un versamento di euro 1.000 viene eseguito con due giorni di ritardo ed il ravvedimento della sanzione è effettuato entro trenta giorni dalla scadenza, la sanzione sarà pari allo 0,4 per cento (30 x 2/15 x 1/10) pari ad euro 4”.
L’Agenzia delle Entrate, infine, ricorda che il “nuovo” art. 13 del DLgs. 471/97 si applica a prescindere dal fatto che il contribuente si sia avvalso del ravvedimento operoso: se il contribuente non ne fruisce, l’Ufficio applicherà la sanzione per omesso versamento tenendo conto, se del caso, della riduzione a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo

lunedì 8 agosto 2011

Adesione: sanzioni inasprite per le rate non versate

Stando alla recente circolare 41, le garanzie non sono più necessarie, nemmeno nell’acquiescenza
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Come già rilevato in un precedente intervento (“Cancellate le garanzie per adesione e conciliazione giudiziale” del 6 luglio 2011), il DL 98/2011, c.d. “manovra correttiva”, convertito con L. 111/2011, ha modificato il sistema degli istituti deflativi del contenzioso, agendo sia sulle garanzie che sulle sanzioni da omesso versamento delle rate da adesione, conciliazione o acquiescenza.
L’Agenzia delle Entrate, con la circ. 5 agosto 2011 n. 41, ha commentato le novità normative.
Prima dell’intervento legislativo, ove le rate successive alla prima fossero state nel complesso superiori a 50.000 euro, il contribuente, pena il mancato perfezionamento della definizione, avrebbe dovuto prestare idonea garanzia fideiussoria, e ciò valeva per l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale e l’acquiescenza, in quanto per l’adesione ai PVC e per l’adesione agli inviti il Legislatore aveva già ritenuto, ab origine, di non prevedere alcuna forma di garanzia.
Il DL 98/2011 ha espunto la necessità di prestazione della garanzia, al fine di rendere più agevole il ricorso a tali istituti. Nel contempo, però, è stato inasprito il sistema sanzionatorio degli omessi versamenti delle rate da adesione: infatti, in caso di mancato versamento di anche una sola delle rate successive alla prima entro il termine previsto per la rata successiva, il contribuente decade dal beneficio della dilazione e sulle intere somme dovute a titolo di tributo viene irrogata la sanzione del 60% sugli importi così individuati (in sostanza, la sanzione dell’art. 13 del DLgs. 471/97 sugli omessi versamenti non viene irrogata sul solo importo della rata non versata, ma su tutte le somme ancora dovute a titolo di tributo e, inoltre, non viene irrogata nella misura del 30%, ma del 60%).
Per l’Agenzia delle Entrate, anche se il punto desta qualche perplessità, il contribuente non decade, invece, dal beneficio della dilazione se non onora una rata successiva alla prima, ma provvede a ravvedersi entro il termine per il pagamento della rata successiva. Occorrerebbe, in questo caso, versare, per effetto del ravvedimento operoso (art. 13 del DLgs. 472/97), gli importi delle rate diverse dalla prima entro il termine previsto per la rata successiva, gli interessi legali maturati dalla originaria scadenza a quella di versamento, nonché la relativa sanzione da omesso versamento del 30% (anche se la circolare non lo dice espressamente, va da sé che la sanzione deve essere ridotta, a seconda delle circostanze, a un decimo del minimo o ad un ottavo del minimo, a seconda di quando venga posto in essere il ravvedimento).
Eliminazione della garanzia anche per il pregresso
Il discorso in esame non concerne la prima rata, in quanto il suo pagamento comporta il perfezionamento della definizione, sicché l’omesso versamento causa la prosecuzione del procedimento o del processo.
Un importante chiarimento concerne la decorrenza delle nuove norme:
- per il pregresso, stante il principio del favor rei, non troverà applicazione la maggiore sanzione del 60%;
- per le garanzie, come stabilisce il DL 98/2011, le nuove norme non si applicano alle definizioni già perfezionate alla data di entrata in vigore del decreto, che coincide con il 6 luglio 2011.
Se, per ipotesi, il contribuente, prima di detta data, avesse versato la prima rata, ma omesso la prestazione della garanzia (il che avrebbe comportato il mancato perfezionamento della definizione), la definizione si considera, secondo la circolare, perfezionata, a condizione che “gli uffici non abbiano già provveduto a formalizzare il mancato perfezionamento della definizione, seppure alla stessa data risultino superati i termini per il perfezionamento”.
Invece, se l’accordo ha avuto esito positivo prima del 6 luglio, e la prima rata deve essere versata dopo, nessuna garanzia dovrebbe essere prestata.

venerdì 5 agosto 2011

L’Agenzia chiarisce la portata del bollo sui depositi di titoli

La circolare n. 40, emanata ieri, individua i soggetti interessati dalle nuove disposizioni e illustra le modalità di calcolo dell’imposta
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L’articolo 23, comma 7 del DL n. 98/2011 (conv. L. n. 111/2011), cambiando l’articolo 13 della Tariffa allegata al DPR n. 642/1972 (Testo Unico dell’imposta di bollo), ha modificato le misure dell’imposta di bollo dovuta per le comunicazioni relative ai depositi titoli rilasciate alla clientela da parte delle banche (si vedano “Ritoccata l’imposta di bollo sul dossier titoli” del 15 luglio 2011, e “In arrivo una stangata sui «bolli»” del 7 luglio 2011).
L’applicazione pratica delle nuove disposizioni, tuttavia, presentava vari aspetti problematici, sollevati dall’ABI nella circolare del 29 luglio 2011 n. 13, serie tributaria, ma che sono stati in gran parte risolti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 40 diramata ieri in tarda serata.
In seguito all’introduzione delle nuove disposizioni (contenute nel nuovo comma 2-ter dell’articolo 13 della Tariffa  allegata al DPR n. 642), viene precisato, innanzitutto, che nulla cambia per gli estratti di conto corrente e per l’imposta di bollo sulle comunicazioni relative a depositi di titoli di valore nominale o di rimborso presso ciascun intermediario inferiore a 50.000 euro.
Le nuove disposizioni contenute nel nuovo comma 2-ter, invece, trovano applicazione in relazione alle comunicazioni relative ai depositi di titoli inviate dagli intermediari finanziari (banche, Poste italiane e da altri intermediari) che intrattengono con la propria clientela depositi titoli, ossia rapporti riconducibili alla custodia e all’amministrazione degli stessi, anche quando questi siano dematerializzati.
Nel caso di più rapporti di deposito di titoli intestati al medesimo soggetto, l’imposta di bollo deve essere corrisposta in relazione a ciascun rapporto. Diversamente, l’imposta deve essere assolta una volta soltanto nel caso di depositi cointestati a più soggetti, in relazione ai quali viene emessa un’unica comunicazione.
Non sono soggette, invece, alle nuove disposizioni le comunicazioni che gli intermediari finanziari inviano a soggetti diversi dai propri clienti (come ad esempio quelle inviate a banche, società finanziarie, istituti di moneta elettronica, ecc.) e le comunicazioni relative ai depositi di titoli dematerializzati di valore complessivo non superiore a 1.000 euro.
Al fine di determinare l’imposta dovuta è necessario considerare l’ammontare dei depositi nel periodo certificato presso ciascun intermediario finanziario. La quantificazione del valore dei titoli detenuti deve essere effettuata sulla base del valore nominale o di rimborso; nel caso in cui detti valori differiscano, deve essere preso in considerazione il valore nominale. Per i titoli che non hanno né un valore di emissione né un valore di rimborso occorre tenere conto del valore di acquisto dei titoli. Se nel periodo certificato l’ammontare degli investimenti in titoli è variato, si terrà conto dell’importo del deposito alla data di chiusura del periodo rendicontato.
In considerazione del fatto che il testo originario del DL n. 98/2011 conteneva degli importi dell’imposta di bollo diversi da quelli confermati poi in sede di conversione in legge, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che:
-  per le comunicazioni inviate fino al 5 luglio 2011 devono applicarsi le disposizioni vigenti ante DL n. 98;
-  per le comunicazioni inviate dal 6 luglio al 16 luglio 2011 si applicano gli importi dell’imposta di bollo definiti dal testo originario del decreto legge;
-  per le comunicazioni inviate dal 17 luglio 2011 trovano applicazione i nuovi importi così come modificati dalla legge di conversione.
Le disposizioni dettate dalle note 3-bis e 3-ter all’articolo 13 della Tariffa, inoltre, trovano applicazione, oltre che per gli estratti conto di cui al comma 2-bis, anche con riferimento alle comunicazioni relative ai depositi di titoli di cui al nuovo comma 2-ter. Nello specifico si tratta della maggiorazione prevista per i soggetti diversi dalle persone fisiche pari a 26,40 euro (nota 3-bis), se la comunicazione è inviata con periodicità annuale, e dell’esclusione da tassazione per le comunicazioni relative ai depositi di titoli dematerializzati di valore complessivo presso ciascuna banca pari o inferiore a 1.000 euro. L’addizionale del 50% dell’imposta di bollo, istituita dall’art. 11, comma 5, del DL n. 691/1994, precisa l’Agenzia, continua ad applicarsi soltanto sulle maggiorazioni previste dalla nota 3-bis per i soggetti diversi dalle persone fisiche.

mercoledì 3 agosto 2011

L'INTERPELLO

L’interpello è un’istanza che il contribuente, prima di attuare un comportamento fiscalmente rilevante, rivolge all’Amministrazione finanziaria per ottenere una valutazione sulla liceità fiscale di un’operazione economica o l’interpretazione su una norma obiettivamente incerta da applicare a un caso concreto.
Sono previste diverse tipologie d’interpello, che possono essere raggruppate in tre macrocategorie.

1) Istanze presentate ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente)


Rientrano nella categoria:

  • le istanze di interpello ordinario;
  • le istanze per la continuazione del consolidato nazionale (articolo 124, comma 5, del Tuir);
  • le istanze per verificare la sussistenza dei requisiti necessari ai fini dell’opzione per il consolidato mondiale (articolo 132, comma 3, del Tuir);
  • le istanze per la disapplicazione del regime della participation exemption sulle partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari (articolo 113, comma 1, del Tuir);
  • le istanze per escludere l’applicazione del limite di utilizzazione dei crediti d’imposta (articolo 1, comma 53, legge n. 244/2007);
  • le istanze di disapplicazione della disciplina sulle Controlled foreign companies (articoli 167 e 168 del Tuir).

Interpello ordinario
Attraverso l’interpello ordinario, il contribuente può ottenere il parere dell’Amministrazione finanziaria in ordine all’interpretazione di una norma tributaria obiettivamente incerta rispetto a un caso concreto e personale (articolo 11, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente).

Iter della procedura
L’istanza, di norma, deve essere presentata alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente o di chi, in base a disposizioni di legge, è obbligato, per suo conto, a effettuare gli adempimenti fiscali.
Le Amministrazioni dello Stato e gli Enti pubblici a rilevanza nazionale, invece, presentano l’interpello direttamente alla Direzione centrale Normativa.
Le imprese di più rilevante dimensione (ossia, per il 2010, quelle con volume d’affari o ricavi non inferiore a 200 milioni di euro) devono rivolgere le istanze di interpello all’Agenzia delle entrate - Direzione centrale Normativa, tramite la Direzione regionale territorialmente competente. Questa provvede a compiere l’istruttoria e a fornire il proprio parere alla Direzione centrale entro il quindicesimo giorno dalla ricezione dell’istanza.

L’istanza va consegnata a mano o spedita per posta in plico senza busta, raccomandato con avviso di ricevimento. In caso di inoltro via mail o tramite fax, l’istanza si considera regolarmente presentata nel momento in cui il contribuente, entro 30 giorni dall’invito dell’ufficio, regolarizza l’istanza sottoscrivendola.

La risposta deve essere notificata o comunicata al contribuente (o anche fornita telematicamente) entro 120 giorni. Il termine decorre dalla data di presentazione dell’istanza (cioè dalla data di ricezione, in caso di presentazione diretta all’ufficio, oppure dalla data in cui è sottoscritto l’avviso di ricevimento della raccomandata, se si utilizza il servizio postale) o dalla data di regolarizzazione, se l’istanza originaria non risultava firmata, o, infine, dalla data di ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente, in caso di errata presentazione della stessa a un altro ufficio.

Effetti
Se l’Amministrazione non si pronuncia, si forma il silenzio assenso sulla soluzione interpretativa indicata dal contribuente.
Il parere espresso dall’Agenzia non vincola il contribuente, che può decidere di non uniformarsi. Gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, invece, salva la possibilità di rettificare il parere, non possono emettere atti impositivi e/o sanzionatori difformi dal contenuto della risposta fornita in sede di interpello, nel presupposto che i fatti accertati coincidano con quelli rappresentati nell’istanza. Se, infatti, quanto emerge in sede di controllo non coincide con la descrizione dei fatti contenuta nell’istanza, la risposta all’interpello non produce effetti vincolanti per l’Amministrazione.

Criteri speciali
In relazione alle seguenti tipologie di interpello, la legge definisce in maniera puntuale sia i presupposti che giustificano la presentazione dell’istanza sia gli elementi che devono essere indicati dal contribuente.

  • Istanze di cui all’articolo 124, comma 5, del Tuir. La finalità è quella di ottenere un parere favorevole dell’Amministrazione sulla continuazione del consolidato a seguito di talune operazioni straordinarie che, in genere, determinano l’interruzione della tassazione di gruppo.
  • Istanze di cui all’articolo 132 del Tuir. Sono dirette a ottenere un parere favorevole dell’Amministrazione sull’accesso al consolidato mondiale.
  • Istanze di cui all’articolo 113 del Tuir. Sono dirette a ottenere dall’Amministrazione la disapplicazione del regime di cui all’articolo 87 del Tuir, con riferimento alle partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi realizzati per il recupero dei crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria (articolo 4, comma 3, decreto del Ministro del Tesoro n. 242632/1993).
  • Istanze di cui all’articolo 1, comma 55, della legge n. 244/2007. Sono volte a dimostrare, da parte delle imprese impegnate in processi di ricerca e sviluppo, il possesso degli ulteriori requisiti di cui all’articolo 1, comma 54, della legge n. 244/2007, necessari per escludere l’applicazione del limite di utilizzazione dei crediti d’imposta previsto dal precedente comma 53.

Istanze Controlled foreign companies (Cfc)
Attraverso l’istanza di interpello Cfc, il soggetto residente dimostra preventivamente, fornendo le informazioni necessarie e allegando idonea documentazione, la sussistenza dei presupposti per ottenere la disapplicazione della normativa sulle imprese estere partecipate, relativamente a ciascuna controllata estera.
L’istanza deve essere presentata all’Agenzia delle Entrate – Direzione centrale Normativa tramite la Direzione regionale competente per territorio.

La presentazione dell’istanza di interpello Cfc è prevista anche in relazione ad altre ipotesi, comunque collegate a rapporti tra contribuenti nazionali e società residenti in Stati o territori diversi da quelli – che consentono un adeguato scambio di informazioni – di cui all’emanando decreto del Ministero dell’economia e delle finanze (articolo 168-bis del Tuir):

  • interpello in materia di utili da partecipazione (articolo 47, comma 4, del Tuir);
  • interpello sulle plusvalenze da partecipazioni (articolo 68, comma 4, del Tuir);
  • interpello concernente la participation exemption (articolo 87 del Tuir);
  • interpello in materia di dividendi (articolo 89 del Tuir).



2) Istanze presentate ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 413/1991


L’istanza è rivolta a ottenere un parere sul carattere potenzialmente elusivo di alcune operazioni o sulla corretta classificazione di alcune spese. Riguarda, pertanto, casi e situazioni in cui possono trovare applicazione le disposizioni antielusive contenute negli articoli 37, comma 3, e 37-bis del Dpr n. 600/1973, e quando si tratta di classificare determinate spese tra quelle di pubblicità/propaganda o di rappresentanza.

Iter della procedura
L’istanza deve contenere l’esposizione dettagliata del caso concreto nonché la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente.
Trascorsi 120 giorni dalla presentazione dell’istanza, il contribuente, cui non sia stata fornita risposta, può diffidare l’Amministrazione; decorsi ulteriori 60 giorni dalla presentazione della diffida, si forma il silenzio assenso in relazione alla soluzione prospettata dal contribuente.

L’istanza di interpello antielusivo va presentata, esclusivamente mediante plico raccomandato con avviso di ricevimento, all’Agenzia delle Entrate - Direzione centrale Normativa tramite la Direzione regionale competente in base al domicilio fiscale del richiedente. La Direzione regionale, entro 15 giorni dalla ricezione, compie l’istruttoria e trasmette l’istanza con il proprio parere alla Direzione centrale. Quest’ultima comunica la propria determinazione al contribuente entro il termine, non perentorio, di 120 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte della Direzione regionale, sempre mediante plico postale raccomandato con avviso di ricevimento.

Questa procedura di interpello si applica anche ai casi inerenti la deducibilità dei costi derivanti da operazioni tra soggetti residenti e soggetti domiciliati in territori con regimi fiscali privilegiati.
Infatti, le disposizioni dettate dai commi 10 e 12-bis dell’articolo 110 del Tuirpossono essere disapplicate nel caso in cui l’impresa residente provi che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva o, in alternativa, che le operazioni effettuate rispondono a un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. Tali prove possono essere fornite dal contribuente in sede di controllo o in via preventiva, inoltrando all’Amministrazione finanziaria l’istanza di interpello antielusivo.



3) Interpello disapplicativo (articolo 37-bis, comma 8, del Dpr n. 600/1973)


L’istanza è presentata allo scopo di disapplicare una norma antielusiva che, in linea di principio, trova applicazione in riferimento al caso descritto, limitando deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, ecc. A tal fine, il contribuente deve provare che gli effetti elusivi che la norma intende evitare, nella situazione concreta non possono realizzarsi.

Iter della procedura
L’istanza va presentata preventivamente, ossia prima della dichiarazione dei redditi che accoglie gli effetti del comportamento oggetto dell’interpello.
Deve essere rivolta al Direttore regionale delle Entrate ed è spedita in plico raccomandato, con avviso di ricevimento, all’ufficio competente in base al domicilio fiscale del richiedente.
L’ufficio trasmette al Direttore regionale l’istanza con il proprio parere entro 30 giorni dalla ricezione.
Le determinazioni del Direttore regionale sono comunicate al contribuente, entro 90 giorni dalla ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio, tramite plico raccomandato con avviso di ricevimento.



Caratteri comuni a tutte le istanze d’interpello

Tutte le istanze d’interpello, a pena d’inammissibilità, devono essere presentate in via preventiva e contenere la rappresentazione compiuta del caso concreto.
Il contribuente deve esporre in modo chiaro e documentare in maniera esaustiva tutti gli elementi utili a ricostruire la fattispecie in relazione alla quale l’Agenzia è chiamata a formulare il proprio parere.
E’ pertanto necessario che l’istanza contenga:

  • l’indicazione del tipo di istanza (in particolare, se il contribuente richiede espressamente una risposta ad interpello) e della specifica tipologia di interpello su cui è richiesto il parere dell’Agenzia;
  • i dati identificativi del contribuente e di eventuali soggetti direttamente interessati. Nell’istanza vanno indicati anche il codice fiscale del richiedente, i recapiti per comunicare la risposta, compresi il numero di fax o un indirizzo di posta elettronica, se disponibili;
  • la descrizione puntuale della fattispecie, ossia l’esposizione della situazione concreta che ha generato il dubbio interpretativo o in relazione alla quale si ritiene che trovi applicazione una deroga al regime ordinario. Il contribuente, pertanto, non può limitarsi a una rappresentazione sommaria e approssimativa del caso, rovesciando sull’Agenzia l’onere di ricavare dall’eventuale documentazione allegata le informazioni necessarie per definire in maniera compiuta la questione;
  • l’indicazione dei valori economici interessati dall’interpello, in particolare l’eventuale beneficio fiscale (in termini di risparmio d’imposta o di rinvio della tassazione o sotto qualsiasi altra forma) di cui il contribuente ritiene possa legittimamente avvalersi attraverso la soluzione indicata.

Sono considerate inammissibili le istanze:

  • prive dei dati identificativi del richiedente e del suo legale rappresentante nonché prive di firma;
  • presentate dai professionisti privi di procura;
  • presentate dai consulenti su questioni prospettate in maniera generale e astratta;
  • che costituiscono mere riproposizioni di precedenti istanze o richieste di riesame;
  • che interferiscono con le attività di accertamento, in quanto riguardano casi già sottoposti a controllo o per i quali sono state presentate istanze di rimborso o istanze di annullamento in autotutela;
  • di interpello ordinario presentate in mancanza di condizioni obiettive di incertezza o quando l’Amministrazione ha già fornito chiarimenti;
  • di interpello disapplicativo (articolo 37-bis, comma 8, del Dpr n. 600/1973) nei casi in cui la norma della quale si richiede la disapplicazione non ha lo scopo di contrastare comportamenti elusivi;
  • di interpello ex articolo 37-bis, comma 8, del Dpr n. 600/1973, presentate dalle società non operative, che beneficerebbero di una causa di esclusione automatica della relativa disciplina;
  • di interpello non sufficientemente circostanziate nella definizione del caso concreto;
  • di interpello non preventivo.

lunedì 1 agosto 2011

Il condono sospende tutti i processi fino a 20.000 euro (definibili)

Meglio cominciare a pensare alle liti definibili, visto che determinare il costo del condono è tutt’altro che facile
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La c.d. “manovra correttiva” ha introdotto un condono per le liti pendenti alla data dello scorso 1° maggio, sulla falsariga di quanto è avvenuto nel 2002, infatti, con alcune specificazioni, la disciplina applicabile è l’art. 16 della L. 289/2002.
Per prima cosa, occorre rammentare che sono condonabili le liti il cui valore non supera i 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle Entrate.
Ai fini della determinazione del valore, occorre riferirsi, come dice l’art. 16 della L. 289/2002, alle imposte contestate nell’atto introduttivo del giudizio, al netto di sanzioni e interessi: quindi, se l’Agenzia delle Entrate ha notificato un avviso di accertamento con cui vengono chieste somme pari nel complesso a 30.000 euro, il condono opera se le imposte richieste non sono superiori a 20.000 euro.
Per effetto dell’art. 39 del DL 98/2011, tutte le liti potenzialmente condonabili rimangono sospese sino al prossimo 30 giugno 2012, anche se il contribuente, per ipotesi, non avesse alcuna intenzione di condonare.
Attenzione però, vengono sospesi i termini per gli appelli, le controdeduzioni, le memorie relativi alle liti passibili di definizione, pertanto alle liti concernenti atti di imposizione in senso stretto, con esclusione ad esempio delle controversie su cartelle di pagamento portanti a riscossione somme derivanti da accertamenti non impugnati o imposte dichiarate e non versate (così la circ. Agenzia delle Entrate 21 febbraio 2003 n. 12).
Il difensore, pertanto, dovrà porre particolare attenzione a tale aspetto, onde evitare che decorrano i termini per l’appello o il deposito delle controdeduzioni contenenti l’appello incidentale (si veda il caso esaminato da Cass. 18 aprile 2007 n. 9202, sulla tardività del ricorso per Cassazione proprio per questo motivo).
Premettendo che varie problematiche saranno oggetto di interventi successivi, si rileva che il costo del condono è legato, come nel 2002, all’andamento del processo, salvo il caso di liti di valore sino a 2.000 euro, ove c’è una “tassa fissa” di 150 euro. In caso contrario, quindi per i processi di valore superiore a 2.000 euro (il valore è sempre da determinarsi con riferimento alle imposte contestate nell’atto introduttivo del giudizio, al netto di sanzioni e interessi), occorrerà versare, esemplificando, una somma pari al:
- 10% del valore della lite, in caso di soccombenza dell’Agenzia delle Entrate;
- 50% del valore della lite, in caso di soccombenza del contribuente;
- 30% del valore della lite, se il giudice non si fosse ancora pronunciato.
Niente condono per gli omessi versamenti
Peraltro, anche qui come nel 2002, dalle somme in tal modo determinate si dovranno scomputare quelle già versate per effetto della riscossione in pendenza di giudizio, quindi può accadere che il contribuente non debba versare alcunché. Invece, se le somme già versate fossero eccedenti, l’eccedenza verrà rimborsata solo in caso di soccombenza dell’Agenzia delle Entrate. Tale circostanza deve indurre i difensori a ponderare bene la convenienza della lite nei casi in cui tutte le imposte siano già state versate, il che accade nelle liti da 36-bis e 36-ter, ove l’iscrizione a ruolo è immediata e integrale (si pensi alle contestazioni sulle detrazioni d’imposta).
Inoltre, calcolare il dovuto può essere molto complesso, siccome accade normalmente che vi sia una soccombenza parziale, che si siano formati giudicati interni (quindi che, in relazione a tali parti di sentenza, non vi possa essere alcun condono) e così via.
Nell’art. 16 era stato previsto che la definizione si considera perfezionata anche ove l’erroneità dei versamenti sia dovuta ad “errore scusabile”, il che opera anche nel condono attuale.
Le somme dovranno essere versate entro il prossimo 30 novembre, senza possibilità di pagamento rateale, e la domanda di definizione dovrà essere presentata entro il 31 marzo 2012.
Poi, i processi oggetto di domanda di definizione resteranno sospesi sino al 30 settembre, data entro la quale l’Ufficio potrà notificare il diniego di condono, che, ovviamente, potrà essere impugnato, dando luogo al “contenzioso sul condono”.