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lunedì 18 novembre 2013

Prima casa. Col vano deposito cade il beneficio

Cassazione Tributaria sentenza del 15 novembre 2013

L’acquirente perde i benefici fiscali “prima casa” se la superficie utile complessiva dell’immobile è superiore a 240 mq. Il concetto di superficie utile complessiva prescinde dalla sua abitabilità, sicché anche un vano deposito non abitabile può far aumentare la metratura dell’immobile fino a farlo diventare di “lusso”.

La sentenza. È quanto emerge dalla sentenza 15 novembre 2013, n. 25674, della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

Il caso. La Commissione Tributaria Regionale della Toscana rigettava l’appello di due coniugi che avevano impugnato l’avviso di liquidazione col quale, revocata l’agevolazione fiscale prima casa, era recuperata a tassazione l’ordinaria imposta di registro e inflitte sanzioni sull’acquisto di un immobile. Tale immobile, ad avviso dell’Ufficio finanziario, era di lusso perché aveva una superficie utile complessiva superiore a 240 mq., dovendosi in essa computare il cosiddetto vano deposito, posto che quest’ultimo presentava un’altezza di 3,25 m. e due ampie finestre oltre a un’ampia portafinestra, essendo invece irrilevante la sua destinazione di fatto.

Osservazioni della S.C. Contro la sentenza del giudice dell’appello i due contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione senza successo. Gli Ermellini osservano che la superficie utile complessiva non può restrittivamente identificarsi con la sola superficie abitabile: l’abitabilità va considerata come un criterio non esclusivo al fine dell’individuazione della categoria giuridica della “superficie utile complessiva” di cui all'articolo 6 D.M. 2 agosto 1969.

In effetti, l’utilizzabilità di una superficie è concetto che prescinde dall’abitabilità ed è quello più idoneo a esprimere il carattere “lussuoso” o meno di una casa. Cosicché, la possibilità di conseguire una facile abitabilità, mediante, per esempio, un semplice adeguamento dei rapporti aereo-illuminanti, consente di ritenere “utile” la superficie abitativa; e il tener conto di questa marcata potenzialità abitativa consente di individuare meglio ciò che è di “lusso” o meno sul piano del mercato immobiliare, che, come noto, una tale disponibilità di superficie valorizza.

Doglianza infondata. Gli Ermellini, in definitiva, hanno disatteso la tesi dei contribuenti secondo cui, per superficie utile complessiva ex D.M. 2 del 1969 doveva intendersi solamente la superficie abitabile e tale non era, all’atto dell’acquisto, il vano deposito in questione perché non rispettava i rapporti aero-illuminanti di cui al regolamento edilizio, non avendo finestre di adeguata ampiezza, tant’è vero che per ottenere l’abitabilità erano occorsi, successivamente all’acquisto, importanti lavori di ristrutturazione.

Condanna alle spese. In conclusione, la Sezione Tributaria del Palazzaccio ha condannato i contribuenti a rimborsare all’Agenzia delle Entrate e a quella del Territorio le spese processuali (4.500 euro).
Autore: Redazione Fiscal Focus

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