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lunedì 31 ottobre 2011

Niente definizione delle liti con giudicato prima del 6 luglio 2011

L’Agenzia non ammette la definizione di una lite per la quale si sia formato il giudicato prima dell’entrata in vigore del DL 98/2011
Nella circolare n. 48/2011 sono state fornite le indicazioni sulle principali modalità applicative per accedere al c.d. “condono delle liti minori”, di cui all’art. 39, comma 12 del DL n. 98/2011, ovvero quelle controversie che risultino pendenti alla data del 1° maggio 2011, la cui controparte sia l’Agenzia delle Entrate e che non superino il valore di 20.000 euro.
Nel documento di prassi si è, quindi, preliminarmente definito il concetto di lite pendenti, ovvero si considerano tali tutte quelle controversie per le quali:
- alla data del 1° maggio 2011 sia stato proposto l’atto introduttivo del giudizio in primo grado;
- alla data del 6 luglio 2011 (entrata in vigore del DL n. 98/2011) non si sia formato il giudicato.
In conseguenza di ciò, secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, non possono essere condonate quelle controversie per le quali sia intervenuta una sentenza – sia di primo che di secondo grado – ed i cui tempi d’impugnazione concessi siano decorsi. Quindi, perché una lite si consideri pendente, è necessario che la pronuncia giurisdizionale definitiva non si sia formata prima dell’entrata in vigore del DL n. 98/2011. In altre parole, è fatta salva la possibilità per il contribuente di invocare la definizione della lite se, entro il 6 luglio 2011, non sono ancora decorsi i termini di legge per impugnare l’eventuale decisione.
In realtà, il legislatore richiede – come unici requisiti formali – che, alla data indicata, sia stato proposto il ricorso e che non sia intervenuto il giudicato. Le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate sembrano, pertanto, richiedere contra legem un ulteriore requisito, ovvero che la sentenza non passi in giudicato prima dell’entrata in vigore del decreto legge.
Oltre a ciò, nell’art. 39, comma 12 del DL n. 98/2011 viene operato un espresso richiamo all’art. 16 della L. n. 289/2003 – che aveva, a sua volta, disciplinato le modalità di chiusura delle liti fiscali pendenti – e, come osservato nella circolare, “i concetti di lite pendente e di valore della lite, come precisati dall’art. 16 della L. n. 289/2002, rilevano anche per la definizione delle liti “minori” (...)”.
Pertanto, assumendo quale definizione di controversia pendente quella che emerge dall’articolo richiamato, mutatis mutandis dovrebbe essere definibile quella lite per la quale – alla data del 1° maggio 2011 – non sia ancora intervenuta una sentenza passata in giudicato. Infatti, come si legge espressamente nell’art. 39 del DL n. 98/2011, al fine di ridurre il numero delle controversie giudiziarie, possono essere definite quelle liti fiscali che risultano pendenti a tale data (ovvero 1° maggio 2011): dal disposto normativo non emerge altro requisito – ai fini della pendenza – se non quello appena citato.
Inoltre, in relazione alla sospensione dei termini, nella circolare in oggetto si ritiene che la stessa operi, sempre, a partire dall’entrata in vigore della legge: quindi, dal 6 luglio 2011 “sono (...) sospesi, sino al 30 giugno 2012 i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio”.
Tesi dell’Agenzia opinabile, alla luce della L. 289/2002
Tuttavia, anche in questo caso è necessario osservare che, se l’istituto della sospensione opera per le liti c.d. “pendenti” – ovvero per quelle non ancora coperte da giudicato alla data del 1° maggio 2011 – esso dovrebbe operare anche per le controversie “divenute definitive” successivamente a tale data. Pertanto, stante l’esplicito richiamo all’art. 16 della L. n. 289/2002 – per la definizione di controversia pendente – e considerando che le specificazioni, inserite nell’art. 39 del DL n. 98/2011, non incidono sulla definizione del concetto di “pendenza” della lite, è possibile sostenere che la sospensione dei processi e dei termini per appelli e ricorsi operi anche qualora sia intervenuto il giudicato prima del 6 luglio 2011 (o meglio, che essa inibisca il formarsi di giudicati proprio per tale sospensione).

venerdì 28 ottobre 2011

Liti pendenti, la società di persone non può definire il maggior reddito accertato

La circ. 48 dell’Agenzia ha chiarito che la controversia è definibile solo quando contiene l’ammontare dei tributi dovuti
La definizione unitaria di una lite pendente, ai sensi dell’art. 39 del DL n. 98/2011, non è esperibile qualora il soggetto coinvolto rientri tra quelli elencati all’art. 5 del TUIR: società di persone(semplici, snc e sas) e soggetti ad esse equiparati, quali associazioni di persone costituite per l’esercizio di arti e professioni, produttive di reddito di lavoro autonomo da imputare pro quota a ciascun associato.
A riguardo, si è espressa l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 48/2011, secondo cui non è definibile, nel proprio complesso, una controversia in atto con una società di persone, qualora l’accertamento impugnato contenga esclusivamente la rettifica in aumento del reddito imputabile per trasparenza ai soci. Infatti, per effetto del richiamo all’art. 16, comma 3, lett. a) e c) della L. n. 289/2002, la controversia è definibile solo quando contiene l’ammontare dei tributi dovuti, sulla base dei quali determinare le somme richieste per la definizione (circolare n. 22/2003, paragrafo 12.10).
In particolare, il paragrafo 3 della circolare n. 48/2011 ha precisato che la somma da versare per il perfezionamento della definizione della lite pendente deve essere relativa al valore della lite stessa, il quale è dato:
- dall’ammontare dell’imposta o maggior imposta accertata, oggetto di contestazione in primo grado, al netto di interessi, sanzioni e altri accessori collegati al tributo, benché irrogati con un provvedimento a parte;
- dall’importo della sanzione, nell’ipotesi di controversie che hanno ad oggetto esclusivamente l’atto di irrogazione della sanzione, collegata ad un tributo accertato ma non contestato;
- dall’importo della sanzionenon collegata ad alcun tributo, per una lite pendente riguardante il solo provvedimento sanzionatorio.
Peraltro, un atto di accertamento relativo ad una società o associazione, il cui reddito è imputato pro quota ai soci, potrebbe riguardare non solo la contestazione di tributi di pertinenza dell’impresa, come l’IRAP, ma altresì ravvisare un maggior reddito trasferibile pro quota ai singoli soci: nell’atto amministrativo non è individuabile, in questo caso, alcun valore che rappresenti l’imposta da versare o che quantifichi le eventuali sanzioni dovute dagli stessi.
Si consideri l’ipotesi di Alfa snc, alla quale venga accertata – nel medesimo atto – non soltanto il tributo regionale, ma anche maggiori ricavi, rilevanti ai fini IRPEF, da imputare ai soci per trasparenza: la definizione della lite da parte della società avrà effettolimitatamente alla quota parte riferibile all’IRAP, mentre nessun effetto si verificherà in relazione ai redditi da partecipazione contenuti nel medesimo atto di accertamento.
I soci interessati devono singolarmente contestare il guadagno addebitato
In altre parole, i soci interessati dovranno singolarmente contestare il guadagno addebitato e, quindi, autonomamente, procedere all’eventuale definizione della relativa lite pendente, mentre il giudizio relativo all’imposta IRAP rimane di competenza esclusiva della partecipata.
L’Amministrazione finanziaria aveva precedentemente osservato che “le liti in materia di imposte sui redditi riguardanti i soci sono autonomamente definibili rispetto a quelle instaurate dalle società di persone per le imposte dovute dalla stessa” (circolare n.12/2003, paragrafo 11.5). Sul punto, si rammenta che l’orientamento in parola è stato, inoltre, recentemente confermato dalla Cassazione, con l’ordinanza n. 16982/2011: in tale sede, è stato stabilito che la definizione agevolata della lite da parte del socio – per il reddito accertato nei suoi confronti – ha carattere strettamente personale, poiché costituisce titolo per l’accertamento nei suoi confronti. In particolare, la Suprema Corte ha sottolineato che “nel giudizio di impugnazione promosso dal socio avverso l’avviso di rettifica del reddito da partecipazione non è configurabile un litisconsorzio necessariocon la società e gli altri soci (...) perché l’esigenza di unitarietà dell’accertamento viene meno con l’intervenuta definizione da parte della società (...)”.
Occorre peraltro rilevare che la tesi appena riportata rappresenta un’inversione di tendenza rispetto al precedente orientamento dei giudici supremi (Cass. n. 14815/2008), i quali sostenevano che tra i soci e la società di persone sussistesse il vincolo del litisconsorzio necessario. Le singole liti poste in essere dal socio sonodistinte ed autonome non solo dal punto di vista sostanziale, ma anche da quelloprocessuale: infatti, oltre a costituire autonomi ricorsi rispetto alla controversia portata avanti dalla società per le imposte accertate in capo alla stessa, non subiscono neppure gli effetti delle vicende processuali relative agli altri soci.

mercoledì 26 ottobre 2011

Ecco il nuovo redditometro, comincia la fase di test

Nel presentarlo ai professionisti, l’Agenzia delle Entrate assicura che verrà utilizzato soltanto per orientare il contribuente verso la «compliance»
Abitazione, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, attività sportive/ricreative e cura della persona, investimenti immobiliari e mobiliari netti, altre spese significative:sette categorie per oltre 100 voci di spesa sintomo di capacità reddituale, a cominciare dalle dichiarazioni 2010 riferite ai redditi del 2009. L’Agenzia delle Entrate scopre così le “carte” del nuovo redditometro, presentato ieri a professionisti e categorie produttive. Tra le famigerate “100 voci” rientra quasi ogni aspetto della vita quotidiana, e non soltanto i tipici beni di lusso: dagli immobili agli elettrodomestici, dalle colf all’antiquariato, passando per automobili, imbarcazioni (e natanti), mezzi di trasporti in leasing (o noleggio) e aerei. Non basta: il redditometro terrà conto delle spese per assicurazioni, contributi previdenziali, istruzione (inclusi gli asili nido), assegni coniugali, gioielli e donazioni a favore di ONLUS. Con l’aggiunta, poi, delle eventuali iscrizioni a circoli (sportivi, culturali, ricreativi), del pagamento di viaggi organizzati o di soggiorni benessere, e persino del mantenimento di cavalli o dell’abbonamento alla pay-tv (per l’intero elenco, si veda la tabella in calce all’articolo).
“Strumento di controllo, ma soprattutto di compliance”, ha voluto sottolineare l’Agenzia. E proprio da questo termine, compliance, emerge lo spirito “orientativo” del nuovo redditometro. Letteralmente, compliance può significare “condiscendenza, remissività, sottomissione o conformità”: parafrasando, si potrebbe tradurre come “meccanismo di persuasione a compiere il proprio dovere di contribuenti”. Contribuenti che – ha spiegato Befera – “con una procedura semplicissima, potranno verificare la coerenza tra il livello di spesa e il reddito dichiarato”.
Parte quindi la fase sperimentale, attraverso un software di autovalutazione rigorosamente anonima che sarà distribuito sul sito dell’Agenzia (www.agenziaentrate.gov.it). Associazioni di categoria e Ordini professionali contribuiranno a raccogliere casi pratici, che dovranno essere inviati via internet alla SOSE (www.sose.it), la quale a sua volta restituirà le proprie valutazioni. La fase di test dovrebbe concludersi a fine febbraio, dando via libera al debutto ufficiale.
Oggetto della valutazione saranno circa 22 milioni di famiglie, pari a 50 milioni di contribuenti. Più precisamente, il redditometro si basa su gruppi omogenei di nuclei familiari, suddivisi per aree geografiche (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud e Isole): i risultati saranno quindi diversi a seconda che il soggetto considerato sia una persona sola (tre diverse fasce d’età), una coppia senza figli (anche qui tre diverse fasce d’età), una coppia con figli (uno, due, tre o più figli), un nucleo monogenitore o altro. L’Agenzia ha proposto, in merito, un possibile caso di “non coerenza”: prima della dichiarazione, ad esempio, il redditometro calcola nella misura di 107mila euro la soglia di coerenza del reddito complessivo di un nucleo familiare; i coniugi, però, vorrebbero dichiarare rispettivamente un valore complessivo di reddito pari a 32mila e 26mila euro. In quest’ipotesi, essendo lo scostamento notevole, qualora i due contribuenti scelgano comunque di dichiarare quanto preventivato, l’Amministrazione finanziaria predisporrà un accertamento. Esistono tre livelli di rischio: se il gap risulta molto elevato, il rischio è “alto” e comporterà controlli ordinari approfonditi; se lo scostamento è elevato, il rischio è classificato come “medio” e necessiterà di eventuali accertamenti di natura presuntiva (prima fase del contradditorio e, in mancanza di chiarimenti adeguati, accertamento sintetico o diverso strumento presuntivo che si concentri sulle spese); nulla accade, invece, se lo scostamento è “basso”.
“È chiaro che punteremo alle situazioni di maggior livello”, ha voluto assicurare Befera. Dello stesso avviso Luigi Magistro, direttore centrale accertamento dell’Agenzia: “Non scocceremo chi non merita di essere scocciato”. Dimostrazioni di prudenza, in nome della già citata compliance, che non sono sfuggite ai commercialisti italiani. “Sotto questo punto di vista – commenta Longobardi, presidente dell’ODCEC di Roma – non si può che essere d’accordo. Chiedevamo, come categoria, qualcosa che si discostasse dagli studi di settore, e il nuovo redditometro sembra andare in questa direzione”. Occorrerà attendere, comunque, la predisposizione definitiva degli indici, “ma l’aver chiesto la collaborazione delle categorie per arrivare alla definizione di quei parametri è molto positivo”. Soddisfatto dal richiamo alla compliance anche il consigliere del CNDCEC Paolo Moretti, che però aggiunge: “Nel mio intervento in rappresentanza del Consiglio nazionale, ho ribadito la nostra disponibilità a collaborare, magari promuovendo delle indagini tra i nostri clienti. Ma è evidente che, anche in questo caso, quello che andremo a ricoprire è un ruolo di interesse pubblico. Un ruolo che deve esserci riconosciuto dall’Agenzia”.

Voci di spesa
  Abitazione Abitazione principale, altre abitazioni, mutui, ristrutturazioni, intermediazioni immobiliari, collaboratori domestici, elettrodomestici, apparecchiature elettroniche, arredi, energia elettrica, telefonia fissa e mobile, gas   
 Mezzi di trasporto   Automobili, minicar, caravan, moto, natanti e imbarcazioni, aeromobili, mezzi di trasporto in leasing o noleggio 
  Assicurazioni e contributi Assicurazioni: responsabilità civile, incendio e furto, vita, danni, infortuni, malattia, altro; contributi: obbligatori, volontari, previdenza complementare
  Istruzione Asili nido, scuola per l’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria, corsi di lingue straniere, soggiorni studio all’estero, corsi universitari, tutoraggio/corsi di preparazione agli esami, scuole di specializzazione, master, canoni di locazione per studenti universitari  
Attività sportive e ricreative, cura della persona   Attività sportive, circoli culturali, circoli ricreativi, cavalli, abbonamenti pay-tv, giochi online, abbonamenti ad eventi sportivi e culturali, viaggi organizzati, alberghi, centri benessere, altri servizi per la cura della persona  
  Altre spese significative Oggetti d’arte o antiquariato, gioielli e preziosi, veterinarie, donazioni in denaro a favore di Onlus e simili, assegni periodici corrisposti al coniuge, donazioni effettuate  
  Investimenti immobiliari e mobiliari netti (separatamente valorizzati con riferimento al biennio precedente e all’anno di stima) Fabbricati, terreni, natanti e imbarcazioni, autoveicoli, motoveicoli, caravan, minicar, aeromobili, azioni, obbligazioni, conferimenti, quote di partecipazione, fondi d’investimento, derivati, certificati di deposito, pronti contro termine, buoni postali fruttiferi, conti di deposito vincolati, altri prodotti finanziari, valuta estera, oro, numismatica  
    Nuclei familiari
 Persona sola con meno di 35 anni Coppia con meno di 35 anni senza figli e/o altri familiari Coppia con un figlio Monogenitore
 Persona sola con età compresa tra 35 e 64 anni Coppia con età compresa tra 35 e 64 anni senza figli e/o altri familiari Coppia con due figli Altre tipologie
 Persona sola con 65 anni o più Coppia con 65 anni o più senza figli e/o altri familiari Coppia con tre o più figli

martedì 25 ottobre 2011

Sulle liti pendenti le linee guida dell’Agenzia

L’Agenzia delle Entrate illustra punto per punto la sanatoria dei processi, confermando varie volte precedenti circolari
È stata pubblicata sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate la circ. 24 ottobre 2011 n. 48 sulla definizione delle liti pendenti, introdotta dall’art. 39 comma 12 del DL 98/2011, articolo che richiama, per quanto da esso non disposto, il “vecchio” art. 16 della L. 289/2002.
Si rammenta che sono definibili le liti pendenti allo scorso 1° maggio 2011 sugli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a 20.000 euro.
Nella circolare vengono affrontate punto per punto le problematiche nonché gli aspetti applicativi del nuovo condono dei processi, confermando varie volte le prese di posizione assunte con le precedenti circolari del 2003, con particolare riferimento alla n. 12 e alla n. 17 di detto anno.
Innanzitutto, si rammenta che il momento iniziale di pendenza della causa coincide con la notifica del ricorso, e non con la costituzione in giudizio, per cui è sufficiente che al 1° maggio il contribuente abbia notificato il ricorso: per contro, non sono definibili le liti ove, in detta data, fossero solo pendenti i termini per l’impugnazione, senza che questa sia stata proposta.
Poi, viene affermato che non possono ritenersi condonabili i processi ove il giudicato si sia formato nel periodo intercorrente tra il 1° maggio 2011 e il 5 luglio 2011 (data di entrata in vigore del DL 98/2011), in quanto sostenere la possibilità di sanatoria striderebbe con l’intangibilità del giudicato.
Confermate le principali questioni relative alla determinazione del valore della lite, utile, per il 2011, sia per vagliare l’accesso alla sanatoria (non si dimentichi la soglia dei 20.000 euro) sia per quantificare le somme da versare, sintetizzabili come segue:
- si deve sempre considerare la parte di atto ancora sub judice, quindi non concorrono a formare il valore della lite le parti di atto annullate d’ufficio dall’Agenzia delle Entrate, così come i giudicati interni;
- se nell’atto sono contestati più tributi, il valore è dato dalla somma di questi, quindi il contribuente non può decidere, ad esempio, di chiudere il processo solo con riferimento all’IRAP o all’IVA proseguendo per il resto, sempre che, come detto, le diverse imposte siano state contestate con un unico atto;
- se il contribuente propone un ricorso contro più provvedimenti impositivi, oppure propone più ricorsi contro diversi atti che vengono successivamente riuniti dal giudice, le liti non perdono autonomia, e occorre sempre fare riferimento alle imposte contestate nel singolo atto.
Nel calcolo del valore della lite si computano le sanzioni non collegate al tributo, mentre non rilevano quelle collegate (nessun riferimento viene fatto al problema del cumulo giuridico e della continuazione).
Ampia condonabilità per le cartelle di pagamento
Per gli accertamenti sulle perdite d’impresa, rimane ferma la possibilità di affrancare le perdite stesse, in modo da “tenerle buone” per i successivi periodi d’imposta.
In merito alle liti condonabili, si conferma che occorre prescindere dal nomen iuris e dare rilievo al contenuto del provvedimento: così, rientrano nella definizione le cause scaturenti da cartelle di pagamento diverse da omessi versamenti, e lo stesso vale per gli avvisi di liquidazione.
Niente condono per le cartelle da 36-bis ove i contribuenti, ai fini IRAP, abbiano dichiarato l’imposta ma omesso i versamenti: evidentemente, l’Agenzia delle Entrate si è “dimenticata” del fatto che tale condotta è stata imposta dal sistema telematico che, magari a causa di un errore di programmazione del software, obbligava i contribuenti a dichiarare anche se non fosse sussistente l’autonoma organizzazione, ma sul punto ritorneremo.
Ferma restando l’impossibilità di definizione per gli atti di semplice liquidazione dell’imposta, sono definibili anche i processi sul canone RAI, mentre non lo sono (né concorrono a formare il valore della causa) le liti su contributi previdenziali, di competenza di altri enti e rientranti nella giurisdizione ordinaria.
Per le società di persone, come evidenziato, pur non condividendo l’assunto, in un recente intervento (“La definizione delle liti «travolge» il litisconsorzio per le società di persone” del 24 ottobre 2011), si accoglie l’orientamento della Cassazione, per cui la definizione non deve coinvolgere tutti i soci, né sarà possibile la definizione ad opera della sola società, trattandosi di avviso “senza imposta”.

lunedì 24 ottobre 2011

Studi di settore «omessi», rimedia l’integrativa

In caso di omissione della comunicazione dei dati rilevanti, l’applicazione delle sanzioni maggiorate è evitata presentando la dichiarazione integrativa
Gli interventi apportati dalla manovra correttiva (DL 98/2011) alla disciplina degli studi di settore hanno incrementato le sanzioni applicabili nel caso di omessa presentazione del modello di comunicazione dei dati rilevanti. A decorrere dal 6 luglio 2011, infatti, a tale violazione sono applicabili:
- la sanzione fissa nella misura massima di 2.065 euro (art. 8 comma 1 del DLgs. 471/97);
- le sanzioni previste per l’infedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette, IVA e IRAP maggiorate del 50%, qualora, a seguito di accertamento basato sugli studi di settore, l’Amministrazione proceda a rettifica delle relative dichiarazioni, a condizione che accerti un maggior reddito, una maggiore imposta o un maggior imponibile superiori al 10% di quanto dichiarato (considerando le imposte dirette, le sanzioni diventerebbero variabili dal 150 al 300% della maggiore imposta).
Tali sanzioni potrebbero trovare applicazione congiunta quando, oltre a constatare l’omessa presentazione del modello, l’Agenzia proceda a controllo e accerti i presupposti per l’infedele dichiarazione e il superamento del limite del 10% del dichiarato.
L’applicazione delle sanzioni è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni:
- la presentazione della comunicazione dei dati rilevanti deve essere dovuta;
- il contribuente non deve avervi provveduto anche a seguito di specifico invito rivoltogli dall’Agenzia delle Entrate.
Sembrerebbero assoggettati alle sanzioni maggiorate solo i contribuenti effettivamente soggetti agli studi di settore e non quelli esclusi con l’obbligo di presentazione del modello “a fini statistici”, come i contribuenti che hanno dichiarato ricavi o compensi di ammontare superiore a 5.164.569 euro e inferiore a 7.500.000 euro, oppure che rientrano in una delle cause di esclusione previste nelle ipotesi di cessazione dell’attività o non normale svolgimento dell’attività. Il punto, peraltro, necessiterebbe di un ulteriore chiarimento ufficiale poiché la circolare Agenzia delle Entrate n. 41/2011 si è occupata di tale aspetto solo con riferimento alla possibilità di procedere ad accertamento induttivo.
Come precisato nella circolare 41/2011, le sanzioni nelle predette misure presuppongono che la comunicazione dei dati rilevanti non sia stata presentata, neppure mediantedichiarazione integrativa, anche a seguito di specifico invito. Se ne dovrebbe dedurre, al contrario, che la presentazione dell’integrativa impedisca l’applicazione delle sanzioni “maggiorate”, restando comunque applicabili:
- la prima nella misura variabile da 258 a 2.065 euro;
- la seconda, di regola, dal 100 al 200% della maggior imposta accertata.
Ravvedimento operoso applicabile entro l’anno
Si ricorda poi che, se il contribuente presenta la dichiarazione integrativa entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale l’omissione si è verificata, lo stesso può versare la sanzione per irregolare dichiarazione avvalendosi del ravvedimento operoso e, quindi, versando un ottavo del minimo di 258 euro (pari a 32,25 euro). Qualora detto termine sia decorso, il contribuente, pur non potendo più beneficiare del ravvedimento operoso, mantiene comunque interesse a presentare l’integrativa, in quanto ciò gli consente, nell’eventualità in cui venga sottoposto ad accertamento, di evitare l’applicazione delle sanzioni per infedele dichiarazione maggiorate del 50%.
Con riferimento al termine entro cui può essere presentata la dichiarazione integrativa, si ritiene possibile far riferimento all’art. 2 comma 8 del DPR 322/98, che fissa il termine entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione originaria, nel caso in cui la correzione della violazione comporti una rettifica dei dati a favore del Fisco (come nell’ipotesi in cuiper effetto dell’applicazione dello studio in precedenza omessa, il contribuente risulti non congruo e ritenga di adeguarsi ai maggiori ricavi o compensi in sede di dichiarazione integrativa). Viceversa, può accadere che lo studio sia stato applicato con eventuale adeguamento, ma che il contribuente, per motivi vari, non abbia allegato il modello, oppure che lo studio non sia stato applicato prima (ad esempio, perché si riteneva operante una causa di esclusione o di inapplicabilità) e il contribuente risulti congruo, senza necessità di effettuare l’adeguamento. In questi ultimi casi, l’applicabilità del termine ex art. 2 comma 8 citato è dubbia, poiché la sanatoria dell’omissione risulta “neutra” rispetto all’imponibile e l’imposta a suo tempo dichiarati.

giovedì 20 ottobre 2011

Il redditometro è una presunzione semplice

Secondo la C.T. Prov. di Torino, i contribuenti possono dimostrare che le spese per il mantenimento dei beni sono inferiori ai decreti ministeriali
Nei mesi scorsi, avevamo commentato una sentenza della Corte diCassazione, la n. 13289 del 2011 (si veda “La Cassazione amplia la difesa nel «redditometro»” del 18 giugno 2011), ove la Suprema Corte aveva affermato che i coefficienti ministeriali di cui al DM del 1992 che quantificano il reddito in applicazione del cosiddetto “redditometro”, non hanno valore di presunzione legale relativa, ma di presunzione semplice.
Gli effetti di tale orientamento appaiono rivoluzionari.
Se il “redditometro” è una presunzione legale relativa, il contribuente, come peraltro affermato molte volte dalla Cassazione (si veda “Le tabelle ACI non invalidano il redditometro” del 3 marzo 2011), non può impugnare il coefficiente ministeriale oggettivamente considerato, in altri termini non può dire all’Agenzia delle Entrate: “Per il mantenimento dell’auto, non spendo circa 30.000 euro, visto che mi limito a fare benzina due volte al mese, a fare il tagliando e a pochi interventi di manutenzione ordinaria”, nemmeno se ciò fosse documentato, proprio perché la presunzione è legale.
Dato per buono il reddito così come determinato dai decreti (che, come nel caso delle auto, è talvolta eccessivo e del tutto sproporzionato rispetto alle spese che una comune persona sostiene per il suo mantenimento), il contribuente può solo dimostrare che il reddito in tal modo quantificato trova “copertura” con redditi esenti, o comunque, con mezzi di sostenimento irrilevanti ai fini fiscali (ad esempio, documentate donazioni dei genitori).
La cosa cambia totalmente se si opta per la tesi della presunzione semplice, tesi che, sino alla sentenza 13289, era assolutamente minoritaria.
In merito a tale problematica, la C.T. Prov. di Torino, sezione II, sentenza n. 136 del 1° luglio 2011, si è espressa nel senso del carattere di presunzione semplice dei decreti ministeriali, con un ragionamento lineare e ben esposto.
Come premessa iniziale, si afferma che è ragionevole e condivisibile la ratio sottesa agliaccertamenti sintetici, secondo cui la proprietà/possesso/disponibilità di determinati beni  può costituire un indice di reddito, posto che “detti beni hanno sicuramente un costo tanto di acquisizione, quanto di mantenimento, costi che devono, prima, «entrare» nel reddito del soggetto per poter, poi, «uscire» per l’acquisizione o il mantenimento dei beni stessi”.
Principio consono alla capacità contributiva
La presunzione di cui sopra pare venga definita, in un certo senso, “semplice ma comunque legale”, nel senso che il contribuente non può contestare il metodo di calcolo dei decreti ministeriali, ovvero la formula matematica “scelta” dal Ministero.
Tanto premesso, la natura di certo semplice della presunzione consente di dimostrare che, “nello specifico caso, le spese di mantenimento di quel bene per quell’annualità siano state inferiori a quelle legislativamente presunte e che, quindi, in quell’anno il mantenimento del bene abbia inciso sul reddito del contribuente in modo inferiore a quello preventivato dal legislatore”.
Se così non fosse, la norma sarebbe incostituzionale, posto che si trasformerebbe l’imposta sul reddito in una patrimoniale, slegata dal concetto di capacità contributiva, “ma legata unicamente alla semplice proprietà/possesso di determinati beni, piuttosto che di altri”.
A nostro avviso, le considerazioni effettuate valgono sia per il “vecchio” redditometro che per il “nuovo”, che verrà presentato alle associazioni professionali la prossima settimana (si veda “Redditometro, martedì prossimo la presentazione” del 19 ottobre 2011).