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mercoledì 29 febbraio 2012

TFM degli amministratori tassato ordinariamente solo oltre un milione

La regola vale anche per gli amministratori di società di capitali, escluse le somme corrisposte agli eredi
 Massimo NEGRO
Anche le indennità di fine mandato (TFM) degli amministratori di società di capitali sono soggette a tassazione ordinaria solo per la parte eccedente un milione di euro. È questo il più importante chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 3 emanata ieri, che analizza l’art. 24 comma 31 del DL n. 201/2011, convertito nella L. 22 n. 214/2011 (Manovra Monti), con il quale sono state introdotte deroghe al regime di tassazione separata delle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17 comma 1 lettere a) e c) del TUIR, cioè del TFR e delle indennità equipollenti dei lavoratori dipendenti, nonché delle indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 50 comma 1 lett. c-bis) del TUIR, ad esempio il trattamento di fine mandato degli amministratori di società, se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto.
La Manovra Monti, infatti, ha previsto l’applicazione della tassazione ordinaria, in luogo della tassazione separata, alla quota delle indennità e dei compensi legati alla cessazione di un rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa, erogati in denaro o in natura, che eccede l’importo di un milione di euro.
L’art. 24 comma 31 in esame stabilisce, però, che le nuove disposizioni “si applicano in ogni caso a tutti i compensi e indennità a qualsiasi titolo erogati agli amministratori delle società di capitali“. Secondo l’Agenzia delle Entrate, tale previsione, che ha dato luogo a numerosi dubbi interpretativi, “intende confermare la ratio della norma, senza nel contempo differenziarne l’applicazione con esclusivo riferimento agli amministratori di società di capitali. Anche nei confronti di questi ultimi, quindi, la disposizione in esame si applica ai compensi e alle indennità in denaro e in natura, comprese eventuali stock options, che eccedono l’importo di euro 1.000.000”. Gli amministratori di società di capitali, pertanto, non subiscono un regime di tassazione diverso e più penalizzante rispetto agli amministratori di società di persone o ai dipendenti. L’orientamento prevalente in dottrina, infatti, era quello di ritenere che, per effetto del DL 201/2011, il TFM degli amministratori di società di capitali dovesse essere sempre tassato in via ordinaria, indipendentemente dal relativo importo.
L’Agenzia delle Entrate precisa, inoltre, che la nuova disciplina è applicabile anche qualora il superamento dell’importo di un milione di euro si verifichi per effetto di erogazioni non contestuali nel corso del medesimo periodo d’imposta o di erogazioni effettuate in diversi periodi d’imposta.
Per quanto riguarda la decorrenza della nuova disciplina in esame, stabilita retroattivamente, in deroga allo Statuto del contribuente, “con riferimento alle indennità ed ai compensi il cui diritto alla percezione è sorto a decorrere dal 1° gennaio 2011“, l’Agenzia delle Entrate precisa che, nell’effettuare la verifica del superamento del limite di un milione, “occorre considerare anche eventuali pregresse anticipazioni e acconti relativi a TFR il cui diritto alla percezione è sorto a decorrere dal 1° gennaio 2011, fermo restando che l’importo già oggetto di tassazione separata anche se in via provvisoria non concorre alla formazione del reddito complessivo”. Tali criteri devono ritenersi applicabili anche in relazione al TFM degli amministratori.
I sostituti d’imposta devono operare le ritenute, ai sensi degli artt. 23 e 24 del DPR 600/73, tenendo conto che l’importo eccedente un milione di euro concorre alla formazione del reddito complessivo. Inoltre, secondo l’Agenzia delle Entrate, “i sostituti d’imposta sono tenuti a rideterminare la tassazione cui sono soggette le indennità e somme in esame in base alle presenti indicazioni, liquidando distintamente l’imposta dovuta a titolo di tassazione separata, l’imposta dovuta a titolo di tassazione ordinaria, nonché quella eventualmente dovuta ad altro titolo”. L’esito della nuova liquidazione deve essere comunicato al percettore delle indennità e somme in questione mediante la predisposizione del modello CUD, ovvero di un nuovo modello CUD.
Il concorso alla formazione del reddito complessivo di indennità e compensi, precedentemente tassati separatamente, comporta un incremento dello stesso, con le ordinarie conseguenze che ne derivano in termini, ad esempio, di calcolo e versamento degli acconti, di applicazione delle addizionali regionali e comunali IRPEF, nonché del contributo di solidarietà del 3% qualora il reddito complessivo ecceda l’importo di 300.000 euro (art. 2 del DL n. 138/2011).
Infine, secondo l’Agenzia, esula dal campo di applicazione della disposizione in esame l’ipotesi in cui le indennità e i compensi siano erogati agli eredi o aventi diritto del dipendente o collaboratore (es. amministratore) deceduto; la tassazione separata sarà quindi applicabile anche in caso di superamento del limite di un milione di euro.
 

Il contributo di solidarietà è un’imposta straordinaria distinta dall’IRPEF

Lo chiarisce la circ. 4 dell’Agenzia delle Entrate, che fornisce i primi chiarimenti integrando quanto già indicato dal DM 21 novembre 2011
 Elena SPAGNOL
L’Agenzia delle Entrate ha emanato ieri, 28 febbraio 2012, la circolare n. 4, che fornisce i primi chiarimenti in merito al contributo di solidarietà, introdotto dall’art. 2, commi 1 e 2 del DL n. 138/2011 convertito.
Il contributo di solidarietà è un’imposta straordinaria, istituita per l’eccezionalità della situazione economica internazionale, introdotta a decorrere dal 2011 e fino al 2013, a carico dei contribuenti con reddito complessivo superiore ai 300.000 euro annui.
L’aliquota è del 3% e deve essere applicata sulla parte di reddito eccedente l’importo indicato.
In merito all’ambito di applicazione, la circolare evidenzia che, stante il riferimento del DL 138/2011 al reddito complessivo di cui all’art. 8 del TUIR, i contribuenti tenuti a corrispondere il contributo di solidarietà sono i medesimi soggetti passivi IRPEF, compresi i soggetti non residenti per i redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Il reddito complessivo si ottiene sommando i redditi di ogni categoria che concorrono a formarlo, determinati secondo le regole previste per ciascuna categoria e sottraendo le perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e quelle derivanti dall’esercizio di arti e professioni.
La circolare specifica anche che, essendo il contributo un’imposta straordinaria, è distinta dall’ordinaria imposta sul reddito delle persone fisiche, con la conseguenza che l’importo dovuto:
- non concorre all’importo dell’IRPEF su cui possono essere fatte valere eventuali detrazioni;
- non concorre all’importo dell’IRPEF da cui possono essere scomputati crediti per imposte pagate all’estero, versamenti in acconto dell’IRPEF, ritenuta alla fonte a titolo d’acconto;
- non rileva nella determinazione dell’aliquota media da applicare ai fini della tassazione separata;
- non deve essere considerata nell’imposta italiana che costituisce il limite entro cui può essere attribuito il credito d’imposta per l’imposta pagata all’estero.
Con riferimento, invece, all’applicazione del contributo agli emolumenti dei dipendenti pubblici e trattamenti pensionistici, è importante il coordinamento con le altre norme, che hanno ridotto i trattamenti economici complessivi dei dipendenti pubblici e previsto un contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici (art. 9, comma 2 del DL n. 78/2010 e art. 18, comma 22-bis del DL n. 98/2011, come modificato dall’art. 24, comma 31-bis del DL n. 201/2011).
Per il dipendente pubblico o il titolare di un trattamento pensionistico si dovrà considerare l’importo che costituisce imponibile ai fini della formazione del reddito complessivo di cui all’art. 8 del TUIR e, una volta verificato il superamento dell’importo dei 300.000 euro, il contributo di solidarietà sarà calcolato sulla parte di reddito eccedente la predetta soglia, che trova capienza nei redditi di categoria diversa da quelli già assoggettati alla riduzione o al contributo di perequazione.
Dopo aver ripercorso le modalità di versamento dell’imposta per i soggetti che presentano la dichiarazione dei redditi e per i soggetti dipendenti, per i quali è il sostituto d’imposta che è tenuto a versare l’importo trattenuto a titolo di contributo di solidarietà, la circolare si sofferma sulla modalità di deduzione dello stesso.

Contributo deducibile per competenza
Ricordando che il DL 138/2011 e il decreto di attuazione hanno specificato che il contributo è deducibile dal reddito complessivo, la circolare evidenzia che la deduzione è riconosciuta in base al principio di competenza sia ai fini IRPEF che ai fini del calcolo delle addizionali regionali e comunali.
Ad esempio, quindi, in sede di dichiarazione dei redditi 2011 (modelli UNICO 2012 e 730/2012), i contribuenti potranno dedurre dal reddito complessivo del periodo d’imposta 2011 il contributo di solidarietà dovuto per il medesimo periodo d’imposta, ancorché determinato e versato nel 2012.
 

lunedì 27 febbraio 2012

Senza modifiche le fatture non pagate degli ex minimi

A seguito dell’esclusione dal regime, non è necessario apportare alcuna variazione alle fatture emesse nel 2011, ma pagate nel 2012
/ Paola RIVETTI
La fuoriuscita dal regime dei minimi dal 2012 genera qualche problema interpretativo rispetto al trattamento da riservare alle fatture emesse nel corso del regime, ma che verranno pagate nel 2012 (quando, cioè, il contribuente non fruisce più del regime agevolato).
Dal punto di vista reddituale, è stato chiarito che i componenti (ricavi, compensi e spese sostenute) che, seppur di competenza del periodo soggetto al regime dei minimi (ad esempio, del 2011), non hanno formato il reddito imponibile del periodo (ad esempio, perché non hanno avuto manifestazione finanziaria in tale anno), rilevano nei periodi successivi (quindi, nel 2012) nel corso dei quali si verificano i presupposti previsti dal regime dei minimi medesimo, cioè il pagamento del corrispettivo secondo il principio di cassa (circ. Agenzia delle Entrate n. 73 del 21 dicembre 2007 , § 4.4). Relativamente al trattamento ai fini IVA, invece, non constano chiarimenti ufficiali.
Per risolvere il problema, è necessario ricordare la disciplina relativa alla fatturazione applicabile ai contribuenti minimi.
Come precisato dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 73 (§ 3.1.2) del 21 dicembre 2007, i contribuenti minimi hanno l’obbligo di certificazione dei corrispettivi; sulle fatture emesse ai sensi dell’art. 21 del DPR 633/72, deve annotarsi che trattasi di “operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, comma 100, della legge finanziaria per il 2008”.
Da ciò emerge che, anche per tali soggetti, la fatturazione è regolata dall’art. 21 citato il quale, quanto all’emissione del documento, fa riferimento al momento di effettuazione dell’operazione, secondo i criteri dell’art. 6 del medesimo DPR, coincidente con:
- il pagamento del corrispettivo, se si tratta di una prestazione di servizi;
- la stipulazione del contratto o la consegna del bene, se si tratta di cessione di beni;
- la data di emissione della fattura, in caso di fatturazione precedente al verificarsi di uno degli eventi sopra indicati o indipendentemente da essi.
Tenendo conto di quanto sopra, nel caso in cui il contribuente minimo abbia emesso fatture senza IVA per operazioni effettuate (secondo i criteri sopra indicati) nel 2011, si ritiene che lo stesso nulla debba fare a seguito della fuoriuscita dal regime in esame dal 2012, in quanto gli obblighi ai fini IVA sono stati correttamente adempiuti seguendo le regole sopra indicate. A tal fine, non rileva che le fatture emesse nel 2011 verranno pagate nel 2012.

Conta il momento in cui l’operazione si considera effettuata ai fini IVA
 
Si ipotizzi un professionista che, nel 2011, abbia emesso una fattura per la prestazione resa prima del pagamento del corrispettivo.
In tal caso, ai fini IVA, l’operazione si considera effettuata al momento dell’emissione della fattura senza che rilevi il momento in cui avverrà materialmente il pagamento. Quindi, qualora il pagamento sia effettuato nel corso del 2012, il soggetto nulla dovrà fare rispetto alla fattura in questione, poiché l’operazione, nel momento in cui è stata effettuata, era soggetta al regime agevolato. Resta fermo che, secondo quanto sopra indicato, il compenso concorrerà alla formazione del reddito del 2012.
Quanto sopra indicato vale in tutti i casi in cui il soggetto sia volontariamente fuoriuscito dal regime, oppure escluso dall’anno successivo (ad esempio, dal 2012) a quello in cui sono venuti meno i requisiti di accesso.
Diverso trattamento, invece, va applicato in caso di conseguimento, nel corso del periodo d’imposta, di ricavi o compensi superiori a 45.000 euro, ipotesi in cui l’esclusione dal regime opera nell’anno stesso in cui è stato raggiunto tale limite. In tal caso, come precisato dall’Agenzia delle Entrate, è dovuta l’IVA relativa ai corrispettivi delle operazioni imponibili effettuate nell’intero anno solare, determinata, per le fatture emesse nella frazione d’anno antecedente il superamento del predetto limite, mediante scorporo dal corrispettivo indicato in fattura.

sabato 25 febbraio 2012

Via libera dal CdM alle semplificazioni fiscali

Dopo una nuova seduta-fiume di più di sei ore, il Consiglio dei Ministri ha approvato, ieri, il DL sulle semplificazioni fiscali, con il quale il Governo intende introdurre misure che – si legge nel comunicato stampa di Palazzo Chigi – renderanno ancora più marcata l’azione nel campo della semplificazione normativa e della lotta all’evasione. Il provvedimento, predisposto dal Ministero dell’Economia e delle finanza, consta di 13 articoli.
Sciolto il nodo dell’IMU sugli immobili commerciali della Chiesa, attraverso la presentazione di un un emendamento al DL n. 1/2012, dal testo sarebbe “saltato” il fondo per cominciare a pensare a un abbassamento della pressione fiscale a partire dal 2014, utilizzando anche i proventi della lotta all’evasione fiscale.
Tra le misure contenute nel provvedimento, figura innanzitutto la proroga per il pagamento dell’imposta di bollo sulle attività scudate, spostata dal 16 febbraio al 16 maggio prossimo. Inoltre, per la soglia di 1.000 per i pagamenti di pensioni e stipendi in contanti, viene differito al 1° maggio l’ultilizzo di strumenti elettronici. Sempre in materia di limitazioni all’uso del contante e tracciabilità, viene introdotta una deroga per gli stranieri non comunitari residenti fuori dal territorio italiano: la disposizione prevede, infatti, che, per acquisti di beni effettuati da persone fisiche residenti al di fuori del territorio dello Stato e di cittadinanza straniera, non trovano applicazione le misure che pongono il divieto all’uso del contante oltre i 1.000 euro.
Le altre misure, in base a quanto comunicato dal Governo, sembrano in linea con quanto anticipato nei giorni scorsi.
In relazione alla rateizzazione dei debiti tributari, infatti, il DL permette la dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo di cui all’art. 19 del DPR n. 602/73 anche nei casi di decadenza del beneficio previsto dall’art. 3-bis del DLgs. n. 462/97; in tal modo, il contribuente potrebbe comunque accedere, una volta ricevuta la cartella di pagamento, all’istituto della rateazione per momentanea difficoltà economica. Le soluzioni proposte sono tre: piani di ammortamento a rata crescente fin dalla prima richiesta di dilazione; esclusione della decadenza dal beneficio per mancato pagamento della prima rata ovvero di due rate successive, con decadenza che opera solo in caso di mancato pagamento di due rate consecutive; divieto d’iscrivere ulteriori ipoteche oltre la prima.
In materia, invece, di comunicazioni e adempimenti formali, il DL prevede che, al fine di accedere a regimi fiscali speciali o di fruire di particolari agevolazioni, il contribuente possa presentare l’eventuale apposita comunicazione o assolvere un adempimento di carattere formale anche in ritardo, comunque entro il termine della prima dichiarazione fiscale utile e in ogni caso prima dell’inizio dell’accertamento, pagando una sanzione minima di 258 euro.
Oltre alla reintroduzione del vecchio elenco “clienti e fornitori”, come trapelato nei giorni scorsi, le imprese tenute a osservare la disciplina “black list” dovranno poi comunicare all’Agenzia delle Entrate le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata, solo per le operazioni di importo superiore a 500 euro.
Presenti, nel decreto, anche misure di contrasto all’evasione, come la possibilità, per la Guardia di Finanza, di istruire indagini di carattere finanziario e quindi trasmettere all’Agenzia le proposte per richiedere le misure cautelari dell’ipoteca e del sequestro conservativo, e l’estensione dell’obbligo, da parte dei destinatari delle disposizioni in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, di trasmissione delle infrazioni alle norme sulla limitazione all’uso del contante alla Guardia di finanza.
Per le partite IVA inattive, ancora, l’Agenzia provvederà a inviare in modo automatico una comunicazione ai titolari che, pur obbligati, non hanno presentato la dichiarazione di cessazione di attività, con l’invito al pagamento della sanzione, ridotta ad un terzo. Al contribuente viene data la possibilità di comunicare elementi aggiuntivi, perché l’Agenzia non proceda alla cessazione d’ufficio della partita IVA. In assenza di motivazioni valide, l’Agenzia procederà d’ufficio alla cessazione della partita IVA e all’iscrizione a ruolo delle somme dovute nel caso in cui il versamento non sia stato effettuato spontaneamente.
Infine, modifiche all’IMU per le case all’estero: l’imposta non sarà dovuta se il suo importo calcolato non supera i 200 euro. Inoltre, per valore dell’immobile, ai fini dell’imposta, si assume non più solo il valore di mercato, ma quello utilizzato nel Paese estero per le imposte patrimoniali o sui trasferimenti e, per gli Italiani che lavorano all’estero per lo Stato, si prevede la riduzione dell’aliquota di 0,4 punti percentuali (ma solo per il periodo in cui si lavora all’estero). Viene anche riconosciuta la detrazione (200 euro) se l’immobile è adibito ad abitazione principale.

IMU sugli immobili commerciali della Chiesa nel Decreto liberalizzazioni

Il Premier Monti ha informato il CdM di aver presentato un emendamento in materia al Senato, dov’è in corso l’iter di conversione in legge del DL
 Rossella QUARANTA
Nessun passo indietro: le attese novità per l’esenzione ICI/IMU sugli immobili degli enti non commerciali, non ultima la Chiesa, arriveranno. Non nel DL semplificazioni fiscali, ma attraverso un emendamento al DL n. 1/2012 (DL liberalizzazioni), attualmente in fase di conversione.
L’annuncio ufficiale è arrivato ieri, in Consiglio dei Ministri, per bocca del Premier Mario Monti: l’emendamento è già stato presentato al Senato e “intende garantire la massima tempestività nell’attuazione degli auspici della Commissione europea”; in tempo, quindi, per permettere alla Commissione Ue di chiudere – è l’auspicio di Monti – la procedura aperta nell’ottobre 2010 per verificare se l’esenzione ICI possa rappresentare una violazione delle norme comunitarie.
L’assenza delle modifiche nella bozza di Decreto sulle semplificazioni fiscali aveva fatto supporre che il Governo, nonostante le rassicurazioni di Monti dei giorni scorsi avesse deciso di soprassedere, almeno per il momento. In realtà, l’Esecutivo ha soltanto preferito intervenire nella conversione di un altro Decreto già emanato, il DL n. 1/2012, alla luce della “stretta attinenza ai temi della concorrenza, della competitività e della conformità al diritto comunitario”.
I principi a cui si dovranno ispirare le modifiche (o meglio, le precisazioni normative) sono gli stessi anticipati lo scorso 15 febbraio al Vicepresidente della Commissione Ue, Joaquin Almunia.
In sostanza, saranno esenti dall’ICI (che confluirà nell’IMU a partire da quest’anno) soltanto gli immobili in cui si svolge un’attività non commerciale in maniera esclusiva. Non saranno dunque esenti quelli in cui l’attività non commerciale sia solo prevalente. Nel caso di immobili a destinazione mista (commerciale e non), sarà espressamente esente da ICI/IMU la sola frazione di unità immobiliare dedicata all’attività non commerciale.
Al fine di stabilire il citato frazionamento, verrà introdotto un meccanismo di dichiarazione vincolata a parametri stabiliti dal Ministero dell’Economia, che dovranno individuare il rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali coesistenti nel medesimo immobile.
Nessuna sanatoria per accertamenti e sanzioni già in corso
Stando al comunicato diffuso ieri dal Governo, non sarà peraltro possibile alcuna sanatoria, né diretta né indiretta, per gli accertamenti già in essere e per le relative sanzioni.
Quanto agli effetti sul gettito, l’Esecutivo assicura che saranno “positivi”, ma non avanza ipotesi quantitative sulle maggiori entrate, che “saranno accertate a consuntivo e potranno essere destinate, per la quota di spettanza statale, all’alleggerimento della pressione fiscale”. Secondo alcune stime, comunque, si tratterebbe di una rivoluzione da oltre mezzo miliardo di euro.
E in risposta ai timori che la stretta normativa possa mettere in ginocchio il terzo settore, il Governo sottolinea che le attività non commerciali esercitate dagli enti saranno debitamente “riconosciute e salvaguardate”, tenendo conto della particolare importanza del volontariato per il tessuto sociale nell’attuale crisi economica.
Parole non sufficienti, però, a spegnere le proteste sul nascere. Contrari all’applicazione dell’IMU alle scuole paritarie i Salesiani d’Italia, secondo cui la norma “non sarebbe né giusta, né equa”. Secondo l’ordine (che gestisce 140 scuole in tutto il Paese), le attività con rilievo pubblico, destinate “all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione”, non possono essere considerate commerciali.

giovedì 23 febbraio 2012

Per il redditometro, va dimostrato il reddito derivante da società

Per la C.T. Prov. di Lecce, bisogna provare che gli utili prelevati da una società partecipata sono stati dichiarati e assoggettati a tassazione
 Alessandro BORGOGLIO
Il contribuente sottoposto ad accertamento redditometrico, che intende giustificare lo scostamento rispetto al suo reddito dichiarato attraverso un corposo prelievo di utili di esercizi precedenti da una società partecipata, deve provare che tali utili sono stati dichiarati ed assoggettati a tassazione, nonché effettivamente utilizzati per il mantenimento dei beni indice e gli incrementi patrimoniali contestati dal Fisco; in assenza di tale prova, l’accertamento risulta pienamente fondato. È quanto si desume dalla sentenza della C.T. Prov. di Alessandria n. 17/3/12 del 9 febbraio 2012.
L’Ufficio aveva effettuato il controllo della posizione fiscale di un contribuente avvalendosi del redditometro di cui al “vecchio” art. 38, comma 4 e ss. del DPR 600/1973 (ante riforma prevista dall’art. 22 del DL 78/2010). L’Agenzia delle Entrate aveva rilevato, in particolare, diversi beni indicatori di capacità contributiva contemplati dai vecchi decreti ministeriali del 1992, tra cui il possesso di un’immobile di circa 500mq, gravato da mutuo ipotecario con rate complessive di circa 15.000 euro nell’anno oggetto di controllo, oltre che diverse auto di grossissima cilindrata e incrementi patrimoniali di svariate migliaia di euro derivanti da acquisti di auto e di un’imbarcazione di circa 16 metri. A fronte del reddito dichiarato di poco più di 10.000 euro, l’Ufficio, sulla base della presunzione redditometrica fondata sui predetti elementi, lo aveva rideterminato nella misura di circa 150.000 euro.
Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento, adducendo che un importo di circa 180.000 euro e, quindi, ben superiore al reddito accertato dall’Ufficio, era stato prelevato da una sas in cui deteneva una partecipazione. In particolare, tale somma sarebbe derivata da un’asserita riserva di utili di esercizi precedenti della predetta società. Il contribuente, così, riteneva di aver giustificato il reddito con cui era stata finanziata la spesa per gli incrementi patrimoniali ed il mantenimento dei beni indicatori di capacità contributiva contestati dal Fisco. Di tutto ciò, esibiva solo la scheda di mastro di tale sas relativa ai prelevamenti soci, tra cui vi era, appunto, quello del ricorrente.
I giudici di primo grado hanno ricordato, innanzitutto, che l’utile conseguito da una sas è generalmente ripartito tra i soci in proporzione alla quota di partecipazione di ognuno e, anche se tale utile viene accantonato come riserva di bilancio, ogni socio deve dichiarare la sua quota parte, inserendo l’importo tra i redditi di partecipazione da indicare nel quadro H del modello UNICO. Alla luce di ciò, il collegio ha osservato che, se la predetta somma prelevata dal ricorrente presso la società deriva da una simile riserva di utili pregressi appostata in bilancio, si tratterebbe di utili già assoggettati ad imposizione negli anni precedenti e desumibili dalle dichiarazioni del ricorrente dei precedenti periodi d’imposta; dichiarazioni che, però, non sono state né richiamate né citate né esibite. Tale circostanza, secondo il collegio di prime cure, è assai singolare, dato che la dichiarazione presentata per l’anno oggetto di accertamento non conteneva l’indicazione di alcun reddito di partecipazione in società.
La C.T. Prov. ha aggiunto, poi, che neppure era stato allegato lo statuto di tale sas, da cui si sarebbero potute desumere e confermare le modalità di riparto degli utili e di accantonamento delle riserve. In conclusione, secondo i giudici provinciali, il ricorrente, con la documentazione allegata, aveva solo dimostrato che era stato effettuato il prelevamento di utili pregressi della riserva della sas partecipata, ma non aveva provato che tali utili erano stati correttamente dichiarati e, quindi, già tassati negli anni precedenti, né aveva dimostrato che tale somma fosse stata usata per finanziarie gli incrementi patrimoniali ed il mantenimento delle auto e dell’immobile contestati dal Fisco. Il ricorso, pertanto, è stato respinto ed il contribuente è stato condannato a pagare consistenti spese di giudizio.
In proposito, si osserva che il nuovo redditometro, a differenza di quello precedente, a cui si riferiscono i fatti di causa, non prevede più la ripartizione della spesa per incrementi patrimoniali sugli ultimi cinque anni da quello in cui si è verificato tale incremento (ex art. 38, comma 5 del DPR 600/1973 ante riforma); ora, infatti, tale spesa assume integralmente rilievo nell’anno in cui si manifesta, salva la prova contraria da parte del contribuente.
Inoltre, mentre con la precedente disciplina il contribuente aveva solo la facoltà di dimostrare che il maggior reddito determinato sinteticamente era costituito in tutto o in parte da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo  d’imposta (dimostrazione che, nel caso oggetto della pronuncia odierna, non era riuscita), con il “nuovo” redditometro, invece, sembra ampliarsi il campo probatorio a disposizione del contribuente, giacché la prova contraria può essere fornita attraverso la dimostrazione di redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile (“nuovo” art. 38, comma 4 del DPR 600/1973).

mercoledì 22 febbraio 2012

Per la srl semplificata, occorre il decreto

Secondo le Camere di Commercio, l’iscrizione al Registro delle imprese non può avvenire senza l’emanazione dello statuto standard della società
 Roberta VITALE
L’art. 3 del DL n. 1/2012 ha introdotto per i giovani “under 35” un nuovo tipo di società, la società semplificata a responsabilità limitata di cui al nuovo art. 2463-bis c.c.
Semplificata, come noto, in punto regime agevolato previsto dal Legislatore per le formalità di costituzione.
Tale prescrizione – come già rilevato in un precedente intervento – già immediatamente operativa dal 24 gennaio 2012, data di entrata in vigore del DL 1/2012, è stata però di fatto limitata dallo stop dato dalle Camere di Commercio per l’iscrizione nel Registro delle imprese.
In attesa, infatti, del decreto attuativo che predisporrà lo statuto standard della società e che individuerà anche i criteri di accertamento delle qualità soggettive dei soci, sembra che le Camere di Commercio abbiano bloccato l’iscrizione nel Registro delle imprese di tale nuova tipologia societaria (si vedano le note informative diramate dalle Camere di Commercio, ad esempio, di Milano, Torino, Roma e Venezia).
Il decreto andrà emanato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del DL n. 1/2012, termine per la conversione previsto per il prossimo 24 marzo 2012 e attualmente all’esame del Senato (A.S. 3110).
Secondo le Camere di Commercio, le domande presentate prima dell’emanazione del predetto decreto attuativo saranno così rifiutate.
Ma veniamo ai punti fondamentali della srl semplificata: avere meno di 35 anni e possibilità di prevedere un capitale sociale minimo di un euro quale importo di valore simbolico, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione.
Per la sua costituzione, con contratto o con atto unilaterale (quindi, la società può essere anche unipersonale), basta una scrittura privata da depositare nel Registro delle imprese entro 15 giorni a cura degli amministratori a mezzo della procedura di comunicazione unica, esente da bolli e diritti di segreteria. Nei 15 giorni successivi, il Registro delle imprese accerta le condizioni e iscrive (non per ora almeno) la società. In mancanza, il Giudice del Registro, adito da uno degli amministratori, verificata la sussistenza dei presupposti e ordina con decreto l’iscrizione.
A tal proposito, anche in considerazione della ratio sottesa alla norma, ossia favorire l’iniziativa imprenditoriale dei più giovani e meno abbienti tramite la partecipazione a strutture associative senza i limiti rigorosi previsti per le società di capitali, per la costituzione della società non dovrebbe occorrere l’intervento del notaio. L’atto costitutivo deve essere redatto per scrittura privata: pertanto, non servirebbe l’atto pubblico né la scrittura privata autenticata (così la Camera di Commercio di Venezia). È stato osservato, però, che sarebbe opportuna – stando alle osservazioni poste nella scheda di lettura al Ddl. di conversione del DL n. 1/2012 (A.S. 3110), elaborato dal Servizio Studi del Senato – una formulazione normativa più chiara, anche alla luce della portata generale dell’art. 11, comma 4, del DPR 581/95, ai sensi del quale l’atto da iscrivere nel Registro delle imprese deve essere depositato in originale con sottoscrizione autenticata se si tratta di scrittura privata non depositata presso un notaio e, negli altri casi, in copia autentica. Così, in sede di conversione in legge, si richiama la precisazione proprio di tale ultimo punto, e cioè se per il riferimento alla “scrittura privata” contenuta nell’art. 3 del DL 1/2012 debba intendersi la sufficienza della scrittura privata semplice o la necessità dell’autentica per l’iscrizione nel Registro delle imprese.

martedì 21 febbraio 2012

CONTRIBUTI PUBBLICI ALLE COOPERATIVE SOCIALI

Per le cooperative sociali sono a disposizione contributi pubblici a fondo perduto e mutui a tasso agevolato. Possono accedere a queste agevolazioni le cooperative sociali di tipo b) il cui 30% dei soci lavoratori è rappresentato da persone svantaggiate (come da L. n.381/91 art.4). Per poter far richiesta dei contributi le cooperative devono essere iscritte nell’apposito registro delle Camere di Commercio.
Possono fare domanda:
a) le coopertative di nuova costituzione: la maggioranza dei soci deve essere rappresentata da giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni e residenti nelle aree definite ” agevolabili” ed individuate nella Carta degli aiuti di Stato
b) le cooperative già costituite e operative: i soci, ad esclusione della parte svantaggiata, devono essere residenti nelle aree definite ” agevolabili” ed individuate nella Carta degli aiuti di Stato
Possono essere presentati progetti di impresa con piani di investimento fino ad un massimo di 516.000 euro per le cooperative sociali di nuova costituzione e fino ad un massimo di 258.000 euro per le cooperative sociali già avviate.
Le agevolazioni sono sotto forma di contributi a fondo perduto e sotto forma di mutuo agevolato. La copertura finanziaria può arrivare a coprire:
a) fino all’80-90 % dell’ammontare degli investimenti per le cooperative sociali del Sud Italia
b) fino al 60-70 % dell’ammontare degli investimenti per le cooperative sociali del Nord- Centro Italia
Questo significa che se una cooperativa sociale di nuova costituzione che opera in Basilicata deve fare investimenti per 250.000 euro, le agevolazioni possono arrivare a coprire fino all’90% cioè fino a 225.000 euro.
Per accedere a queste agevolazioni occorre presentare un "business plan" in cui occorre descrivere in modo dettagliato:
a) la compagine sociale
b) le risorse umane e l’organizzazione
c) il prodotto/servizio offerto
d) il mercato di riferimento
e) il piano degli investimenti
f) la copertura finanziaria degli investimenti
g) la previsione dei flussi di cassa

lunedì 20 febbraio 2012

Lavoratori stranieri: permesso di soggiorno

Andrea Costa
Dal 10 marzo 2012 l'ingresso ed il soggiorno dei lavoratori extracomunitari in Italia non sara' subordinato unicamente al rispetto dei flussi e delle prescrizioni di carattere economico e abitativo, ma anche all'effettiva integrazione nel nostro tessuto socio-culturale. Con l'obiettivo di garantire un'armonica convivenza tra culture differenti, il D.P.R. 14 settembre 2011, n. 179, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 dell'11 novembre 2011, ha previsto che, nel periodo di validita' del permesso di soggiorno, tutti gli stranieri, salvo specifiche e rare eccezioni, debbano raggiungere specifici obiettivi di integrazione. In particolare, come condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno allo straniero che entri in Italia per la prima volta, e' richiesta la stipula di un Accordo di integrazione, da sottoscrivere contestualmente alla presentazione dell'istanza del permesso di soggiorno. Nei successivi due anni il lavoratore e' tenuto a raggiungere specifici obiettivi di integrazione da valutarsi in sede di verifica ad opera dello Sportello Unico. Una valutazione insufficiente puo` portare alla revoca del permesso di soggiorno e all'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato. Nelle presenti note, dopo aver richiamato le disposizioni in materia di integrazione previste dall'art. 4-bis del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (il Testo Unico dell'immigrazione, d'ora in avanti T.U.I.), si verificheranno i criteri e le modalita' per la sottoscrizione da parte dello straniero dell'Accordo di integrazione, le ipotesi di esenzione e di sospensione, e le modalita' di riconoscimento, o di decurtazione, dei crediti. Si concludera` analizzando le disposizioni in materia di verifiche finali ed il ruolo dell'Anagrafe nazionale degli intestatari degli accordi di integrazione. 
Immigrazione e integrazione 
 La ricerca di un sistema di coesione sociale si e` rivelata nel tempo essenziale al fine di poter trarre i maggiori benefici dal potenziale dell’immigrazione, soprattutto in paesi caratterizzati dall’invecchiamento della popolazione e dall’incremento della speranza di vita. Una corretta gestione della diversita` e del multiculturalismo mediante l’integrazione puo` costituire un elemento fondamentale per la crescita economica e culturale di un Paese .
Lo sviluppo di idonee politiche di integrazione, dirette a raggiungere un pieno coinvolgimento dello straniero nella partecipazione alla vita economica, culturale e civile dello Stato di accoglienza e` particolarmente sentita a livello europeo, laddove, il fenomeno migratorio e` rilevante nella gran parte dei Paesi membri. Sebbene la materia dell’immigrazione sia prevalentemente di competenza dei singoli Stati, il par. 4, art. 79 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, stabilisce che «Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure volte a incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri». Le potenzialita` dell’immigrazione a livello comunitario ai fini della crescita economica sono state riconosciute, piu` recentemente, anche dalla strategia Europa 2020 e dal programma di Stoccolma.  In questo contesto, il decreto del Ministro dell’interno del 23 aprile 2007, di approvazione della Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione, ha riconosciuto la rilevanza dell’immigrazione, ribadendo che «La posizione geografica dell’Italia, la tradizione ebraico-cristiana, le istituzioni libere e democratiche che la governano, sono alla base del suo atteggiamento di accoglienza verso altre popolazioni. Immersa nel Mediterraneo, l’Italia e` stata sempre crocevia di popoli e culture diverse, e la sua popolazione presenta ancora oggi i segni di questa diversita`». Trattasi di indicazioni programmatiche; indicazioni piu` analitiche in merito all’integrazione degli stranieri in Italia si rinvengono nell’art. 4-bis del T.U.I.

venerdì 17 febbraio 2012

Manovra Monti: le novità sul bollo per i conti bancari

Il Decreto Salva Italia ha introdotto nuove norme sulle imposte di bollo di conti bancari e altri strumenti finanziari. Ecco i nuovi provvedimenti: dall’esenzione del bollo sulle giacenze inferiori a 5 mila euro alla “mini patrimoniale” sulle rendite finanziarie.

L’articolo 19 della manovra firmata Mario Monti introduce delle importanti novità relative alle marche da bollo su strumenti e prodotti finanziari. Cominciamo dai conti correnti bancari, i prodotti di risparmio in assoluto più diffusi tra gli italiani: a partire dal 2012 scomparirà l’imposta di bollo (attualmente pari a 34,2 euro) sui conti con giacenza inferiore ai 5 mila euro. Si tratta di un provvedimento introdotto per andare incontro ai titolari di pensioni minime o sociali, che dal 2012 saranno pagati tramite bonifico (sopra i 500 euro) e non più in contanti e saranno dunque costretti ad aprire nuovi conti correnti, che saranno esenti da imposta di bollo.

Le famiglie che hanno conti correnti più “ricchi” (con giacenza superiore ai 5 mila euro) continueranno a pagare l’imposta di bollo pari 34,2 euro. Si tratta di una tassa in vigore dal 1972, che si applica al rendiconto annuale sia dei conti bancari che di quelli postali. Non è invece del tutto chiaro cosa accadrà ai conti deposito, che non vengono esplicitamente nominati nel testo della manovra. E’ possibile che i conti deposito vengano equiparati ai conti correnti (come avvenuto finora) e che continuino dunque a prevedere il bollo da 34,2 euro.

Se le fasce economiche più disagiate saranno sollevate dal pagamento del bollo, le aziende piccole e grandi dovranno invece subire un rincaro su questa imposta: i conti correnti intestati a “soggetti diversi dalle persone fisiche” dal 2012 pagheranno un bollo annuale di 100 euro, al posto dei 73 euro attuali (applicati fino al 31 dicembre 2011).

Il Decreto Salva Italia sancisce l’addio al “super bollo” ideato la scorsa estate dall’ex ministro Tremonti, eliminando a partire dal 2014 il tetto massimo per la mini patrimoniale che colpirà gli investimenti finanziari. Dal 2012 tutti gli strumenti e i prodotti finanziari (fondi, polizze, titoli e così via, compresi i buoni postali fruttiferi) pagheranno una tassa annuale pari all' 1 per mille del loro valore di mercato, che nel 2013 salirà all' 1,5 per mille. Il nuovo super bollo avrà un valore minimo pari a 34,2 euro, ma non prevede alcun tetto massimo. Si salvano dalla mini patrimoniale soltanto i buoni postali fruttiferi con un valore di rimborso inferiore a 5 mila euro, i fondi pensione e i fondi sanitari.

Un’ulteriore novità riguarda la tassa sulle attività finanziarie detenute all' estero da “persone fisiche” residenti in Italia. Anche per gli investimenti all’estero è prevista una tassa dell’1 per mille nel 2012 e dell’1,5 per mille nel 2013, cui si aggiunge l’applicazione retroattiva dell’1 per mille sugli investimenti effettuati nel 2011. Questa tassa sarà calcolata sul valore di mercato, nel luogo dove i capitali sono detenuti “anche utilizzando la documentazione fornita dall' intermediario estero”. Gli italiani che già versano una tassa patrimoniale nel luogo in cui detengono gli investimenti potranno dedurla dalla nuova tassa “fino a concorrenza del suo ammontare”.

giovedì 16 febbraio 2012

Proroga per il bollo sui capitali scudati

Con un comunicato stampa di ieri, il MEF ha reso noto il differimento del termine per versare l’imposta, inizialmente previsto per oggi
/ Michela DAMASCO
Ancora una volta sul filo di lana. Con un comunicato stampa diffuso ieri sera, dopo le 20, il Ministero dell’Economia e delle finanze ha reso nota l’attesa proroga del termine per il versamento delle nuove imposte sulle attività finanziarie oggetto di emersione in applicazione delle diverse edizioni dello scudo fiscale.
In ragione – si legge del comunicato – delle obiettive difficoltà operative rappresentate dagli intermediari finanziari tenuti al versamento, il Ministero comunica che la scadenza, fissata per oggi, verrà differita con il primo provvedimento legislativo utile. Inoltre, tale provvedimento disporrà che i versamenti non effettuati fino alla data di entrata in vigore della disposizione di proroga non costituiranno una violazione in materia.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 19, commi 6 e ss. del DL n. 201/2011 convertito ha previsto che le attività finanziarie rimpatriate ancora in regime di riservatezza a seguito dell’adesione a uno degli scudi fiscali approvati negli anni scorsi sono soggette a un’imposta di bollo speciale annuale pari all’1% per il 2012, all’1,35% per il 2013 e allo 0,4% per gli anni successivi.
Tale imposta è determinata con riferimento al valore delle attività ancora segretate al 31 dicembre dell’anno precedente. Per il solo versamento relativo al periodo d’imposta 2011, tuttavia, il valore delle attività segretate è quello al 6 dicembre 2011.
Per il solo 2012, inoltre, il citato art. del DL ha istituito un’imposta straordinaria dell’1% per le attività finanziarie oggetto di emersione che, alla data del 6 dicembre 2011, sono state in tutto o in parte prelevate dal rapporto di deposito, amministrazione o gestione acceso per effetto della procedura di emersione ovvero comunque dismesse.
Solo ieri, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver approvato, con la risoluzione n. 14/2012, i codici tributo per il versamento delle due imposte e della sanzione per omesso versamento  ha emesso un provvedimento contenente una serie di chiarimenti in materia, ricordando come sia compito degli intermediari finanziari provvedere a effettuare, con riferimento all’anno d’imposta 2011, il versamento entro oggi sia dell’imposta di bollo annuale, sia dell’imposta straordinaria sui prelievi, dovuta per il solo 2012. Nessun riferimento, invece, a una possibile proroga per il versamento, di cui si vociferava nei giorni scorsi.
Il rinvio potrebbe essere inserito nel decreto sulle semplificazioni fiscali
A poche ore dall’ultimo giorno utile per il pagamento, è però intervenuto il Ministero dell’Economia, stabilendo uno slittamento del termine i cui contorni saranno definiti nei prossimi giorni. A questo punto, anche in considerazione delle indiscrezioni trapelate nei giorni scorsi, il rinvio potrebbe essere inserito nel decreto sulle semplificazioni fiscali, che potrebbe arrivare all’esame del Consiglio dei Ministri venerdì 24 febbraio

Dopo l’estinzione, il ruolo va formato in capo ai soci e non alla società

Necessario il rispetto del termine decadenziale per la notifica della cartella di pagamento
 Alfio CISSELLO
Recentemente, la Corte di Cassazione, prendendo le mosse dal consolidato principio secondo cui, una volta disposta la cancellazione di una società dal Registro delle imprese, la società non esiste più, con la conseguenza che le pretese creditorie possono essere azionate nei confronti dei soci e dei liquidatori in costanza dei presupposti di legge, ha affermato che la cartella di pagamento intestata alla società estinta non è solamente invalida, ma inesistente: pertanto, nessuna riscossione può essere intrapresa se l’atto non viene impugnato, poiché insuscettibile di divenire definitivo.
I giudici della C.T. Prov. di Torino, sentenza del 14 giugno 2011 n.111/11/11, chiariscono ulteriormente il concetto.
Prima di esaminare il principio che emerge dalla pronuncia, è opportuno ricordare che, in base alle ordinarie regole civilistiche, una volta disposta la cancellazione della società, i creditori possono rivolgersi:
- se si tratta di società di capitali, nei confronti degli ex soci nei limiti di quanto questi hanno ricevuto in base al bilancio finale di liquidazione, o nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa;
- per l’intero, nei confronti dei soci di società in nome collettivo;
- nei limiti della quota conferita, per i soci accomandanti nelle sas.
Occorre dire che, relativamente alle società di capitali e per le sole imposte sui redditi, sussiste una specifica responsabilità fiscale che, però, necessita di peculiari presupposti per essere applicata, disciplinata dall’art. 36 del DPR 602/73.
Tornando alla sentenza, che riguardava un caso di società di persone, i giudici affermano che le domande nei confronti dei soci (quindi la notifica degli atti impositivi, siano questi accertamenti o cartelle di pagamento) “devono essere loro rivolte nella loro specifica ed indicata qualità oltre che, ovviamente, nei limiti di decadenza/prescrizione del diritto fatto valere dai creditori”.

Lo stesso discorso vale per gli avvisi di accertamento
Quindi, se si tratta di pretese fatte valere nell’ambito della riscossione, non è più valido il ruolo formato in capo alla società (che, per effetto della cancellazione dal Registro delle imprese, non è più in vita), ma occorre una nuova partita di ruolo in capo al soggetto che, secondo il codice civile, può essere individuato come responsabile.
Rimangono fermi, specifica la Commissione, i termini decadenziali contemplati dalla legge fiscale, pertanto:
- la cartella di pagamento va notificata entro i termini di cui all’art. 25 del DPR 602/72 (ad esempio, se si tratta di liquidazione automatica, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione);
- se si tratta di accertamento, entro i termini di cui all’art. 43 del DPR 600/73 (31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione).
A nostro avviso, non potrebbe mai essere notificata agli ex soci una cartella di pagamento, in quanto, almeno per imposte sui redditi e IVA, occorre sempre un atto assimilabile all’accertamento, che contenga una duplice parte motiva (le ragioni della pretesa fiscale e il motivo per cui il soggetto è ritenuto responsabile).
Per ciò che riguarda la decadenza, si potrebbe prendere come riferimento o la dichiarazione a suo tempo presentata dalla società o, in assenza di indicazioni normative contrarie, la dichiarazione del socio, ove vengono indicati i proventi percepiti a seguito del riparto derivante dal bilancio di liquidazione.

martedì 14 febbraio 2012

Studi di settore, onere della prova sempre a carico dell’Ufficio

Per i giudici di legittimità, resta ferma la ratio della pronuncia delle Sezioni Unite del 2009
 Carlo NOCERA
La Corte di Cassazione interviene nuovamente, con la recente sentenza n. 1864/2012, depositata lo scorso 8 febbraio a cura della sesta sezione civile – la cosiddetta sezione “filtro” –, in materia di studi di settore, rafforzando il principio sancito dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2009, la n. 26635, secondo il quale gli studi di settore non sono suscettibili di generare presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
La questione investe un accertamento fondato sui parametri accertativi, concernente il periodo d’imposta 1996, che vedeva il contribuente ricorrere per Cassazione avverso la decisione sfavorevole della C.T. Reg. del Lazio (sentenza n. 287/14/2009 del 15 luglio 2009): decisione, quella dei giudici regionali, che si fondava sulla ritenuta legittimità e congruità dei parametri accertativi e alla stregua dell’inconcludenza del contribuente in termini di onere probatorio.
Peraltro, la relazione depositata sul ricorso evidenziava, tra gli altri argomenti, l’inammissibilità dello stesso, tanto in ragione delle censure, che apparivano mosse all’accertamento impugnato e non alla decisione d’appello, quanto per il fatto che le stesse non aggredivano specificamente la ratio della decisione impugnata, la quale aveva valorizzato la circostanza che il contribuente non aveva prodotto prove idonee a superare e a vincere la prova presuntiva offerta dai coefficienti parametrici: da cui la richiesta di rigetto del ricorso per inammissibilità dei motivi o per manifesta infondatezza.
La sezione ha invece deciso per l’accoglimento del ricorso del contribuente, ribadendo che la procedura di accertamento tributario “standardizzato”, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati: affermando nuovamente, in sostanza, che alcuna significatività può derivare automaticamente dalle risultanze matematico-statistiche (definiti “meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività”).
Significatività che nasce, dunque, soltanto in esito al contraddittorio eventualmente svolto tra Ufficio e contribuente, il quale, tuttavia, non è nemmeno suscettibile di condizionare l’impugnabilità dell’accertamento, atteso che il Giudice tributario può liberamente valutare sia l’applicazione degli standard al caso concreto, da dimostrare a cura dell’Ufficio tanto in termini motivazionali quanto probatori, sia la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è nemmeno vincolato alle eccezioni eventualmente sollevate in ambito endoprocedimentale.
Tant’è che alcuna conseguenza può derivare a quest’ultimo nel caso in cui scelga di restare inerte nell’obbligatoria fase contraddittoria preventiva, atteso che ciò può certo costituire oggetto di motivazione dell’atto, a questo punto fondato sulla sola applicazione dello strumento matematico-statistico, ma non preclude affatto, o limita, alcuna azione difensiva da dispiegare dinanzi al giudice (che potrà, nel caso, valutare la mancata risposta all’invito nel complessivo quadro probatorio).

La prima mossa spetta all’Ufficio
La Cassazione ha dunque accolto il ricorso del contribuente, tanto per effetto del principio affermato dalle Sezioni Unite quanto in considerazione del fatto che non sono state esplicitate considerazioni di sorta, a cura della controparte resistente, circa le ragioni idonee a superare le difese opposte in merito alle censure per le quali il reddito dichiarato risultava congruo in base ai parametri applicabili pro tempore.
Confermando, così, che se certamente alcuna delle parti in causa può vantare un’esimente in termini probatori, è altrettanto certo che, però, la prima mossa spetta all’Ufficio, la cui pretesa ben difficilmente potrà resistere in sede contenziosa se fondata esclusivamente sulle risultanze matematico-statistiche, ormai definitivamente acclarati quali semplici elementi indiziari (si veda anche Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 29185/2011).

lunedì 13 febbraio 2012

Dati catastali in dichiarazione per il 36%

 Arianna ZENI
Al fine di poter beneficiare della detrazione IRPEF del 36% sulle spese sostenute per il recupero del patrimonio edilizio, in luogo della comunicazione di inizio lavori che doveva essere inviata al Centro Operativo di Pescara per i lavori avviati entro il 13 maggio 2011, il contribuente deve indicare nella dichiarazione dei redditi i dati catastali identificativi dell’immobile, gli estremi di registrazione dell’atto che ne costituisce titolo (ad esempio, contratto di affitto), se i lavori sono effettuati dal detentore, nonché gli altri dati richiesti ai fini del controllo della detrazione.
L’adempimento si è reso necessario in seguito alla soppressione della citata comunicazione preventiva ad opera dell’art. 7, comma 2, lett. q) del DL 70 del 13 maggio 2011 (conv. L. 106/2011), nella quale venivano indicati i dati catastali o la richiesta di accatastamento dell’immobile.
Nel modello UNICO 2012 PF, definitivamente approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 31 gennaio 2012, tali dati devono essere esposti nel quadro RP, sezione III-B, righi da RP51 a RP54.

Dati delle locazioni e richieste di accatastamento
Come precisato dalle istruzioni di UNICO 2012 PF, la nuova sezione III-B del modello UNICO 2012 PF deve essere compilata in relazione ai lavori iniziati nel 2011.
I righi da RP51 a RP53 devono contenere i dati catastali identificativi dell’immobile. In particolare, nella colonna 1 “N. d’ordine immobile” deve essere riportato il numero progressivo identificativo dell’immobile oggetto degli interventi di recupero (si tratta del numero indicato nella colonna 10 della Sezione III-A del quadro RP), nella colonna 3 deve essere indicato il codice catastale del Comune ove è situato l’immobile, nella colonna 4 deve essere iscritta la lettera “T” se l’immobile è censito nel catasto terreni, oppure la lettera “U” se l’immobile è censito nel catasto edilizio urbano, mentre nella colonna 5 deve essere indicato “I” se si tratta di immobile intero (particella o unità immobiliare), oppure “P” se si tratta di porzione di immobile. Devono essere riportate, inoltre, quando presenti, le lettere o i numeri indicati nel documento catastale che identificano la “Sezione urbana” o il “Comune catastale” (col. 6), il numero di foglio (col. 7), il numero di particella (col. 8) e, se presente, il numero di subalterno indicati nel documento catastale (col. 9).
La colonna 2 “C.O. Pescara/Condominio”, invece, deve essere barrata in due casi:
- se gli interventi sono iniziati prima del 14 maggio 2011 (data di entrata in vigore del DL 70/2011 che ha soppresso l’obbligo di inviare la comunicazione preventiva). Barrando la casella il contribuente dichiara di aver inviato la comunicazione di inizio lavori al Centro operativo di Pescara e, pertanto, le altre colonne relative ai dati catastali dell’immobile non devono essere compilate;
- se sono stati effettuati interventi su parti comuni condominiali successivamente al 14 maggio 2011. Barrando la casella, i singoli condomini dichiarano che la spesa riportata nella sezione III-A del quadro RP si riferisce ad interventi effettuati su parti comuni condominiali. In tal caso, nella colonna 3 della sezione III-A deve essere riportato il codice fiscale del condominio, mentre non devono essere compilate le successive colonne dei righi RP51 e RP53, relative ai dati catastali dell’immobile. Tali dati, infatti, sono indicati dall’amministratore di condominio nel quadro AC della propria dichiarazione dei redditi.
Altri elementi identificativi dell’immobile devono essere altresì indicati nel rigo RP54. In particolare, devono essere inseriti gli estremi di registrazione del contratto di locazione o di comodato nel caso in cui i lavori siano effettuati dal conduttore o comodatario (colonne da 3 a 6), oppure gli estremi della domanda di accatastamento se al momento di presentazione della dichiarazione l’immobile non è ancora stato censito (colonne da 7 a 9).
Nel primo caso, gli estremi di registrazione del contratto di locazione o di comodato possono essere ricavati dal contratto di locazione o di comodato registrato presso l’Ufficio, oppure dalla ricevuta rilasciata dai servizi telematici nel caso di registrazione tramite SIRIA.
Se al momento di presentazione della dichiarazione l’immobile non è ancora stato censito, invece, nel modello di dichiarazione devono essere riportati gli estremi della domanda di accatastamento.

Tassazione del preliminare nei limiti del definitivo

Secondo quanto chiarito dal Notariato, l’imposta di registro applicata al preliminare non potrebbe eccedere quanto dovuto sul definitivo
 Anita MAURO
Al momento della determinazione dell’imposta di registro dovuta sul contratto preliminare, si deve tener conto del trattamento di favore eventualmente applicabile al contratto definitivo, in quanto esso costituisce il limite massimo dell’imposta applicabile al preliminare.
Questo è uno dei chiarimenti forniti dal Notariato nello studio n. 185-2011/T, recentemente reso disponibile sul sito internet del Consiglio Nazionale del Notariato, che affronta alcune delle questioni problematiche sollevate dall’applicazione delle imposte indirette alla caparra confirmatoria.
La redattrice dello studio, dopo aver delineato il trattamento impositivo applicabile alla caparra confirmatoria prevista dal contratto preliminare, si sofferma ad esaminare l’ipotesi in cui la tassazione applicata al preliminare (imposta di registro con l’aliquota del 3% sulla caparra) ecceda l’imposta dovuta sul contratto definitivo.
Tale situazione può configurarsi in numerose ipotesi, tra le quali lo studio annovera, ad esempio, il caso in cui il definitivo:
- vada esente da imposizione, in applicazione delle agevolazioni previste per i trasferimenti di beni del compendio unico;
- sia soggetto ad imposta di registro fissa, in virtù dell’applicazione delle agevolazioni per la piccola proprietà contadina, ovvero delle agevolazioni per i terreni compresi in piani di recupero o, ancora, quelle per i trasferimenti a favore di enti pubblici territoriali;
- possa usufruire della disciplina del “prezzo valore” per la determinazione della base imponibile.
In tutti queste ipotesi (e in altre ancora), si verifica una situazione non facilmente compatibile con il disposto della nota all’art. 10 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86, secondo cui l’imposta pagata sulla caparra “è imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo”.
Questa disposizione, infatti, induce a ritenere che il contratto preliminare e il contratto definitivo configurino un’unica manifestazione di capacità contributiva e costituiscano, quindi, una sola sequenza negoziale, articolata in diversi momenti, ma da assoggettare ad imposizione nel suo complesso.

Si configura un’unica sequenza negoziale
Se ciò è vero, non è possibile ammettere che l’imposta di registro dovuta sul preliminare sia maggiore di quella dovuta sul definitivo.
Di conseguenza, nel caso in cui il contratto definitivo possa godere di aliquote agevolate oppure vada esente da imposizione in virtù dell’applicazione di regimi agevolativi, di tali regimi dovrebbe tenersi conto già al momento del contratto preliminare, in modo da evitare che la tassazione del preliminare (in presenza di caparre o acconti) ecceda quanto dovuto sul definitivo.
In tali situazioni, sebbene sia corretto affermare che le agevolazioni per i trasferimenti di beni non possano applicarsi al contratto preliminare (come affermato dall’Agenzia delle Entrate nella ris. 30 ottobre 2008 n. 407, in relazione alle agevolazioni per il compendio unico), in quanto il preliminare non ha effetti reali, ma solo obbligatori, il Notariato ritiene (come già sostenuto nello studio n. 13-2007/T) che nella tassazione del preliminare si dovrebbe tener conto delle agevolazioni applicabili al contratto definitivo, in modo da applicare l’imposta di registro al contratto preliminare fino a concorrenza di quella dovuta per il definitivo.
Peraltro – aggiunge lo studio – ci si può domandare se il limite massimo possa operare anche nel caso in cui il contratto definitivo sia soggetto ad IVA (e, quindi, sconti l’imposta di registro in misura fissa) e al momento della stipula del preliminare sia stata corrisposta l’imposta di registro proporzionale sulla caparra (0,50%). Infatti, si potrebbe ritenere che il meccanismo dell’imputazione possa operare solo nel caso in cui la sequenza preliminare-definitivo sia soggetta ad imposizione omogenea, ossia rientri nel campo di applicazione dell’imposta di registro. Tuttavia – rileva ancora lo studio – anche in tale situazione dovrebbe ritenersi possibile richiedere il rimborso dell’imposta proporzionale di registro versata sulla caparra in sede di preliminare, in ossequio al principio di alternatività tra IVA e imposta di registro.

venerdì 10 febbraio 2012

In Gazzetta il DL sulle semplificazioni

In vigore da oggi l’abolizione dell’obbligo di tenuta del DPS, la proroga per la comunicazione dell’indirizzo PEC e le novità sui controlli societari
 Rossella QUARANTA
Entra in vigore oggi il DL n. 5/2012, meglio conosciuto come DL semplificazioni, per effetto della pubblicazione sulla G.U. n. 33 di ieri (nel S.O. n. 27/2012). Diventano così operative le misure contenute nel Decreto, concepite dal Governo – come si legge nell’introduzione al testo – “al fine di assicurare, nell’attuale eccezionale situazione di crisi internazionale e nel rispetto del principio di equità, una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese e la crescita, dando sostegno e impulso al sistema produttivo del Paese”.
Tra le “semplificazioni” più rilevanti, come già annunciato su queste colonne, figurano quelle relative ai dati personali. In particolare, l’art. 45 del DL semplificazioni interviene sull’art. 34 del Codice della privacy (DLgs. 196/2003), sopprimendo la lett. g) del comma 1 e abrogando il comma 1-bis. Da oggi, quindi, non sarà più obbligatoria la tenuta di un Documento Programmatico Sicurezza aggiornato, e viene meno anche la facoltà di avvalersi di un’autocertificazione sostitutiva o di un DPS semplificato per i soggetti che trattano unicamente dati personali non sensibili e, come soli dati sensibili, trattano quelli dei propri dipendenti e collaboratori, inclusi coniuge e parenti. La tenuta del documento programmatico sulla sicurezza è stata infatti giudicata dall’Esecutivo un adempimento superfluo, e la sua soppressione dovrebbe rispondere all’esigenza di sgravare le imprese dagli obblighi in tema di privacy non strettamente necessari.
Punta a favorire le società anche l’art. 37 del DL semplificazioni, che rimanda al 30 giugno 2012 il termine per comunicare l’indirizzo PEC al Registro delle imprese, qualora non si fosse ancora provveduto.
Di notevole interesse sono, poi, le modifiche apportate dall’art. 35 del Decreto in commento alla disciplina dei controlli societari nelle srl e del collegio sindacale nelle spa. In estrema sintesi, il DL semplificazioni va a ritoccare in primis l’art. 2397, comma 3, del codice civile, su cui peraltro era di recente intervenuta la Legge di stabilità (L. 12 novembre 2011 n. 183). Mentre la precedente versione del terzo comma consentiva alle spa con ricavi o patrimonio netto inferiori a un milione di euro di nominare un sindaco unico, scelto tra i revisori legali, la nuova versione prevede espressamente che il collegio sindacale possa essere sostituito dal sindaco unico, qualora lo statuto non disponga diversamente e vi siano i requisiti per la redazione di un bilancio in forma abbreviata.
Lo stesso art. 35 riforma drasticamente anche l’art. 2477 c.c., riguardante i controlli facoltativi nelle srl, stabilendo la possibilità di prevedere nell’atto costitutivo la nomina di un revisore o di un organo di controllo; quest’ultimo, se non disposto diversamente dello statuto, è composto da un unico membro effettivo. Quanto ai controlli obbligatori, non è più prevista la nomina di un sindaco unico, bensì del revisore o dell’organo di controllo (nel caso in cui si opti per la nomina dell’organo di controllo, anche se monocratico, vale la disciplina sul collegio sindacale vigente nelle spa).
Il Decreto dovrebbe inoltre semplificare le procedure amministrative tramite SCIA (segnalazione certificata d’inizio attività), prevedendo anche l’adozione di successivi regolamenti per individuare le attività sottoposte a segnalazione certificata (con asseverazioni o senza) o a semplice comunicazione, e le attività che invece si presentano libere. L’obiettivo dei regolamenti dovrebbe quindi essere quello di verificare quali tipologie di autorizzazione conservare e quali, viceversa, vadano eliminate.
Una sezione consistente del DL liberalizzazioni è dedicata, poi, alle novità in tema di lavoro. Riguardo al libro unico, l’art. 19 stabilisce che si possa parlare di omessa registrazione soltanto se l’omissione riguarda per intero le scritture, e non i singoli dati non registrati; per infedele registrazione si intende, inoltre, il caso in cui i dati differiscano in qualità o quantità rispetto alla prestazione resa o alle somme erogate. Ulteriori misure riguardano l’astensione anticipata dal lavoro delle lavoratrici in gravidanza (art. 15), i flussi informativi in materia di previdenza e prestazioni sociali agevolate (art. 16), l’assunzione di lavoratori extracomunitari (art. 17) e il collocamento obbligatorio (art. 18).
Meritano un breve accenno, in chiusura, alcuni provvedimenti di natura produttiva e sociale, quali la soppressione del vincolo della chiusura domenicale e festiva per le imprese di panificazione (art. 40) e la sperimentazione della carta acquisti (art. 60), ossia la cosiddetta “social card” di cui al DL n. 112/2008, recentemente reintrodotta dal “Milleproroghe”. La sperimentazione coinvolgerà i Comuni con oltre 250mila abitanti: entro 90 giorni, dovranno essere così stabiliti, ad esempio, i nuovi requisiti d’identificazione dei beneficiari e l’ammontare disponibile per ogni carta d’acquisto.

giovedì 9 febbraio 2012

Per la definizione delle liti, la pendenza è spostata al 31 dicembre 2011

L’intervento del «Decreto Milleproroghe» impone di rivalutare quanto sostenuto a suo tempo dall’Agenzia delle Entrate
/ Alfio CISSELLO
In sede di conversione del “Decreto Milleproroghe“, come del resto già anticipato in un precedente intervento sono stati spostati in avanti alcuni termini relativi alla definizione delle liti pendenti, siccome:
- la data in cui, per fruire della sanatoria, doveva essere pendente la lite, è stata postergata dal 1° maggio 2011 al 31 dicembre 2011;
- l’ultimo giorno utile per l’esecuzione dei versamenti è stato spostato dal 30 novembre 2011 al 2 aprile 2012.
La modifica di cui sopra costituisce l’occasione per meditare sulla validità, o meglio, sull’attualità di alcune considerazioni effettuate dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n.48/2011 (si ricorda che la definizione è possibile solo per i processi in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, di valore non superiore a 20.000 euro).
In detta sede era stato affrontato il problema del momento finale di pendenza della lite (la lite è pendente dal momento di notifica del ricorso a controparte e rimane tale sino a quando non si è formato il giudicato).
Il problema si è posto in quanto, da un lato, l’art. 39, comma 12, del DL 98/2011, ha fatto coincidere la data utile di pendenza della lite per fruire della sanatoria con il 1° maggio 2011, dall’altro, è entrato in vigore successivamente, il 6 luglio 2011.
Era quindi aperta la questione dei giudicati formatisi nel periodo compreso tra il 1° maggio 2011 e il 5 luglio 2011: resasi conto del problema, l’Agenzia delle Entrate ha prospettato una soluzione strumentale a non intaccare il carattere irrevocabile del giudicato.
A tale fine, infatti, è stato specificato che le liti ove il giudicato si fosse formato nel predetto lasso temporale, non avrebbero potuto essere definite (circ. n. 48 § 2.1 del 24 ottobre 2011). Da ciò derivava che la causa sarebbe risultata definibile se il giudicato non si fosse ancora formato al 5 luglio 2011, non al 1° maggio 2011.
Tale soluzione, peraltro criticata sulla base di varie ragioni, appare non più attuale.
Non deve essersi formato il giudicato al 31 dicembre 2011
L’affermazione prende le mosse dal fatto che, a causa del sopravvenuto intervento del “Decreto Milleproroghe” (intervento apportato in sede di conversione in legge), il termine di pendenza della lite è stato postergato al 31 dicembre 2011, data successiva e non antecedente al 6 luglio 2011, giorno in cui è entrato in vigore il decreto 98/2011.
Allora, dovrebbe essere chiaro che la definizione è possibile se, da un lato, il ricorso introduttivo è stato notificato al massimo il 31 dicembre 2011 e, dall’altro, se, sempre in detta data, non si è formato il giudicato.
Si rammenta che il giudicato si forma:
- per i ricorsi introduttivi notificati sino al 4 luglio 2009, decorso un anno dal deposito della sentenza senza che la parte abbia notificato l’appello o il ricorso per Cassazione (art. 327 c.p.c. ante L. 69/2009);
- per i ricorsi introduttivi notificati successivamente al 4 luglio 2009, decorsi sei mesi dal deposito della sentenza senza che la parte abbia notificato l’appello o il ricorso per Cassazione (art. 327 c.p.c. post L. 69/2009);
- in caso di notifica della sentenza ad opera della controparte, decorsi sessanta giorni dalla notifica stessa senza che sia stato proposto appello o ricorso per Cassazione (art. 51 del DLgs. 546/92).
Per ciò che concerne la riassunzione in rinvio è allora necessario che al 31 dicembre 2011 non fosse spirato il termine per la riassunzione (art. 63 del DLgs. 546/92).

Nuovi minimi, regime più conveniente ma per pochi

Diversi sono i dubbi che emergono dall’analisi dei requisiti richiesti dal D.L. n. 98/2011 per l’applicazione del nuovo regime dei minimi; quello più “spinoso” riguarda la condizione (art. 27, comma 2, lettera b) per cui l’attività da esercitare non deve costituire, in nessun modo, “mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni”. Con la circolare n. 3 del 2012, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro approfondisce il nuovo regime applicabile dal 1° gennaio 2012.
La Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro ricorda che con il D.L. n. 98/2011 il Legislatore ha inteso restringere il campo di applicazione introducendo ulteriori requisiti. Infatti, il regime non è più applicabile a coloro i quali, pur avendo i requisiti per l’applicazione delle “vecchie” disposizioni della legge n. 244/2007, non detengono le condizioni aggiuntive previste dal decreto in questione. Dall’altro, tuttavia, lo ha reso più appetibile abbassando dal 20% al 5% l’imposta sostitutiva dovuta ed eliminando la ritenuta d’acconto sui compensi.
Nella circolare, però, si fa notare che dall’analisi dei nuovi requisiti, emergono diversi dubbi, anche se quello probabilmente più spinoso riguarda la condizione di cui al comma 2, lettera b), dell’art. 27, D.L. n. 98/2011 secondo cui “il beneficio […] è riconosciuto a condizione che: […] b) l’attività da esercitare non costituisca, in nessun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni”.
Tale disposizione ha carattere antielusivo ed è finalizzata a evitare abusi da parte dei contribuenti che - allo scopo di accedere alle agevolazioni - modifichino solo formalmente l’attività precedentemente svolta.
Sul punto, i Consulenti del lavoro richiamano la circolare n. 8/E dell’Agenzia delle Entrate del 26 gennaio 2001 laddove viene evidenziato che si deve attentamente verificare che la nuova attività non venga svolta con gli stessi beni dell’attività precedente, nello stesso luogo e con i medesimi clienti.
Sulla base di tali considerazioni, nel documento dei Consulenti del lavoro vengono analizzate le tre seguenti situazioni che si possono verificare con le nuove regole:
a) attività con nuovo regime dei minimi;
b) attività esercitata dopo il 31 dicembre 2007 che passa dal vecchio regime dei minimi a quello attuale;
c) attività esercitata dopo il 31 dicembre 2007 che passa dal regime dei minimi a quello agevolato (c.d. ex minimi).

mercoledì 8 febbraio 2012

Le donne in pensione prima con il calcolo contributivo

di Enrico Brandi

La legge di riforma delle pensioni ha mantenuto un’importante deroga per le donne che potranno continuare ad andare in pensione prima purché trasformino il trattamento spettante in pensione contributiva.

L’art. 24 comma 14 della legge 214/2011 ha, tra l’altro, fatto salva la situazione dei “soggetti di cui all’articolo 1, comma 9 della legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni e integrazioni”. Tale norma stabilisce che in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, è possibile conseguire il diritto all'accesso al trattamento pensionistico di anzianità, in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e di un'età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, nei confronti delle lavoratrici che optano per una liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo. Entro il 31 dicembre 2015 il Governo verifica i risultati della predetta sperimentazione, al fine di una sua eventuale prosecuzione.

Beneficiarie
Possono beneficiare della sperimentazione (INPS, msg. 12 marzo 2010, n. 7300):
1) le lavoratrici con un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31 dicembre 1995 che non abbiano maturato, entro il 31 dicembre 2007, i requisiti di anzianità contributiva e di età anagrafica utili per il conseguimento del diritto a pensione di anzianità, ai sensi della disciplina vigente prima dell'entrata in vigore della legge n. 243 del 2004;
2) le lavoratrici con un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31 dicembre 1995 che non abbiano già esercitato il diritto di opzione per il sistema contributivo.

Non possono pertanto beneficiare della sperimentazione:
• le lavoratrici che hanno perfezionato i requisiti di età anagrafica e di contribuzione, entro il 31 dicembre 2007, utili per il conseguimento del diritto a pensione di anzianità, ai sensi della disciplina vigente prima dell'entrata in vigore della legge n. 243 del 2004;
• le lavoratrici nei cui riguardi si applichino i requisiti di accesso al pensionamento antecedenti alla legge 243/2004 come ad esempio quelle autorizzate ai versamenti volontari prima del 20 luglio 2007.

Non possono poi rientrare a nostro giudizio in tale disciplina coloro le quali abbiano diversi periodi di contribuzione maturati in gestioni previdenziali diverse, dato che con la totalizzazione ognuno di questi verrà calcolato col sistema contributivo e pertanto non si realizzano una delle due condizioni indicate.
Diverso è il caso di chi invece ha ricongiunto in un’unica gestione altri periodi pagando il relativo onere perché in questo caso con l’unificazione, ad esempio nell’Ago INPS dei lavoratori dipendenti, è possibile valutare se si tratti di un soggetto che rientri in uno dei due casi precedenti.

Opzione per il calcolo contributivo
Innanzitutto la scelta per il sistema di calcolo contributivo deve essere esercitata all'atto del pensionamento. Inoltre l'applicazione del sistema contributivo deve essere limitata alle sole regole di calcolo della pensione con la conseguenza che a tali pensioni si applicano le disposizioni sul trattamento minimo.

Decorrenza
Dopo una prima presa di posizione sfavorevole ad estendere alle lavoratrici optanti il regime delle finestre mobili l’INPS, con la circolare 53/2011, è tornata sui propri passi, precisando che in questi casi devono essere applicate le finestre mobili come per la generalità dei lavoratori.
Dopo la riforma della legge 214/2011 ci sarà l’abolizione della finestra mobile anche per queste categorie di assicurati oppure rimarrà applicabile?
Il comma 14 dell’art. 24 esplicitamente richiama tra le deroghe il caso delle lavoratrici optanti anche per ciò che riguarda il regime delle decorrenze.
L’art. 24 della legge di riforma, al comma 5, abolisce infatti la decorrenza posticipata mobile esclusivamente ai soggetti che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, maturano i requisiti per il pensionamento di vecchiaia e anticipata in base alle nuove regole.

Opportunità dell’opzione
Oggi, dopo l’entrata in vigore della nuova riforma pensionistica, per diverse lavoratrici l’opzione per il sistema contributivo potrebbe diventare una scelta conveniente in termini di anticipo della pensione, visto l’allungamento dei tempi rispetto al passato.
Certo c’è da fare i conti con un importo della pensione considerevolmente più basso rispetto al calcolo misto che contiene una parte riferita al più vantaggioso sistema retributivo.
Innanzitutto, stante il requisito minimo di anzianità contributiva (35 anni), nel 2012 potrà ricorrere a tale forma di pensionamento chi aveva almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e quindi sarebbe andato in pensione, prima della riforma col sistema retributivo, e oggi, dopo la riforma, con il pro rata contributivo.
In pratica
potrà accedervi chi ha iniziato a lavorare quanto meno dal 1978.


CASO PRATICO


Lavoratrice dipendente nata il 2 ottobre 1955 con 35 anni di contributi il 1° maggio 2012.

Con le regole della legge 214/2011 farebbe 42 anni di contributi il 1° maggio 2019, anno in cui, con le attuali proiezioni, servirebbero per la pensione anticipata 42 e 2 mesi. Dovrebbe quindi lavorare fino al 1° luglio 2019 con un’età di 64 anni.
Se optasse per l’applicazione della norma derogatoria andrebbe in pensione prima e cioè il 2 ottobre 2012 al compimento dei 57 anni di età. La pensione decorrerebbe dal 1° novembre 2013.
La pensione sarà però interamente contributiva. Vediamo lo sviluppo del calcolo.

I complessi criteri per calcolare la pensione attraverso l’esercizio dell’opzione contributiva sono i seguenti:
- individuazione della base imponibile annua nel periodo di riferimento costituito dagli ultimi anni di anzianità contributiva anteriori al 31.12.1995, nel limite massimo di dieci annualità (520 settimane), entro il limite del massimale pensionistico;
- determinazione dell'ammontare dei contributi di ciascun anno moltiplicando la base imponibile annua per l'aliquota contributiva in vigore nell'anno interessato;
- calcolo del montante contributivo fino al 31.12.1995 mediante la rivalutazione dell'ammontare dei contributi di ciascun anno su base composta fino al 31.12.1995 utilizzando il tasso annuo di capitalizzazione;
- determinazione dell'anzianità contributiva complessiva maturata dall'inizio dell'assicurazione fino al 31.12.1995;
- calcolo del montante al 31.12.1995 mediante la moltiplicazione del montante medio annuo per l'anzianità contributiva complessiva. L'importo ottenuto rappresenta la quota di montante contributivo individuale per i periodi maturati fino al 31.12.1995 da rivalutare fino alla data di decorrenza della pensione. Ai fini della determinazione del montante contributivo maturato alla data del 31 dicembre 1995, il periodo di contribuzione antecedente il decennio preso in considerazione per la determinazione del montante medio è valutato per ciascun anno o frazione di anno mediante il rapporto tra l'aliquota contributiva vigente in detto anno e l'aliquota contributiva media vigente nei 10 anni di calendario precedenti quello in cui viene esercitata l'opzione (INPS, circ. 108/2002).
I periodi contributivi dal 1996 fino alla maturazione della pensione sono calcolati con le regole del sistema contributivo.

QUOTA FPLD INPS (ultimi 10 anni precedenti il 1996)
Anno Retribuzione imponibile (valori in euro) Contributi versati Montante individuale (*) Settimane
1995 14.300 3.913,91 3.913,91 52
1994 14.100 3.802,77 4.052,71 52
1993 14.000 3.775,80 4.317,68 52
1992 13.150 3.520,25 4.382,15 52
1991 13.150 3.441,35 4.699,80 52
1990 13.000 3.369,60 5.066,65 52
1989 12.700 3.291,84 4.394,56 52
1988 12.500 3.188,75 5.910,28 52
1987 12.400 3.163,24 6.603,73 52
1986 12.200 3.112,22 7.424,39 52
50.765,86 520
(*) I contributi di ogni anno sono stati rivalutati su base composta fino al 31 dicembre 1995 col Tasso di capitalizzazione

Si calcola ora la contribuzione ponderata (rapporto tra aliquota effettiva degli anni non presi in considerazione prima del 1996 a ritroso, rispetto alla aliquota media applicabile per le pensioni decorrenti dal 2012 pari a 32,85 (ipotizzato in attesa del dato ufficiale INPS), per il n. di settimane di ogni anno.


Anno Settimane Aliquota vigente Rapporto aliquote Settimane ponderate
1977 31 23,31% 23,31 : 32,85 = 0,71 0,71 x 31 = 22
1978 52 23,31% 0,71 0,71 x 52 = 37
1979 52 23,31% 0,71 37
1980 52 23,31% 0,71 37
1981 52 24% 0,73 38
1982 52 24% 0,73 38
1983 52 24,51% 0,75 39
1984 52 24,51% 0,75 39
1985 52 24,51% 0,75 39
326

L'anzianità contributiva è data dalla somma dei contributi effettivi pari a 520 precedenti al 1996 a cui si sommano i contributi ponderati degli anni non presi in considerazione nel decennio precedente ossia 326 = 846.
Il montante individuale 50.765, 86 va diviso per 520 (ultimi 10 anni) ottenendo il montante medio settimanale del decennio preso a riferimento = 97,63


Montante sett. x anzianità contributiva = 97,63 x 846= 82.595
(Montante contributivo ante 1996)

Montante rivalutato fino al 2012 (decorrenza pensione) per i periodi contributi fino al 31 dicembre 1995 = 157.523

QUOTA CALCOLATA CON IL SISTEMA CONTRIBUTIVO
(Periodi dal 1996 al 2012)
Anno
Contributi versati
Montante individuale
(rivalutato con tasso di capitalizzazione)
2012
4.111
112.796,04
2011
5.430
108.685,04
2010
5.400
101.091,68
2009
5.400
94.005,69
2008
5.350
85.758,42
2007
5.320
77.717,46
2006
5.300
70.021,15
2005
5.270
62.509,20
2004
5.270
55.010,93
2003
5.250
47.861,32
2002
5.150
40.908,94
2001
5.100
34.261,77
2000
5.050
27.831,93
1999
5.050
21.660,34
1998
5.000
15.722,00
1997
4.950
10.176,57
1996
4.950

Montante A = 157.523

Montante B = 112.796

TOTALE = 270.319

Il montante totale va moltiplicato con il coefficiente di trasformazione (4,419%) = 11.945= pensione annua.

Pensione mensile = 918,84