Sentenza della Cassazione Tributaria
Se il dipendente non contribuisce in maniera significativa all’aumento del reddito, il professionista non deve pagare l’IRAP. Lo afferma la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza 25 settembre 2013, n. 22020.
Emolumenti e terzi. Gli Ermellini hanno confermato la sentenza della CTR della Puglia che, sia pur parzialmente, ha accolto il ricorso proposto da un medico contro il silenzio-rifiuto delle Entrate su un’istanza di rimborso IRAP. Ad avviso del giudice di legittimità, la presenza di spese modeste per emolumenti a terzi (così come accertato dalla CTR) non è sufficiente per determinare l’automatica sottoposizione a IRAP del professionista. Del resto la presenza di dipendenti non è di per sé elemento costitutivo dell’autonoma organizzazione, bensì elemento presuntivo da cui essa può essere dedotta.
Il “valore aggiunto”. Nelle interessanti motivazioni della sentenza in esame, la S.C. precisa, fra l’altro, che l’imposta regionale sulle attività produttive coinvolge una capacità produttiva che può non essere compiutamente autonoma, ma deve pur sempre essere impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa esterna, cioè da un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale del professionista, cosicché è il “surplus” di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva e integra il professionista a essere interessato dall'imposizione che colpisce l'incremento potenziale, o “quid pluris”, realizzabile rispetto alla produttività auto-organizzata del solo lavoro personale. Spetta al giudice accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore e aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l’IRAP divenga una (probabilmente incostituzionale) “tassa sui redditi da lavoro autonomo”.
Non deve scoraggiare le assunzioni. La Corte conclude sostenendo “che la sottoposizione a tassazione aggiuntiva di chi assume un dipendente anche quando tale dipendente non determini un qualche significativo aumento del reddito e quindi manchi il presupposto giuridico dell'IRAP, costituirebbe una sorta di sanzione che scoraggerebbe l’assunzione di dipendenti”.
Respinto il ricorso del Fisco. Alla luce di quanto sopra, gli Ermellini hanno respinto il ricorso del Fisco in quanto in esso non sono stati evidenziati elementi da cui sia stato possibile dedurre che il dipendente part- time della contribuente abbia dato luogo a un qualche potenziamento della sua capacità produttiva. Le spese del giudizio sono state compensate.
Emolumenti e terzi. Gli Ermellini hanno confermato la sentenza della CTR della Puglia che, sia pur parzialmente, ha accolto il ricorso proposto da un medico contro il silenzio-rifiuto delle Entrate su un’istanza di rimborso IRAP. Ad avviso del giudice di legittimità, la presenza di spese modeste per emolumenti a terzi (così come accertato dalla CTR) non è sufficiente per determinare l’automatica sottoposizione a IRAP del professionista. Del resto la presenza di dipendenti non è di per sé elemento costitutivo dell’autonoma organizzazione, bensì elemento presuntivo da cui essa può essere dedotta.
Il “valore aggiunto”. Nelle interessanti motivazioni della sentenza in esame, la S.C. precisa, fra l’altro, che l’imposta regionale sulle attività produttive coinvolge una capacità produttiva che può non essere compiutamente autonoma, ma deve pur sempre essere impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa esterna, cioè da un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale del professionista, cosicché è il “surplus” di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva e integra il professionista a essere interessato dall'imposizione che colpisce l'incremento potenziale, o “quid pluris”, realizzabile rispetto alla produttività auto-organizzata del solo lavoro personale. Spetta al giudice accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore e aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l’IRAP divenga una (probabilmente incostituzionale) “tassa sui redditi da lavoro autonomo”.
Non deve scoraggiare le assunzioni. La Corte conclude sostenendo “che la sottoposizione a tassazione aggiuntiva di chi assume un dipendente anche quando tale dipendente non determini un qualche significativo aumento del reddito e quindi manchi il presupposto giuridico dell'IRAP, costituirebbe una sorta di sanzione che scoraggerebbe l’assunzione di dipendenti”.
Respinto il ricorso del Fisco. Alla luce di quanto sopra, gli Ermellini hanno respinto il ricorso del Fisco in quanto in esso non sono stati evidenziati elementi da cui sia stato possibile dedurre che il dipendente part- time della contribuente abbia dato luogo a un qualche potenziamento della sua capacità produttiva. Le spese del giudizio sono state compensate.
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