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lunedì 12 marzo 2012

Per estinguere il giudizio, il Fisco deve erogare le somme da rimborso

Senza l’effettiva erogazione, non può essere sollecitata, da parte del resistente, la cessazione della materia del contendere
 Alfio CISSELLO
I processi fiscali che scaturiscono dall’impugnazione di dinieghi di rimborso, siano questi espressi o taciti, pongono varie problematiche, derivanti dal fatto che il contenzioso è, in un certo senso, “rovesciato” rispetto a quello che si instaura a fronte dell’impugnazione di un atto impositivo.
Una delle tante questioni che si pongono riguarda l’estinzione del giudizio derivante dalla cessazione della materia del contendere.
Se il contribuente impugna ad esempio un avviso di accertamento, ove l’ufficio, in qualsiasi grado del giudizio, annulli d’ufficio l’atto, il processo è estinto per cessazione della materia del contendere, siccome, venendo meno l’atto impugnato, viene meno lo scopo del processo.
Nelle liti di rimborso, è, in teoria, la stessa cosa, ma non basta che il resistente annulli il diniego, in quanto così facendo le ragioni del contribuente non possono ritenersi soddisfatte, per non parlare degli effetti scaturenti dall’eventuale mancata corresponsione delle somme.
La giurisprudenza ha chiaramente stabilito che la cessazione della materia del contendere può essere dichiarata solo con la materiale erogazione delle somme ad opera dell’ente impositore, in quanto solo in tal modo il processo cessa di avere la sua funzione (la Commissione tributaria, se il processo proseguisse, condannerebbe il resistente alla restituzione delle somme, il che non ha senso se queste sono già state corrisposte).
Pertanto, nessuna estinzione si verifica se vi è stata la “validazione della domanda di rimborso” (C.T. Prov. Novara 29 ottobre 2010 n. 98/1/10), il riconoscimento del credito vantato dal contribuente (C.T.C. 24 gennaio 2003 n.516) o il “prospetto per la liquidazione delle somme” (Cass. 8 novembre 2004 n. 21275).
Del pari, nessun rilievo ha la rinuncia all’appello dell’ufficio, anche perché, in tal caso, la rinuncia deve essere accettata dal contribuente come prevede l’art. 44 del DLgs. 546/92.

Non basta il riconoscimento del credito, o la “validazione”
Tanto meno il contribuente deve rinunciare al ricorso a seguito dell’affermazione, proveniente dal resistente, di pronta restituzione delle somme, visto che la rinuncia comporta la definitività del diniego espresso o il passaggio in giudicato della decisione di primo grado, se intervenuta in appello.
Allora, come regola generale, se l’ufficio sollecita la cessazione della materia del contendere senza aver erogato le somme, il contribuente deve fare molta attenzione, in quanto in tal caso solo la sentenza di condanna è, quando si forma il giudicato, titolo per l’esecuzione o l’azione di ottemperanza.
In altre parole, se il giudice dichiara, erroneamente, l’estinzione e poi le somme vengono corrisposte, nulla quaestio, ma in caso contrario vi sono problemi.
Il contribuente, in quest’ultimo caso, dovrebbe impugnare la sentenza di cessazione della materia del contendere chiedendo la rimessione degli atti al giudice che l’ha pronunciata o di esaminare nel merito la causa, in quanto non vi erano i presupposti per tale declaratoria. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di adire il giudice ordinario, in quanto, come visto prima, l’Ufficio in tal modo ha riconosciuto l’esistenza del debito senza condizioni, il che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, “trasforma” la fattispecie in un comune indebito oggettivo.

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