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giovedì 1 marzo 2012

Operazioni intra-Ue non esenti IVA, se il numero identificativo non è convalidato

Spetta al contribuente provare l’esistenza di scambi intracomunitari, chiedendo al Ministero la convalida del numero identificativo del cessionario
/ Vincenzo CRISTIANO
L’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario resta a carico del contribuente, anche in virtù del principio generale secondo cui l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga agevolativa. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3167 depositata ieri, stabilisce che l’imprenditore che non chiede al Ministero la validità del numero di identificazione attribuito al cessionario non ha diritto all’esenzione dell’Iva.
La pronuncia della Suprema Corte avalla quanto statuito dalla C.T. Reg. di Bari, che aveva confermato un avviso di accertamento per l’anno 2000 a carico di un contribuente sul presupposto che il medesimo si fosse avvalso di tre fatture relative a operazioni asseritamente inesistenti per difetto della prova dell’avvenuta consegna.
Nello specifico, la Commissione regionale aveva motivato la decisione relativa alla completa mancanza di prova in ordine all’avvenuta consegna anche alla luce del fatto che non risultava che lo stesso contribuente si fosse rivolto alla competente Amministrazione finanziaria al fine di convalidare il numero identificativo attribuito alla cessionaria. Tutto ciò a conferma dell’assenza di buona fede dell’operatore nazionale.
Investita della questione, la Corte di Cassazione, in relazione al punto centrale della controversia – e cioè che l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di esenzione delle operazioni intracomunitarie non fosse a carico del contribuente – ha ribadito un principio già noto (cfr. Cass. n. 3603 del 13 febbraio 2009), ossia che, “in tema IVA, le cessioni intracomunitarie, a norma dell’art. 50, commi 1 e 2 del DL n. 331 del 1993, sono effettuate senza applicazione d’imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero di identificazione attribuito dallo Stato di appartenenza. Per accedere al regime esente, però, non basta che gli esercenti imprese, arti e professioni indichino tale numero nella documentazione relativa allo scambio intracomunitario, ma occorre anche che il soggetto attivo dello scambio dia impulso ad una apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità attuale del numero di identificazione attribuito al cessionario. In assenza di tali adempimenti, legittimamente l’Ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA, restando onere del contribuente provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo”.

Prova con ogni mezzo, ma non valgono i documenti di origine privata
La precedente pronuncia della Corte (la già citata n. 3603/2009), sul tema così inquadrato, contiene anche un ulteriore passaggio di interesse, laddove sancisce che “tale prova, peraltro, può essere fornita con ogni mezzo, purché essa abbia carattere di certezza ed incontrovertibilità, quale può essere l’attestazione di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, mentre documenti di origine privata, come la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo”.
Sull’argomento la Corte di Cassazione, già con la sentenza n. 12455 del 28 maggio 2007, aveva stabilito che l’omessa indicazione nella fattura del numero identificativo IVA dell’acquirente comunitario non pregiudica il trattamento di non imponibilità della cessione, purché sussistano i presupposti richiesti dalla legge, ossia l’avvenuta comunicazione del numero a dimostrazione della sussistenza della qualifica di soggetto passivo.
Nello stesso senso espresso dai giudici di legittimità si era peraltro pronunciata l’Amministrazione finanziaria con la R.M. n. 25/1997, secondo cui il cedente nazionale, al fine della legittima applicazione del regime di non imponibilità, è tenuto a controllare la correttezza dei dati identificativi fornitigli dall’acquirente.

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