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venerdì 18 febbraio 2011

Per l’accertamento da studi non basta lo scostamento

Secondo la Cassazione, se il contribuente ne contesta i risultati, l’Ufficio deve fornire ulteriori elementi a supporto della pretesa impositiva
Non è legittimo l’atto impositivo fondato soltanto sulle risultanze dello studio di settore, puntualmente contestate dal contribuente e non ulteriormente supportate dall’Amministrazione finanziaria. È questa, in sintesi, la decisione assunta dalla Cassazione, con la sentenza n. 3923 del 17 febbraio 2011.
Un commerciante al dettaglio di articoli di cartoleria e cancelleria riceveva un avviso di accertamento, con cui l’Ufficio, sulla base dei risultati derivanti da Ge.RI.CO, rettificava i suoi ricavi, determinando un maggior reddito ed una maggiore IVA dovuta.
Il contribuente proponeva ricorso alla C.T. Prov., eccependo che lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo strumento presuntivo era soltanto del 7% e, inoltre, che tale divergenza era giustificata dalle dimensioni ridotte dell’esercizio commerciale, che non consentivano la completa esposizione dell’assortimento disponibile, oltre che dalla presenza, nelle vicinanze, di numerose altre attività specializzate nello stesso settore. Alla luce di tali argomentazioni, i giudici di prime cure accoglievano, dunque, il ricorso del contribuente.
Opponeva gravame l’Ufficio, e la C.T. Reg. si pronunciava a suo favore, stabilendo che, nell’ipotesi di accertamento fondato sui risultati derivanti dall’applicazione degli studi di settore, spetta al contribuente allegare le circostanze idonee a giustificare lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli presuntivamente accertabili.
Il commerciante, allora, ricorreva per cassazione, censurando la decisione dei giudici regionali, che avevano ritenuto legittimo l’accertamento fondato soltanto sulle risultanze degli studi di settore, ancorché lo scostamento fosse molto ridotto (7%).
La Suprema Corte, richiamando l’ormai nota sentenza delle Sezioni Unite – n. 26635 del 2009 –, ha stabilito che gli studi di settore (così come i parametri) rappresentano un’elaborazione statistica idonea a provare il maggior reddito del contribuente, fintanto che questi non ne contesti puntualmente i risultati con allegazioni specifiche: in tale ipotesi, infatti, le risultanze degli studi di settore non sono più sufficienti, di per sé, a fondare la pretesa impositiva, occorrendo, invece, ulteriori elementi di supporto che devono essere provati dall’Amministrazione finanziaria e desunti dalla realtà economica dell’impresa. I Giudici di piazza Cavour, poi, riprendendo il testo della predetta sentenza del 2009, hanno ribadito la necessità del contraddittorio preventivo, atteso che è soltanto con esso che le presunzioni semplici che assistono gli studi di settore divengono qualificate e, pertanto, idonee a sostenere la pretesa impositiva. Infine, è stato ricordato che l’accertamento da studi di settore non può basarsi esclusivamente sullo scostamento rispetto ai ricavi dichiarati ma deve necessariamente integrare la dimostrazione dell’applicabilità dello standard al caso concreto, e deve altresì recare le ragioni per cui siano state disconosciute le contestazioni opposte dal contribuente.
La decisione impugnata – secondo gli Ermellini – non aveva rispettato i principi poc’anzi illustrati, riconoscendo fondatezza ad un accertamento basato esclusivamente sul predetto scostamento, puntualmente contestato dal contribuente, e non sorretto da altri elementi. Conseguentemente, pertanto, i Giudici di piazza Cavour hanno accolto il ricorso del commerciante e rinviato la causa ad altra sezione della C.T. Reg.
La Cassazione, con l’odierna pronuncia, ribadisce nuovamente che il solo scostamento dagli studi di settore non può essere sufficiente a fondare la pretesa erariale, giacché – come stabilito anche recentemente (cfr. Cass. 19609/2010) – occorrono altri elementi di supporto.
Studi validi solo se lo scostamento configura una “grave incongruenza”
È utile evidenziare, infine, che l’articolo 62-sexies del DL 331/1993 prevede che l’accertamento analitico-induttivo di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d), del DPR 600/1973, possa essere fondato sulle risultanze degli studi di settore soltanto qualora i ricavi presuntivi da essi desumibili costituiscano una “grave incongruenza” con quelli dichiarati dal contribuente. Pertanto, uno scostamento del 7%, come nel caso oggetto dell’odierna sentenza, non pare possa soddisfare una simile condizione. I giudici di merito, infatti, hanno riconosciuto una “grave incongruenza” in presenza di uno scostamento almeno pari al 25%-30% (si veda “Studi di settore «nulli» se lo scostamento è solo del 17%” del 10 febbraio 2011).
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