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giovedì 5 dicembre 2013

L’autotutela in ambito tributario

A cura di Alberto Nastasia

I più recenti indirizzi giurisprudenziali in tema di impugnabilità del diniego di autotutela tributaria

L’esatta comprensione dei termini e delle modalità entro cui è possibile attivare oggi l’autotutela tributaria passa attraverso l’analisi delle previsioni normative che, nel corso del tempo, hanno regolato l’istituto, nonché dall’esame delle indicazioni al riguardo fornite dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza.

Occorre, infatti, considerare che prima del 1992 non esisteva nel panorama normativo nazionale alcuna disposizione che prevedesse la possibilità per l’Amministrazione Finanziaria di rivedere la propria posizione, annullando d’ufficio o revocando atti precedentemente emanati. Soltanto con l’art. 68 delD.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, è stata introdotta nel nostro ordinamento l’esercizio - seppure entro individuati limiti soggettivi e oggettivi - del potere di annullamento degli atti tributari.

Due anni più tardi il legislatore - allo scopo di dirimere contrastanti orientamenti sorti in dottrina e giurisprudenza in ordine all’interpretazione della menzionata disposizione - con l’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, ha riconosciuto al Fisco la possibilità di procedere all’annullamento o revoca degli atti illegittimi o infondati, rinviando, tuttavia, a successivi decreti la definizione degli organi competenti e dei criteri di economicità sulla base dei quali l’attività dell’amministrazione deve essere intrapresa o abbandonata.

Tale funzione è stata assolta dal D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 il quale, all’art. 2 contempla la possibilità di annullare o revocare, senza l’indicazione di un preciso termine, gli atti in autotutela, attivando la procedura - sia spontaneamente sia su istanza del contribuente - anche in pendenza di giudizio ovvero in caso di non impugnabilità dell’atto.

Sulla scorta di tale disposizione, il potere di autotutela può oggi essere esercitato sia per rimediare a un conflitto attuale o potenziale tra amministrazione e contribuente sia per eliminare atti ormai consolidati dai quali possono derivare per l’amministrazione ingiustificati vantaggi.

Ulteriori elementi utili a comprendere i termini di operatività dell’istituto possono essere tratti dalle interpretazioni che l’Agenzia delle Entrate ha fornito delle previsioni normative dianzi esaminate. Fra esse, lacircolare 8 luglio 1997, n. 197 che, con riferimento ai presupposti per l’applicazione dell’autotutela, osserva che “l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio trova le sue ragioni di legittimità nella sussistenza”, oltreché del requisito dell’illegittimità dell’atto, anche di “uno specifico concreto e attuale interesse pubblico all’eliminazione dell’atto, diverso dal generico interesse al ripristino della «legalità»”.

La posizione della Cassazione
 in ordine all’esercizio dell’autotutela tributaria è efficacemente sintetizzato nella sentenza 29 dicembre 2010, n. 26313, secondo cui:

- l’esercizio del sindacato sulla attività di autotutela costituisce procedimento autonomo e ben distinto da quello di impugnazione di atto impositivo, cui non interferisce;

- l’autotutela non rappresenta, in ogni caso, un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti.

I giudici di legittimità hanno, quindi, individuato un limite all’impugnabilità del diniego così da evitare che il contribuente possa farvi ricorso allo scopo di contestare la pretesa tributaria già divenuta definitiva, in tal modo riproponendo al giudice tributario, oltre i limiti temporali previsti dall’ordinamento, questioni attinenti il merito.

In base al quadro dianzi tratteggiato, si può conclusivamente affermare che è oggi innegabile per il contribuente il diritto - seppure entro i segnalati limiti - di impugnare l’atto con cui l’Amministrazione Finanziaria gli abbia negato autotutela in relazione ad accertamenti esperiti nei suoi confronti.

Con riferimento, invece, alla questione degli effetti derivanti dall’annullamento di un precedente annullamento di un atto impositivo, interessanti spunti sono offerti dalla sentenza della Cassazione 8 ottobre 2013, n. 22827, in cui gli Ermellini hanno affermato che tutte le volte in cui l’Amministrazione Finanziaria abbia in un primo momento annullato l’atto di accertamento emanato, non sarà più possibile, attraverso l’annullamento dell’atto di annullamento, “rianimarlo”. In tali ipotesi si renderà, pertanto, necessaria l’emissione da parte dell’Amministrazione Finanziaria - sempreché i termini di accertamento lo consentano - di un nuovo atto di accertamento.

La soluzione cui è giunta la Cassazione pare assolutamente coerente con il quadro normativo, nonché rispettosa dei diritti del contribuente, pertanto non suscettibile di determinare contrasti giurisprudenziali.

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