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giovedì 1 settembre 2011

Responsabilità «limitata» di liquidatori e soci per i debiti della società estinta

Per i liquidatori occorre un’indebita distribuzione di massa attiva o la mancanza della stessa per dolo o colpa
Il liquidatore di una società estinta può essere chiamato a rispondere nei confronti del creditore insoddisfatto solo a condizione che questi dimostri l’esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito e che è stata, invece, distribuita ai soci, oppure di una condotta colposa o dolosa del liquidatore stesso cui sia imputabile la mancanza di tale massa attiva. Nelle società di capitali, inoltre, la successione nel lato passivo delle obbligazioni sociali (dalla società ai soci) non discende affatto dalla mera qualità di socio, ma si fonda sulla percezione, da parte di questo, di quota parte delle attività destinate alla soddisfazione dei creditori sociali.
A precisarlo è il Tribunale di Milano, nella sentenza 8 marzo 2011 n. 3142, in relazione ad un caso in cui il creditore di una srl, in liquidazione dal 2001 e cancellata nel 2008, agiva, ex art. 2495 comma 2 c.c., nei confronti del liquidatore della società e di uno dei soci della srl (in via solidale o alternativa tra loro). Ai sensi della citata disposizione, infatti, ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. In particolare, al fine di recuperare il proprio credito, derivante da una sentenza pronunciata in suo favore nel 2006, veniva prodotto in giudizio il primo bilancio di liquidazione della società e si richiedeva l’emissione di un ordine di esibizione dei successivi bilanci.
Il Tribunale rigetta, in primo luogo, la richiesta istruttoria di ordine di esibizione. Questa, infatti, risulta formulata in maniera palesemente “esplorativa”, dal momento che nulla è dedotto in ordine all’effettiva predisposizione e pubblicazione dei bilanci in questione; bilanci che, in ogni caso, lo stesso creditore avrebbe potuto e dovuto acquisire. Sulla base del materiale probatorio dedotto in atti, inoltre, viene rigettata anche la domanda di merito. Come già affermato in giurisprudenza (cfr. Trib. Perugia 17 novembre 2009 e Trib. Milano 24 gennaio 2007), con soluzione condivisa in dottrina, il liquidatore può essere chiamato a rispondere nei confronti del creditore insoddisfatto solo a condizione che questi dimostri l’esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito e che è stata, invece, distribuita ai soci, oppure di una condotta colposa o dolosa del liquidatore stesso cui sia imputabile la mancanza di tale massa attiva. Nel caso di specie, però, il creditore non ha né prospettato né tanto meno provato una condotta del liquidatore causa diretta di danno nei suoi confronti, limitandosi a produrre il primo bilancio di liquidazione dal quale emergeva una situazione di patrimonio netto negativo e la mancanza di poste dell’attivo da cui ragionevolmente attendersi l’emergere di plusvalenze latenti.
Per i soci occorre l’indebita percezione della massa attiva
Resta la domanda nei confronti del socio; ma anche questa viene rigettata. La sentenza in commento, infatti, osserva come, nelle società di capitali, la successione nel lato passivo delle obbligazioni sociali non discenda affatto dalla mera qualità di socio, fondandosi sulla percezione, da parte di questo, di quota parte delle attività destinate alla soddisfazione dei creditori sociali. Vale a dire che è la concreta attribuzione patrimoniale, secondo il bilancio finale di liquidazione, ad implicare, ex lege, l’assunzione in capo al socio anche di una corrispondente quota parte dei debiti sociali rimasti insoddisfatti. Detta attribuzione rappresenta non solo il “limite”, ma anche il “fondamento” della pretesa che può essere fatta valere dal creditore insoddisfatto. La misura di responsabilità fissata dalla norma, quindi, consegue dalla natura del fatto costitutivo del rapporto ovvero dall’attribuzione “indebita” in favore del socio.
Ma l’onere della prova circa l’effettiva sussistenza del fatto costitutivo ovvero della suddetta indebita attribuzione non può che cadere su chi agisce in giudizio. A tali fini è possibile utilizzare un titolo esecutivo ottenuto nei confronti della società debitrice quando il contenuto della responsabilità dei soci è descritto nel bilancio finale di liquidazione e dal momento che, all’interno del processo di esecuzione, il creditore procedente sarebbe pur sempre chiamato a dimostrare il presupposto della responsabilità stessa ovvero l’entità della quota di liquidazione attribuita al socio. Ma sono proprio questi gli elementi che mancano nel caso di specie, dove il creditore si è limitato a produrre il primo bilancio di liquidazione, richiedendo, ai fini dell’esame degli ulteriori bilanci di liquidazione, un provvedimento istruttorio inammissibile perché tipicamente esplorativo, nel tentativo – sottolinea il Tribunale di Milano – di scoprire se, in ipotesi, dai bilanci in oggetto potessero emergere i presupposti di una successione del socio negli obblighi propri della società estinta.
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