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sabato 9 luglio 2011

Revoca d’ufficio delle partite IVA inattive per 3 anni

Il DL 98/2011 lo stabilisce sia per il mancato esercizio, sia per la mancata presentazione della dichiarazione annuale IVA
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Il DL n. 98/2011 (c.d. “manovra correttiva”), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6 luglio 2011, conferma la presenza di due disposizioni normative volte da un lato alla chiusura delle partite IVA inattive, e dall’altro a “sanare” con il pagamento di una sanzione ridotta la mancata comunicazione della dichiarazione di cessazione di attività ai fini IVA.
Più nel dettaglio, l’art. 23, comma 22 del citato DL n. 98/2011, aggiungendo il comma 15-quinquies all’art. 35 del DPR n. 633/72, stabilisce che l’attribuzione del numero di partita IVA è revocata d’ufficio qualora per tre annualità consecutive il titolare non abbia esercitato l’attività d’impresa o di arte e professione, ovvero, se obbligato, non abbia presentato la dichiarazione annuale IVA.
Premettendo che, contro il provvedimento di chiusura, come specificato dallo stesso comma 2, è ammesso reclamo innanzi alle Commissioni tributarie, è opportuno svolgere alcune considerazioni in merito al corretto ambito applicativo della disposizione in esame. In particolare, sono prefigurate due ipotesi, alternative tra di loro, al ricorrere delle quali l’Ufficio è legittimato ad emanare un provvedimento di revoca della partita IVA “inattiva”, una della quali è collegata alla mancata presentazione per tre annualità consecutive della dichiarazione IVA, mentre l’altra è riferita al mancato esercizio, nel medesimo arco temporale dei tre anni consecutivi, dell’attività per cui è stata rilasciata la partita IVA.
Due osservazioni in merito a tale ultima condizione sono meritevoli di essere evidenziate: la prima attiene alla procedura, nel senso che pare di capire che si tratti di una sorta di chiusura della posizione IVA d’ufficio, senza alcuna preventiva indagine volta a capire le motivazioni sottese all’inattività del contribuente, mentre la seconda riguarda l’individuazione del significato da attribuire al mancato esercizio dell’attività. Più nel dettaglio, sarà necessario comprendere se per mancato esercizio dell’attività sia sufficiente la mancata emissione di fatture attive, ovvero la mancanza di acquisti, ipotesi che potrebbe ben accadere in ipotesi di liquidazione della società in cui, come ben noto, si possono creare della situazioni di “stallo” anche particolarmente lunghe.
Pensare che in questi casi si proceda, senza alcuna preventiva indagine o verifica, alla chiusura tel quel della posizione IVA del contribuente appare oggettivamente eccessivo, ragion per cui sarà necessario definire al meglio l’ambito applicativo della disposizione in questione, senza dimenticare che la chiusura della partita IVA non è affatto “neutra”, poiché comporta l’assoggettamento ad IVA dei beni esistenti all’interno del patrimonio dell’impresa (c.d. “autoconsumo”).
Possibile “sanare” pagando una sanzione ridotta
Come anticipato, nello stesso art. 23, al comma 23, è prevista un’ulteriore disposizione normativa finalizzata a “sanare” la posizione di coloro che hanno omesso di presentare tempestivamente la dichiarazione di cessazione dell’attività ai fini IVA. In particolare, i soggetti in questione possono sanare la violazione pagando, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto (e quindi entro il 4 ottobre 2011), versando la somma di 129 euro (pari ad un quarto del minimo edittale previsto dall’art. 5, comma 6 del DLgs. n. 471/97), a condizione che la violazione non sia già stata constatata con atto portato a conoscenza del contribuente.
In merito alle modalità di pagamento della predetta sanzione, sarà necessario attendere apposite indicazioni ufficiali, così come per comprendere appieno quali siano le violazioni sanabili, in quanto dovrà essere chiarito se siano solamente quelle commesse prima dell’entrata in vigore della norma, ovvero anche quelle successive.
 

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