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martedì 26 luglio 2011

Raddoppio dei termini anche per gli anni già decaduti

È arrivata l’attesa sentenza della Consulta sul raddoppio dei termini per l’accertamento in presenza di reati tributari
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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247 depositata ieri, si è pronunciata in riferimento all’ambito applicativo del raddoppio dei termini per violazioni penali, introdotto dal DL 223/2006 che, come noto, ha modificato gli artt. 43 del DPR 600/73 e 57 del DPR 633/72.
Le norme menzionate stabiliscono che gli ordinari termini per l’accertamento delle imposte sono raddoppiati nei casi in cui sussiste l’obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal DLgs. 74/2000. Quindi, ad esempio, in caso di dichiarazione infedele o fraudolenta, l’accertamento può essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o, in caso di omessa dichiarazione, del decimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Il problema principale sollevato dal giudice a quo (si veda “Alla Consulta il raddoppio dei termini di accertamento per le violazioni penali” del 1° ottobre 2010) concerne la possibilità che il suddetto raddoppio si verifichi anche qualora il fumus di reato emerga in un momento in cui i termini “brevi” siano già decaduti.
In altri termini, per il giudice rimettente sarebbe incostituzionale che si applichi il raddoppio ove, a luglio 2011, emergano profili penali in merito al periodo d’imposta 2005 (l’anno 2005 è scaduto il 31 dicembre 2010), siccome la norma dovrebbe essere applicata solo per i periodi d’imposta “aperti”, nel nostro esempio, a luglio 2011, quindi dall’anno 2006 in poi (l’esercizio 2006, ordinariamente, decade il 31 dicembre 2011, ed è ancora “aperto” a luglio di quest’anno).
La Consulta, con le dovute cautele e con una sentenza che, condivisibile o meno, si presenta ben motivata, dà al quesito risposta affermativa, sostenendo, in poche parole, che il DL 223/2006 non ha raddoppiato i termini ordinari, ma ha previsto una diversa forma di termine, la cui “lunghezza” dipende dalla sussistenza di un fatto obiettivo: l’obbligo di presentazione della denuncia penale a carico del pubblico ufficiale.
Ai fini del raddoppio, quindi, ha rilievo l’obbligo di invio della notizia di reato, non la sua effettiva presentazione, così come è irrilevante l’esito del processo penale.
L’ulteriore conseguenza è che le scritture contabili devono essere conservate non entro il termine quadriennale, ma entro il più ampio termine di otto o di dieci anni, perché l’art. 22 del DPR 600/73 lega l’obbligo di conservazione al termine per l’accertamento, non solo al termine “breve”.
Il giudice tributario deve vagliare la serietà della denuncia penale
I diritti del contribuente sono garantiti, secondo l’impostazione della Consulta, dal fatto che l’obbligo di denunzia sussiste solo in presenza di seri indizi di reato e, soprattutto, dalla circostanza che ciò è sottoposto a vaglio giudiziale ad opera della Commissione tributaria.
Sul primo aspetto, la Consulta afferma, richiamando la giurisprudenza penale, che, se l’obbligo di denuncia sussiste anche in presenza di cause di estinzione del reato (es. prescrizione), occorre sempre che “il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare”, escludendo ogni profilo di discrezionalità in capo al funzionario.
In merito al vaglio della Commissione tributaria, i giudici costituzionali accolgono solo a metà l’indirizzo della giurisprudenza formatosi prima della sentenza in commento: infatti, analizzando le sentenze pronunciatesi sul tema, emerge che al giudice dovrebbe essere demandato il compito di sindacare l’esistenza del reato fiscale (si veda “Solo i reati «accertati» dalla Commissione cagionano la proroga” del 26 ottobre 2010), mentre la Corte Costituzionale afferma espressamente che il sindacato della Commissione deve riguardare la sussistenza dei presupposti di applicabilità della proroga, quindi la sola presenza di un obbligo di denuncia (il tema di prova “è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato”), ovvero la serietà del fumus di reato.

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