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venerdì 13 gennaio 2012

Redditometro, si rafforza la tesi della presunzione semplice

La C.T. Reg. di Torino aderisce all’orientamento della Cassazione secondo cui l’onere della prova ricade sull’Ufficio
 Alessandro BORGOGLIO
L’accertamento redditometrico si fonda su una presunzione semplice e, pertanto, il solo possesso dei beni indicatori di capacità contributiva non è sufficiente, ex se, a sorreggere la pretesa impositiva avanzata dall’Amministrazione finanziaria, dovendo quest’ultima, in tale ipotesi accertativa, farsi carico dell’onere probatorio, alla stregua di quanto previsto per gli altri metodi di accertamento standardizzato (studi di settore e parametri). In questi termini si è espressa la C.T. Reg. di Torino, con la sentenza n. 76/14/11.
La vicenda esaminata dai giudici torinesi è quella di un contribuente che aveva ricevuto un avviso di accertamento sintetico ai sensi del “vecchio” art. 38 del DPR 600/1973, fondato sul possesso di un’auto e di metà della casa di abitazione. La singolarità è che tale atto impositivo veniva emanato successivamente al controllo, risultato infruttuoso, esperito dallo stesso Ufficio dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della snc partecipata al 50% dal contribuente sinteticamente accertato.
Quest’ultimo, pertanto, ricorreva ai giudici di prime cure, censurando l’atto impugnato con cui gli era stato attribuito erroneamente – a suo dire – un reddito inesistente, atteso che non svolgeva alcuna altra attività oltre a quella della società di cui era socio e presso cui, appunto, lavorava; società che, in esito al controllo effettuato dallo stesso Ufficio, era risultata perfettamente in regola sotto il profilo fiscale. L’Agenzia delle Entrate controdeduceva che, invero, il reddito sinteticamente accertabile avrebbe potuto derivare da altra attività non dichiarata svolta dal contribuente, che avrebbe permesso di mantenere i beni indicatori di capacità contributiva posti a base della rettifica del reddito. La C.T. Prov., però, non ha condiviso tale assunto, limitandosi a stabilire che, se il controllo nei confronti della snc non aveva portato all’accertamento di un maggior reddito, conseguentemente al socio della stessa non poteva essere attribuita maggiore materia imponibile.
A seguito dell’appello promosso dall’Agenzia delle Entrate, la C.T. Reg. ha osservato che la giurisprudenza di legittimità si è sempre attestata sulla posizione per cui il redditometro costituisce una presunzione legale relativa (ex multis, Cass. n. 9549/2011) e l’onere della prova grava sul contribuente, che deve dimostrare la provenienza extra-reddituale delle somme necessarie per il mantenimento dei beni contestati dall’Amministrazione finanziaria, la quale null’altro è tenuta a provare (cfr. Cass. n. 656/1996, n. 11300/2000, n. 5794/2001, n. 20588/2005, n. 17202/2006, n. 3316/2009, n. 8075/2010).
Tuttavia – hanno evidenziato i giudici del riesame – l’orientamento più recente della Cassazione, espresso nella sentenza numero n. 13289 del 17 giugno scorso, è radicalmente diverso, atteso che riconosce nel redditometro soltanto una presunzione semplice, alla stregua di quella integrata dagli altri strumenti di accertamento standardizzato – studi di settore e parametri – così come stabilito dalle Sezioni Unite nelle ormai note pronunce del dicembre 2009 (Cass. n. 26635/6/7/8). Riprendendo il percorso argomentativo di quelle sentenze, la C.T. Reg. ha stabilito che i coefficienti presuntivi su cui si basa il redditometro non possono assurgere, da soli, al rango di una presunzione legale (ancorché relativa) tale da fondare legittimamente l’accertamento, essendo necessario che l’Ufficio adempia all’onere gravante su di esso di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa avanzata, ovvero di provare, con ulteriori elementi, derivanti anche dal contraddittorio con il contribuente, l’esistenza di una presunzione grave, precisa e concordante del maggior reddito contestato.
I giudici torinesi, aderendo a questo secondo orientamento della Cassazione, hanno stabilito che, nel caso di specie, la disponibilità dei beni primari – auto e casa – “non è sufficiente al fine di svelare il tenore di vita di un contribuente in un contesto, quale quello dell’accertamento sintetico, ove l’indice utilizzato dovrebbe, invece, essere un rilevatore sicuro, dotato di un elevato grado di convincimento in merito alle potenzialità reddituali del soggetto sottoposto all’accertamento”. Inoltre, anche lo svolgimento di una diversa attività non dichiarata rispetto a quella svolta nella società partecipata avrebbe dovuto essere provato dall’Ufficio, atteso che, appunto, si verte in ipotesi di presunzione semplice, che comporta il permanere a carico di quest’ultimo dell’onere probatorio. Poiché tale onere non era stato assolto – secondo la C.T. Reg – l’accertamento non era fondato e l’appello è stato respinto.

Recentemente, però, la Suprema Corte è tornata sui suoi passi
In effetti, se il redditometro è una presunzione semplice, va da sé che l’onere probatorio di dimostrare la pretesa erariale gravi sull’Ufficio che l’ha avanzata, secondo le ordinarie regole di ripartizione della prova. In tale prospettiva, il contribuente potrebbe contrastare l’accertamento dimostrando, ad esempio, che per il mantenimento di una piccola auto non servono i 15/20.000 euro all’anno emergenti dall’applicazione dei “vecchi” coefficienti ministeriali, essendo sufficienti, invece, poche migliaia di euro. A tal punto, sarebbe l’Ufficio a dover dimostrare la validità di tali coefficienti per il caso di specie, pena la nullità dell’accertamento.
Mette conto di evidenziare, però, che la pronuncia della Cassazione che riconosce al redditometro la valenza di strumento presuntivo semplice è già rimasta un caso isolato, perché nell’ultima sentenza la Suprema Corte è tornata sul profondo solco tracciato dalla sua pluridecennale giurisprudenza in base alla quale il redditometro costituisce una presunzione legale relativa (Cass. 27545 del 19 dicembre 2011).

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