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sabato 12 novembre 2011

Definizione delle liti: la Cassazione si pronuncia sul giudizio di rinvio

Di Alfio CISSELLO


Disattesa la tesi sostenuta dall’Agenzia nella circ. 48/2011, ma accolta quella fatta valere nel ricorso per Cassazione
La Cassazione (sentenza n. 23596 di ieri) si è pronunciata su un aspetto molto complicato della definizione delle liti pendenti: la quantificazione delle somme da versare nel caso di sentenza di cassazione con rinvio.
I fatti di causa si riferiscono alla definizione delle liti di cui all’art. 16 della L. 289/2002, ma valgono anche per la sanatoria introdotta dal DL 98/2011, i cui versamenti vanno eseguiti al massimo entro il prossimo 30 novembre. Entrambe le norme prevedono che i versamenti vanno eseguiti, salvo il caso delle liti di valore sino a 2.000 euro, per le quali c’è la somma fissa di 150 euro: sulla base del 10% del valore della lite, in caso di soccombenza dell’Ufficio nell’ultima pronuncia resa alla data della domanda di sanatoria; sulla base del 50% del valore della lite, in caso di soccombenza del contribuente nell’ultima pronuncia resa alla data della domanda di sanatoria; sulla base del30% del valore della lite, ove, alla medesima data, “la lite penda ancora nel primo grado di giudizio e non sia stata già resa alcuna pronuncia giurisdizionale non cautelare sul merito”.
Riepilogando lo svolgimento del processo, un contribuente proponeva ricorso contro un accertamento, la Provinciale lo accoglie, l’Ufficio presenta appello, e la Regionale lo accoglie, ribaltando la sentenza di prime cure. La sentenza della Regionale è stata peròcassata con rinvio dalla Suprema Corte, in quanto la segreteria della Regionale non aveva debitamente comunicato la data di udienza, per cui la sentenza era nulla per violazione del contraddittorio. Nelle more del termine per la riassunzione, il contribuente decide di avvalersi della definizione della lite pendente, e computa le somme in base al 10% del valore della lite, siccome la sentenza di cassazione con rinvio ha annullato la sentenza della Regionale, e allora “rimaneva in piedi” quella di primo grado, che aveva accolto il ricorso (da qui la debenza in base al 10%). L’Ufficio ha opposto il diniego di condono, il contribuente lo ha impugnato, e in entrambi i gradi di merito egli ha vinto (per il primo grado di merito, si veda la sentenza della C.T. Prov. Torino 25/13/2004).
Il ricorso per Cassazione proposto dall’Ufficio è stato però accolto. Va premesso che la posizione dell’Agenzia (circ. 12/2003 § 11.6.10; circ. 48/2011 § 8.2) è diversa da quella della Cassazione: in base alla versione ufficiale, nel giudizio di rinvio si computano le somme sempre in base al 30% del valore della causa, posto che “la pronuncia di rinvio favenire meno quelle precedenti”. La Cassazione, in sostanza, pare condividere questo ragionamento, pervenendo però a conclusioni diverse, siccome, se è vero che la sentenza di cassazione con rinvio pone nel nulla le precedenti, “la sentenza di primo grado e la sentenza di appello si trovano sempre esattamente nella stessa condizione di inefficacia, di impossibilità di reviviscenza”. Quindi, è da disattendere la tesi dei giudici di merito, in forza della quale, siccome la sentenza di cassazione con rinvio, nel caso di nullità della sentenza di secondo grado per motivi processuali (la questione sarebbe diversa se la Cassazione avesse cassato con rinvio enunciando il principio di diritto, c.d. “rinvio prosecutorio”), ha travolto la sentenza di secondo grado, occorre fare riferimento alla pronuncia di primo grado, e allora le somme sarebbero dovute, a seconda dei casi, al 10% o al 50%.
È altrettanto da disattendere la tesi che considera le somme dovute al 30% (sostenuta come visto dall’Agenzia), posto che tale ipotesi, come detto dalla norma, concerne solo i processi pendenti in primo grado, “ed è da escludersi che il giudizio di rinvio sia un giudizio di primo grado”. Le altre ipotesi ex art. 16 della L. 289/2002 fanno riferimento “all’ultima pronuncia giurisdizionale resa sul merito”, e tale non può essere quella resa dalla Cassazione, che ha cassato per motivi processuali (alle stesse conclusioni si dovrebbe pervenire se fosse stata la Regionale ad annullare la sentenza di primo grado): nella specie, quindi, si deve fare riferimento alla sentenza della Regionale, ove il contribuente era soccombente, da qui la debenza delle somme al 50%.
Un dubbio interpretativo si potrebbe porre nel caso in cui la Suprema Corte cassasse con rinvio enunciando il principio di diritto, per violazione di legge sostanziale.
Dalla sentenza commentata emerge dunque il seguente quadro: se la Cassazione cassa con rinvio per motivi processuali (ad es., omissione della comunicazione di udienza), occorre fare riferimento all’ultima pronuncia resa sul merito, siccome tale non è quella di Cassazione, verrebbe da dire quella della Regionale, almeno nella maggior parte dei casi; se la Cassazione cassa con rinvio enunciando il principio di diritto, anche se occorrerebbe un’ulteriore conferma della Cassazione, sarebbe bene fare riferimento alla sentenza della Cassazione stessa (su tale aspetto, pare che in questo senso si sia pronunciata Cass. 6191/2006); se la Regionale annulla per motivi processuali ai sensi dell’art. 59 del DLgs. 546/92, si dovrebbe far riferimento alla sentenza della Provincialeresa sul merito (la situazione sarebbe analoga alla sentenza di cassazione con rinvio per motivi processuali, ove occorre riferirsi alla sentenza della Regionale).

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