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venerdì 29 novembre 2013

Decadenza dopo otto rate omesse

La dilazione viene meno in caso di omissione di otto rate anche non consecutive

Premessa – Il “Decreto del Fare” ha elevato a otto il numero di rate oltre le quali si decade dal beneficio della rateazione concessa da Equitalia. Nel decreto dell'Economia del 6 novembre 2013 non è indicato nulla in merito alla decadenza, tuttavia, con una nota di Equitalia del 1° luglio 2013 era stato evidenziato che le nuove regole si sarebbero dovute ritenere già operative anche per le "vecchie" rateazioni.

Decreto del fare - Il D.L. 69/2013 (cd. decreto "del fare"), recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, e convertito nella L. 98/2013, ha apportato importanti modifiche all'art. 19, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 in tema di dilazione delle somme iscritte a ruolo o affidate ad Equitalia a seguito di avvisi di accertamento esecutivi. Tra le norme più importanti si cita la possibilità di rateizzare il debito con Equitalia fino a 120 rate.

Decadenza - 
Anche in relazione alla possibile decadenza dalla rateazione, il decreto “del fare” ha alleggerito la previsione normativa. In particolare, il decreto "del fare" ha aumentato da 2 a 8 (anche non consecutive) le rate non pagate che possono causare la decadenza dalla rateizzazione. Se, infatti, prima era sufficiente il mancato pagamento di due rate consecutive per decadere dal beneficio della rateazione con conseguente impossibilità di rateizzare ulteriormente il debito che veniva iscritto a ruolo per la parte ancora da saldare, a seguito del nuovo intervento normativo, invece, tale previsione è limitata ai casi in cui il debitore non paghi otto rate, anche non consecutive.

Decorrenza - In merito alla decorrenza di tale nuova previsione, Equitalia ha precisato che questa nuova agevolazione trova applicazione anche ai piani già concessi e in essere alla data di entrata in vigore del decreto (ossia alla data del 21 giugno 2013). Ne consegue che, proprio perché il fine è agevolare il contribuente in momentanea difficoltà, anche coloro che si troverebbero decaduti perché già morosi di oltre due rate possono continuare a pagare le rate previste secondo il proprio piano di dilazione.

Conseguenze - Nel caso di mancato pagamento, nel corso del periodo di rateazione, di otto rate, anche non consecutive (in precedenza appunto le rate consecutive omesse erano due) il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione. Conseguentemente l’intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente e automaticamente riscuotibile in unica soluzione e il debito non può più essere rateizzato. Inoltre l’agente della riscossione può iscrivere l’ipoteca (art. 19 c. 1 quater D.P.R. 602/1973).

Iscrizione ipoteca - Per quanti riguarda quest’ultimo punto si fa presente che anche al solo fine di assicurare la tutela del credito da riscuotere, l’agente della riscossione può iscrivere ipoteca esclusivamente se l’importo del credito per cui si procede non sia inferiore complessivamente ad euro 20.000, indipendentemente dalla considerazione che la pretesa sia contestata in giudizio o sia ancora contestabile ovvero che l’immobile sia adibito ad abitazione principale del debitore (cfr. art. 3 comma 5 Decreto semplificazioni fiscali 2012). Pertanto, decorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento (ovvero per il nuovo accertamento esecutivo e a seguito dell’affidamento dell’atto di accertamento all’agente della riscossione ex art. 29 lett. b D.L. 78/2010), il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore e dei soggetti coobbligati (cioè consente di costituire una garanzia reale sugli immobili del debitore e dei coobbligati) per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede a condizione che l’importo complessivo del credito per cui si procede non sia complessivamente inferiore a 20.000 euro ancorché non si siano verificati i presupposti per l’espropriazione (vale a dire che l’ipoteca può essere iscritta sull’abitazione principale del debitore ovvero su altro immobile del debitore anche se l’importo complessivo del credito per cui si procede non supera 120.000 euro) (cfr. art. 77 D.P.R. 602/1973 modificato ex art. 52 Decreto del fare).
Autore: Redazione Fiscal Focus

La rateazione delle comunicazioni di irregolarità

Sebbene in questi giorni l’attenzione sia focalizzata sulla rateazione straordinaria, dalla durata decennale, non bisogna dimenticare che vi sono altre importanti misure a favore dei contribuenti. 


Si sta parlando della possibilità di rateizzare gli avvisi bonari emessi a seguito di controlli automatici (articolo 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e articolo 54-bis del D.P.R. n. 633/1972) e controlli formali (articolo 36-ter del D.P.R. n. 600/1973).

In questi casi è prevista la possibilità di un piano di rateazione trimestrale della durata massima di:
- 6 rate per gli importi fino a 5.000 euro;
- 20 rate per gli importi a debito oltre i 5.000 euro.

La prima rata va versata entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, mentre le rate successive scadono l’ultimo giorno di ciascun trimestre.
Sull’importo delle rate successive sono dovuti unicamente gli interessi al tasso del 3,5% annuo, calcolati dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di elaborazione della comunicazione ed è inoltre possibile richiedere la formazione di rate di pari importo o di importo decrescente.
Solo per le rate di pari importo è disponibile un’applicazione dell’Agenzia delle Entrate che consente il calcolo e la stampa dei modelli F24 utili per il pagamento delle rate dovute.

I vantaggi
Rispetto alla possibilità concessa dalla rateazione decennale, l’indubbio vantaggio della rateazione delle comunicazioni di irregolarità è rappresentato dai minori importi da pagare.
Si ricorda infatti che le sanzioni per omessi o ritardati pagamenti (pari al 30%), in sede di controlli automatici, sono ridotte a 1/3, mentre, nel caso di controlli formali, le stesse sono ridotte a 2/3.
Le sanzioni sono invece escluse nel caso di avvisi di liquidazione delle imposte per i redditi soggetti a tassazione separata.
Non sono inoltre previsti aggi o interessi moratori, i quali intervengono solo quando le somme sono affidate all’Agente della riscossione.
Indipendentemente dall’importo per il quale si richiede la rateazione non è infine richiesta alcuna garanzia.

I limiti
Sicuramente è da considerare che i termini concessi per la rateazione delle comunicazioni di irregolarità sono più limitati: a fronte delle 120 rate che possono essere concesse da Equitalia, nel caso di avvisi bonari e di liquidazione le rate sono al massimo 20, sebbene trimestrali (per un totale di 5 anni).

Non può essere inoltre ignorata la diversa disciplina prevista per i termini di decadenza. Mentre, infatti, nel caso di rateazione presso l’Agente della riscossione si decade dal beneficio dopo il pagamento di 8 rate anche non consecutive, con riferimento alla rateazione delle comunicazioni di irregolarità è prevista la decadenza a seguito del mancato pagamento anche di una sola rata, qualora la stessa non venga versata entro la scadenza della rata successiva. Si decade invece immediatamente dal beneficio della rateazione con il mancato pagamento della prima rata nei termini.
A seguito della decadenza l’importo viene iscritto a ruolo e sarà possibile per il contribuente chiedere un ulteriore piano di rateazione presso l’Agente della riscossione.

I passi ancora da compiere
Non è offerta invece alcuna possibilità di rateazione per gli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, per i quali è necessario attendere che le somme siano iscritte a ruolo, maggiorate degli ulteriori costi connessi agli interessi e agli aggi di riscossione.

Allo stesso modo, qualora il contribuente decida di impugnare un accertamento esecutivo dovrà provvedere a versare a titolo provvisorio 1/3 della maggior imposta accertata senza poter chiedere alcuna forma di rateazione, se non a seguito dell’iscrizione a ruolo.
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 28 novembre 2013

Cancellata l’IMU sull’abitazione principale

Il Consiglio dei Ministri di ieri, 27 novembre 2013, ha approvato il decreto legge sulla promessa cancellazione della seconda rata dell'Imu. 

I proprietari e i detentori di diritti reali di immobili adibiti ad abitazione principale e assimilati alla stessa, non dovranno versare l’imposta a saldo 2013.
L’esenzione viene estesa anche ai terreni agricoli e agli immobili strumentali.
Lo ha annunciato il Ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, in conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri.
Saccomanni ha precisato che i “dettagli del decreto sono in fase finalizzazione”, ma ha anche anticipato che l’importo della rata, pari 2,25 miliardi di euro, compresi gli immobili strumentali agricoli, sarà coperta con misure a carico del sistema bancario.
Un terzo coperto con anticipi sulle posizioni del risparmio amministrato e per due terzi con l’ aumento di anticipi su Ires e Irap, a fronte di un aumento dell'aliquota Ires e Irap per il 2014, imposta che per un anno soltanto graverà sulle banche, trattandosi di una disposizione una tantum.

I cittadini finanziano l’aumento delle aliquote dei comuni - Novità rilevante è quella della copertura da parte dei cittadini del 50% della differenza tra vecchie (2012) e nuove aliquote (2013) fissate dai Comuni.
La copertura del gettito atteso dai Comuni, che hanno deliberato per il 2013 aliquote più alte di quella standard, avverrà, infatti, con due modalità:
- il 50% dell’importo viene ristorato dallo Stato;
- il restante 50% direttamente dai contribuenti entro il 16.01.2014.

Terreni agricoli esenti dal saldo IMU 2013 – Il Ministro Saccomanni ha annunciato che il Governo ha trovato la copertura necessaria per l’esenzione da IMU anche per tali immobili.
In merito si ricorda che sono "agricoli " i terreni destinati all'esercizio delle attività agricole, inseriti negli strumenti urbanistici, anche se lasciati a riposo (art. 2135 c.c.).
Il Decreto IMU, tuttavia, specifica, che saranno esentati dal saldo del 16 dicembre 2013 esclusivamente quelli coltivati o comunque per la parte coltivata.
Per riuscire a coprire l’intero spettro di terreni agricoli sarebbero serviti almeno 200 milioni di euro in più.
Inoltre la circolare 3/DF/2012 ha chiarito che non sono considerati edificabili, ancorché classificati come tali nel piano regolatore del Comune, i terreni posseduti e condotti da un soggetto Iap (imprenditore agricolo professionale) o coltivatore diretto, purché iscritti nella previdenza agricola. La sospensione della seconda rata rileva quindi anche per queste aree, per la parte coltivata.
Il ministero delle Finanze ha precisato, in presenza di terreno edificabile in comproprietà di più persone, che se l'area è coltivata anche da uno solo dei comproprietari con la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale iscritto nella gestione previdenziale, è considerata agricola anche per la quota di proprietà dei soggetti sprovvisti di queste qualifiche.
Quindi è sufficiente che uno solo dei proprietari Iap o coltivatore diretto coltivi l'area affinché la stessa possa essere considerata agricola e goda della sospensione della seconda rata Imu.
L'agevolazione è estesa anche alle società proprietarie di terreni, che abbiano la medesima qualifica di imprenditore agricolo professionale, con amministratore o socio iscritti nella gestione previdenziale.

Terreni situati in comuni montani o collinari - In base alla Circolare n.9/1993, i terreni montani o collinari non rientrano nell'ambito della sospensione, in quanto già esentati dall'imposta. Essi, inoltre, non trovando applicazione l'effetto sostitutivo dell'Imu rispetto all'Irpef, continuano a scontare le imposte dirette anche sul reddito dominicale (circolare 5/E/2013).

Immobili rurali - La sospensione della seconda rata dell'Imu riguarda anche i fabbricati rurali; la nozione di ruralità ai fini fiscali è contenuta nell'articolo 9 del D.L. n. 557/1993.
In particolare al comma 3 la norma stabilisce le condizioni necessarie per il riconoscimento di questa qualifica con riferimento ai fabbricati a uso abitativo. La sospensione della seconda rata dovrebbe applicarsi a tutti i fabbricati abitativi rurali e non solo per l'abitazione principale.

Il successivo comma 3-bis dell'articolo 9 individua invece le caratteristiche rilevanti per il riconoscimento della ruralità per i fabbricati strumentali. In pratica tali fabbricati sono considerati rurali se sono necessari allo svolgimento dell'attività agricola prevista dall'articolo 2135 del Codice civile.
Vanno considerati rurali, se non hanno cambiato destinazione, i fabbricati accatastati nelle categorie catastali ad hoc, che sono l'A/6, per gli abitativi, e D/10, per quelli strumentali.
Sono inoltre rurali indipendentemente dalla categoria di appartenenza i fabbricati per i quali è stata ottenuta, attraverso la presentazione in catasto dell'apposita autocertificazione, l'annotazione « R» negli atti catastali.

L’IMU sugli immobili di categoria D – Ancora soggetti al saldo IMU, invece, gli immobili strumentali (ad eccezione degli immobili merce). Nonostante l'alleggerimento fiscale introdotto, con la IUC la tassazione sugli immobili strumentali è destinata, oltretutto, ad aumentare. La Cgia di Mestre ha realizzato alcune simulazioni, mettendo a confronto gli importi pagati da alcuni imprenditori in questi ultimi anni (con Imu, Tia/Tarsu e Tares) e quanto potrebbero pagare l'anno prossimo con la IUC.
Dal punto di vista metodologico i calcoli della Cgia hanno considerato l'Imu con aliquota al 9,33 per mille che corrisponde al valore medio nazionale applicata nel 2012 sugli immobili diversi dalla abitazione principale.
A parità di aliquota, l'aggravio d’imposta tende ad aumentare in generale per tutti gli immobili accatastati nella categoria D), in quanto il coefficiente moltiplicatore utilizzato per determinare la base imponibile è stato incrementato dal 2013 dal 60 a 65 così che la rendita catastale viene rivalutata del 5%.
Secondo quanto stabilito nella Legge di Stabilità 2014, in corso di approvazione, le imprese possono dedurre dal reddito di impresa il 30% dell'Imu per l'anno 2013 e il 20% dal 2014Allo stato attuale pare che quest'ultima deducibilità non si applichi alla base imponibile Irap.
Autore: Redazione Fiscal Focus

La rata omessa negli avvisi bonari

Decadenza dalla rateazione se la sanatoria non avviene entro il termine di pagamento della rata successiva

Premessa – Per gli avvisi bonari il mancato pagamento di una rata oltre il termine di scadenza di quella successiva determina la decadenza dalla dilazione concessa dall'ufficio e l'iscrizione a ruolo delle somme dovute. Al contrario per le cartelle di Equitalia il contribuente decade dal beneficio della dilazione qualora non paghi otto rate, anche non consecutive, del piano di ammortamento concesso.

Avvisi bonari - In caso di ricevimento di una comunicazione di irregolarità a seguito di controllo automatico (articolo 36-bis del D.P.R. 600/1973) o di controllo formale (articolo 36-ter del D.P.R. 600/1973) e di riconoscimento della validità della contestazione, il contribuente può regolarizzare la propria posizione pagando una sanzione ridotta, oltre all'imposta oggetto della rettifica e i relativi interessi. In particolare, la regolarizzazione delle comunicazioni relative ai controlli automatici (articolo 36-bis del D.P.R. 600/73) deve avvenire entro 30 giorni dalla ricezione, pagando l'imposta dovuta, gli interessi e la sanzione ridotta a 1/3 di quella ordinariamente prevista nella misura del 30 per cento. La regolarizzazione delle comunicazioni sui controlli formali (articolo 36-ter D.P.R. 600/1973) potrà essere effettuata, invece, sempre entro 30 giorni dal ricevimento della prima comunicazione, con il pagamento dell'imposta dovuta, degli interessi e della sanzione ridotta a 2/3 di quella ordinaria del 30 per cento.

Rateizzazione - Le somme richieste si possono rateizzare senza garanzia: fino a 5.000 euro in un massimo di 6 rate trimestrali mentre oltre 5.000 euro la rateizzazione arriva ad un massimo di 20 rate trimestrali.

Rata omessa - Il mancato pagamento della prima rata, entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dalla rateazione e l'importo dovuto per imposte, interessi e sanzioni in misura piena, dedotto quanto versato, viene iscritto a ruolo.

Ravvedimento - Tuttavia, la rateazione non viene meno qualora il tardivo pagamento di una rata diversa dalla prima sia effettuato entro i termini di scadenza della rata successiva. In sostanza l'iscrizione a ruolo non è eseguita se il contribuente si avvale del ravvedimento operoso di cui all'art. 13, D.Lgs. 471/1997, entro il termine di pagamento della rata successiva. Al riguardo si ricorda che per effetto della regola generale prevista dall'art. 13, D.Lgs. 471/1997, la sanzione amministrativa è pari al 30% di ogni importo non versato. Invece, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dalla lett. a) del co. 1 dell'art. 13, D.Lgs. 472/1997, è ulteriormente ridotta a un importo pari a 1/15 per ciascun giorno di ritardo. Con il ravvedimento operoso tale sanzione viene ridotta ad 1/10 qualora la regolarizzazione avvenga entro 30 giorni o ad 1/8 qualora avvenga oltre 30 giorni.

Cartelle Equitalia –
 Al contrario per le cartelle Equitalia con le modifiche portate dal D.L. 69/2013 (c.d. “Decreto del Fare”) dal 22.06.2013 il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione in caso di mancato pagamento, nel corso del periodo di rateazione, di 8 rate, anche non consecutive. In tale ipotesi l’intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente e automaticamente riscuotibile in unica soluzione e il carico non può più essere rateizzato.

Differenze – 
Si evidenza la diversa “tolleranza” vigente tra avvisi bonari e cartelle esattoriali. Al riguardo si fa però presente che le somme contenute nell'avviso bonario e non pagate vengono poi iscritte a ruolo e da quel momento diventano un credito di Equitalia che, successivamente, procederà con la notifica della cartella di pagamento al contribuente debitore, con addebito delle sanzioni sugli omessi versamenti al 30%, oltre all'aggio della riscossione (pari ad oggi all'8%). Ne consegue, dunque, che se da un lato il contribuente con la cartella di pagamento può beneficiare di più tempo per pagare, dall'altro il debito è decisamente superiore.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 26 novembre 2013

IVA: gli omaggi NON rientranti nell’attività d’impresa

Cessione “irrilevante” ai fini IVA

Il trattamento fiscale degli omaggi dipende dalla natura del bene, dal soggetto destinatario, ma anche dal valore del bene. Tutte queste caratteristiche condizionano il trattamento fiscale degli omaggi, ciascuno con un proprio peso. In via generale, il punto di partenza per analizzare il trattamento fiscale degli omaggi ai fini Iva, e la distinzione tra beni che rientrano o meno nell’ambito dell’attività propria dell’impresa. 

Beni che NON rientrano nell’attività d’impresa - Per tale fattispecie, il punto di partenza è il trattamento che i beni destinati a essere “omaggiati” subiscono a “monte”. In base alle disposizioni dell’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972, non è ammessa in detrazione l'imposta relativa alle spese di rappresentanza, “come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l'acquisto di beni di costo unitario non superiore a lire cinquantamila” (euro 25,82).

Per quanto riguarda la definizione di spese di rappresentanza, anche ai fini IVA (C.M. 34/E/2009) è necessario fare riferimento a quanto disposto dall’art. 1, D.M. 19.11.2008 che definisce di rappresentanza “le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore”.

Affinché la spesa per l’omaggio rientri tra quelle di rappresentanza è necessario che le spese: i) siano sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni; ii) siano ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici; iii) siano coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.
All’interno delle spese di rappresentanza individuate in base ai suddetti criteri, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972 prevede:
- la detraibilità dell’IVA per i beni rientranti nelle spese di rappresentanza per i beni di costo unitario NON superiore a € 25,82;
- l’indetraibilità dell’IVA per i beni rientranti nelle spese di rappresentanza per i beni di costo unitario superiore a € 25,82.

Il trattamento a “valle” – Il trattamento a “valle”, ai fini IVA, dei beni destinati ad essere omaggiati, NON rientranti nell’attività d’impresa, è rinvenibile nell’art. 2, co. 2, n. 4), D.P.R. 633/1972. La richiamata disposizione prevede che “costituiscono inoltre cessioni di beni: 4) le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell'attività propria dell'impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila (euro 25,82) e di quelli per i quali non sia stata operata, all'atto dell'acquisto o dell'importazione, la detrazione dell'imposta a norma dell'articolo 19, anche se per effetto dell'opzione di cui all'articolo 36-bis;”.
La successiva cessione gratuita del bene (omaggio), dunque, indipendentemente da valore dell’omaggio è esclusa da campo di applicazione dell’IVA.

Le spese per alimenti e bevande - Per quanto riguarda l’acquisto di alimenti e bevande (ovviamente che non formano oggetto dell’attività d’impresa), l’art. 19, co. 1, lett. f), D.P.R. 633/1972 prevede che “non è ammessa in detrazione l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di alimenti e bevande ad eccezione di quelli che formano oggetto dell'attività propria dell'impresa o di somministrazione in mense scolastiche, aziendali o interaziendali o mediante distributori automatici collocati nei locali dell'impresa”.
Tuttavia, in deroga a tale disposizione, l’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 54/E/2002 ha riconosciuta la detrazione dell’IVA purché gli stessi siano di costo unitario non superiore a € 25,82 e rientrino fra le spese di rappresentanza per le quali trova applicazione la citata lett. h).

Omaggi ai dipendenti - Per quanto riguarda gli omaggi ai dipendenti NON rientranti nell’attività d’impresa, ai fini Iva, non possono essere considerate spese di rappresentanza, in quanto prive del requisito di sostenimento per finalità promozionali.
L’IVA relativa ai beni destinati ai dipendenti è da considerare indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’impresa.
Autore: Gioacchino De Pasquale

lunedì 25 novembre 2013

L’acconto slitta dal 2 dicembre al 10

Lo ha annunciato il presidente del Consiglio

Premessa – Per gli acconti fiscali “si sposterà la tempistica dal 30 novembre al 10 dicembre”. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio, Enrico Letta, parlando dell'abolizione della seconda rata Imu sulla prima casa che sarà “chiusa martedì” e dell'aumento degli acconti da banche e assicurazioni che saranno utilizzati a copertura.

La decisione -
 Il rinvio a martedì prossimo dei decreti sull'Imu e sulla rivalutazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia è stato deciso dal governo in attesa della lettera della Bce. Lo ha detto ieri il premier Enrico Letta. Il capo del governo, nel ribadire che le famiglie non pagheranno la seconda rata Imu, ha annunciato che si sposterà la tempistica degli acconti dal 30 novembre (che sarebbe slittato al 2 dicembre in quanto il 30 novembre cade di sabato) al 10 dicembre.

Maggiorazione - Un conto che sarà più salato rispetto al passato, perché l'appuntamento in calendario prevede l'applicazione delle aliquote maggiorate degli “anticipi” fiscali: per l'Irpef si passa dal 99 al 100% dell'imposta, livello a cui rimarrà per sempre, mentre per chi paga l'Ires arriva il “finanziamento a favore dello Stato” (definizione del servizio bilancio del Senato), che impone di pagare, ma solo per quest'anno, il 101% del dovuto. Completa il quadro l'Irap, che segue le regole delle imposte dirette del contribuente: chi paga l'Irpef, quindi, dovrà calcolare al 100% anche l'imposta sulle attività produttive, mentre chi versa l'Ires dovrà portare il tributo regionale al 101 per cento. Questo mentre è in dirittura d’arrivo la possibilità che per banche e assicurazioni l'acconto aumenti ancora (fino al 120%) e si arrivi a una proroga del termine al 16 dicembre.

Previsionale – Maggior gettito messo alla prova però dalla crisi economica. Una riduzione del reddito nel 2013 potrebbe far propendere il contribuente ad adottare il metodo previsionale per il calcolo dell’acconto che porterebbe così a un minor esborso economico. Diventa quindi fondamentale calcolare un’attendibile quantificazione delle imposte che saranno dovute nel modello Unico 2014 che deve, in ogni caso, partire dalla predisposizione di un preconsuntivo economico che approssimi il risultato dell'esercizio 2013 a cui apportare le variazioni richieste dal testo unico.

Il rischio - Con il metodo previsionale i contribuenti stimano la misura dell'acconto sulla base del minor carico fiscale che riguarderà il periodo interessato dall'acconto rispetto al dato storico del periodo precedente. Si tratta quindi di un esercizio che presenta margini di rischio perché occorre valutare con un mese di anticipo l'andamento reddituale dell'anno e quantificare il carico tributario valorizzando componenti economici, oneri deducibili o detraibili, detrazioni e crediti d'imposta, ritenute subite e una serie di altre variabili che necessariamente andranno a incidere sull'importo effettivo delle imposte dovute.

Le modifiche - La previsione, inoltre, è ulteriormente complicata dal fatto che occorre tenere conto delle modifiche normative che dal 2013 influiscono sulla base imponibile, considerando sia quelle che determinano l'obbligo di ricalcolo dell'acconto (tra tutte si pensi alle nuove misure di indeducibilità dei costi auto) sia quelle che, al contrario, non prevedono tale onere (come per esempio la riduzione dal 15 al 5% della deduzione forfetaria sui canoni di locazione disposta dalla legge 92/2012). Il rischio errore, quindi, è in agguato.

Sanzioni - In caso di omesso, insufficiente o tardivo versamento dell'acconto, l'ordinamento tributario prevede una sanzione amministrativa del 30% della somma non versata o versata in ritardo (articolo 13, decreto legislativo 471/97). Le sanzioni non trovano applicazione, però, in caso di omesso o insufficiente versamento della seconda rata di acconto rispetto al dato storico, se l'importo versato comprensivo della prima rata non è inferiore alla somma dovuta in base alla dichiarazione relativa al periodo in corso (comma 2, dell'articolo 4, del decreto legge 69/1989).
Autore: 

Redazione Fiscal Focus

lunedì 18 novembre 2013

Prima casa. Col vano deposito cade il beneficio

Cassazione Tributaria sentenza del 15 novembre 2013

L’acquirente perde i benefici fiscali “prima casa” se la superficie utile complessiva dell’immobile è superiore a 240 mq. Il concetto di superficie utile complessiva prescinde dalla sua abitabilità, sicché anche un vano deposito non abitabile può far aumentare la metratura dell’immobile fino a farlo diventare di “lusso”.

La sentenza. È quanto emerge dalla sentenza 15 novembre 2013, n. 25674, della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

Il caso. La Commissione Tributaria Regionale della Toscana rigettava l’appello di due coniugi che avevano impugnato l’avviso di liquidazione col quale, revocata l’agevolazione fiscale prima casa, era recuperata a tassazione l’ordinaria imposta di registro e inflitte sanzioni sull’acquisto di un immobile. Tale immobile, ad avviso dell’Ufficio finanziario, era di lusso perché aveva una superficie utile complessiva superiore a 240 mq., dovendosi in essa computare il cosiddetto vano deposito, posto che quest’ultimo presentava un’altezza di 3,25 m. e due ampie finestre oltre a un’ampia portafinestra, essendo invece irrilevante la sua destinazione di fatto.

Osservazioni della S.C. Contro la sentenza del giudice dell’appello i due contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione senza successo. Gli Ermellini osservano che la superficie utile complessiva non può restrittivamente identificarsi con la sola superficie abitabile: l’abitabilità va considerata come un criterio non esclusivo al fine dell’individuazione della categoria giuridica della “superficie utile complessiva” di cui all'articolo 6 D.M. 2 agosto 1969.

In effetti, l’utilizzabilità di una superficie è concetto che prescinde dall’abitabilità ed è quello più idoneo a esprimere il carattere “lussuoso” o meno di una casa. Cosicché, la possibilità di conseguire una facile abitabilità, mediante, per esempio, un semplice adeguamento dei rapporti aereo-illuminanti, consente di ritenere “utile” la superficie abitativa; e il tener conto di questa marcata potenzialità abitativa consente di individuare meglio ciò che è di “lusso” o meno sul piano del mercato immobiliare, che, come noto, una tale disponibilità di superficie valorizza.

Doglianza infondata. Gli Ermellini, in definitiva, hanno disatteso la tesi dei contribuenti secondo cui, per superficie utile complessiva ex D.M. 2 del 1969 doveva intendersi solamente la superficie abitabile e tale non era, all’atto dell’acquisto, il vano deposito in questione perché non rispettava i rapporti aero-illuminanti di cui al regolamento edilizio, non avendo finestre di adeguata ampiezza, tant’è vero che per ottenere l’abitabilità erano occorsi, successivamente all’acquisto, importanti lavori di ristrutturazione.

Condanna alle spese. In conclusione, la Sezione Tributaria del Palazzaccio ha condannato i contribuenti a rimborsare all’Agenzia delle Entrate e a quella del Territorio le spese processuali (4.500 euro).
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 13 novembre 2013

Redditi esteri: la plusvalenza sull’immobile estero

La Convenzione non risolve la doppia imposizione

Per i contribuenti fiscalmente residenti in Italia, che intendono cedere immobili detenuti all’estero, si rende necessario valutare i profili impositivi dell’operazione. Il punto di partenza per analizzare la fattispecie è il diverso criterio utilizzato per tassare i residenti e i non residenti. I primi sono tassati sui redditi ovunque prodotti, mentre i secondi sono tassati esclusivamente sui redditi prodotti in Italia.

Il criterio appena descritto, sancito dall’art. 3 del Tuir, comune a molti stati stranieri, determina evidenti fenomeni di doppia imposizione che, a livello internazionale, sono risolti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
In riferimento agli utili derivanti dalla cessione di beni immobili, la disciplina è rinvenibile all’art. 13 del Modello OCSE che costituisce il prototipo convenzionale di riferimento.
Prima di analizzare le disposizioni convenzionali, va innanzitutto verificata la “tassabilità” secondo l’ordinamento interno.

La disciplina interna - Ai sensi dell’articolo 67 del Tuir, sono imponibili le plusvalenze realizzate dalla vendita di immobili acquistati o costruito da non più di cinque anni, fatta eccezione per quelli che per la maggior parte del periodo sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.
In base alla disciplina interna, l’imponibilità dell’operazione è esclusa nel caso in cui:
- l’immobile venga ceduto trascorsi cinque anni dall’acquisto o dalla costruzione;
- l’immobile sia stato adibito ad abitazione principale.
Il mancato soddisfacimento delle suddette condizioni rende l’operazione imponibile e, ai sensi del successivo articolo 68 del Tuir, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra i corrispettivi percepiti e il prezzo di acquisto dell’immobile, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo (ad esempio, oneri accessori, come spese notarili sostenute al momento dell’acquisto).

Le norme convenzionali - L’applicazione della normativa interna deve, tuttavia, fare i conti con le disposizioni convenzionali, verificando l’esercizio della potestà impositiva italiana.
In tal senso, si dovranno verificare le disposizioni relative ai beni immobili contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e il Paese in cui è ubicato l’immobile.
Generalmente, come detto, le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia seguono il Modello OCSE 2010, che disciplina gli utili derivanti dalla cessione di beni immobili nell’art. 13. Tale disposizione recita “Gli utili provenienti dalla alienazione di beni immobili secondo la definizione di cui al paragrafo 2 dell'articolo 6, sono imponibili nello Stato contraente dove detti beni sono situati”. La disposizione richiamata concede la tassazione allo Stato in cui i beni immobili sono collocati.
Il mancato utilizzo dell’espressione “soltanto” tuttavia fa sì che la potestà impositiva spetti anche al Paese di residenza del soggetto che ha conseguito il reddito.
In sintesi, il disposto Convenzionale prevede che i “soggetti” italiani che realizzano plusvalenze da beni immobili all’estero possono essere tassati sulle plusvalenze sia nello Stato estero che in Italia. Di conseguenza, il contribuente subirà una doppia imposizione che potrà essere eliminata/ridotta attraverso l’ottenimento di un credito d’imposta ex art. 165 Tuir.

Profili dichiarativi -
 Si segnala, infine, per quanto attiene ai profili dichiarativi, in riferimento a UNICO PF 2013, che la plusvalenza assume rilevanza, ai fini Irpef, per il suo intero ammontare, e va indicata nel rigo RL6 del modello Unico PF, concorrendo alla formazione del reddito complessivo da riportare nel quadro RN.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 12 novembre 2013

Necessario il vincolo di pertinenza

Detrazione per ristrutturazione in caso di acquisto box

Premessa – Oltre che per gli interventi relativi alla realizzazione di autorimesse e posti auto, possono usufruire della detrazione per ristrutturazione anche gli acquirenti di box o posti auto pertinenziali già realizzati. La detrazione per l’acquisto del box spetta limitatamente alle spese sostenute per la sua realizzazione e sempre che le stesse siano dimostrate da apposita attestazione rilasciata dal venditore. In ogni caso la condizione essenziale per usufruire dell’agevolazione è la sussistenza del vincolo pertinenziale tra l’abitazione e il box.

La detrazione - Possono avvalersi della detrazione per ristrutturazione (50%) anche gli acquirenti di box o posti auto pertinenziali già realizzati. In tal caso, però, la detrazione spetta limitatamente alle spese sostenute per la realizzazione. Inoltre, la detrazione spetta anche per la realizzazione di parcheggi residenziali.

Le spese - Tra le spese, relative alla realizzazione di parcheggi, ammesse all'agevolazione sono ricomprese anche quelle sostenute per: la progettazione e l'esecuzione dei lavori; l'eventuale relazione di conformità dei lavori alle leggi vigenti; le prestazioni professionali richieste dal tipo di intervento; l'Iva; l'imposta di bollo; i diritti pagati per le concessioni, le autorizzazioni, le denunce di inizio lavori, gli oneri di urbanizzazione.

Acconti - Nel caso in cui l’atto definitivo di acquisto sia stipulato successivamente al versamento di eventuali acconti, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, in relazione ai pagamenti effettuati con bonifico bancario o postale, la detrazione d’imposta spetta solo se è stato regolarmente registrato un compromesso di vendita dal quale risulti la sussistenza del vincolo pertinenziale tra l’edificio abitativo e il box.

Vincolo pertinenziale - Se manca un preliminare di acquisto registrato, eventuali pagamenti effettuati con bonifico prima dell’atto notarile non sono ammessi in detrazione. In questo caso, infatti, al momento del pagamento non è ancora riscontrabile l’effettiva sussistenza del vincolo pertinenziale richiesto dalla norma. Tale condizione può essere considerata comunque realizzata nell’ipotesi particolare in cui il bonifico viene effettuato nello stesso giorno in cui si stipula l’atto, ma in un orario antecedente a quello della stipula stessa (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 7/E del 13 gennaio 2011).

Casa e box - Per gli acquisti contemporanei di casa e box con unico atto notarile, indicante il vincolo di pertinenza del box con la casa, l’acquirente può usufruire della detrazione sulle spese di realizzazione del medesimo, se specificamente documentate.

Parcheggi residenziali - Per la realizzazione di parcheggi residenziali, si ricorda che la L. 24 marzo 1989, n. 122, relativa a disposizioni in materia di parcheggi, consente anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti, la realizzazione di parcheggi, in due condizioni: a) privati proprietari di immobili (comma 1), nel sottosuolo degli stessi e nei locali al piano terreno, oppure nel sottosuolo di aree private esterne agli edifici, purché ciò non sia in contrasto con i piani urbani del traffico e nel rispetto dell'uso della superficie soprastante e con la tutela dei corpi idrici; b) su aree pubbliche (comma 4), per le quali le amministrazioni comunali individuano privati o società cooperative concessionari del diritto di superficie, i quali, in conformità al piano urbano dei parcheggi, realizzano parcheggi in superficie o interrati, da "destinare a pertinenza di immobili p

lunedì 11 novembre 2013

Crisi d’impresa e omesso versamento dei tributi. Si applica la sanzione penale?

In ambito penale - tributario, il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 prevede due distinti reati in caso di omesso versamento di ritenute certificate ai fini Irpef e nell’ipotesi di omesso versamento dell’IVA.

Analizziamo, nel dettaglio, le caratteristiche delle due fattispecie penali.

Omesso versamento di ritenute certificate

Ai sensi dell’articolo 10-bis del D.Lgs. 74/2000, rubricato “Omesso versamento di ritenute certificate”, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta, le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti (art. 4, comma 6-ter e quater del D.P.R. n. 322/1998), per un ammontare superiore a 50 mila euro per ciascun periodo d'imposta.

La consumazione della fattispecie delittuosa si perfeziona con l’omesso versamento delle ritenute Irpef certificate, entro i termini di presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta, entro i termini previsti dall’articolo 4 del D.P.R. n. 322/1998.

Sul punto, si ricorda che il modello 770 Semplificato deve essere presentato telematicamente entro il 31 luglio, direttamente o tramite un intermediario abilitato (professionisti, associazioni di categoria, Caf, ecc.).

Per quest’anno, il termine di presentazione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 luglio 2013, è stato prorogato dal 31 luglio al 20 settembre 2013.

Omesso versamento di IVA

L’articolo 10-ter del D.lgs. 74/2000 rubricato “Omesso versamento di IVA”, applica una sanzione penale anche nei confronti di chi non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo (27 dicembre 2013, con riferimento all’anno 2012), per un importo superiore ad € 50 mila.

Quindi, il reato de quo si realizza, ad esempio, in caso di un omesso versamento d’imposta dovuto per l’anno 2012, di importo superiore ad euro 50 mila, che deve essere effettuato entro il 27 dicembre 2013 (termine previsto per il versamento dell'acconto IVA).

È un reato proprio, in quanto può essere commesso unicamente dal soggetto passivo IVA, ovvero il contribuente che compie operazioni rilevanti ai sensi del D.P.R. n. 633/1972.

L'attuale crisi economica sta creando seri problemi alle imprese italiane sotto il profilo finanziario.

Infatti, nel contingente scenario macroeconomico, le aziende faticano ad onorare le proprie obbligazioni pecuniarie, correlate al pagamento dei debiti, ivi compresi quelli tributari.

Recentemente, il Tribunale di Novara, con la sentenza n. 91000 del 26 marzo 2013, si è pronunciato sulla rilevanza dei delitti previsti dagli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, rilevando che la crisi economica dell’impresa, che genera talvolta un’irreversibile carenza di risorse finanziarie, costituisce una causa di forza maggiore per l’imprenditore, tale da escludere il reato di omesso versamento dell’IVA e delle ritenute certificate.

Nello specifico, il contribuente non aveva versato, nei termini previsti, l’imposta sul valore aggiunto e le ritenute alla fonte operate riferite all’esercizio 2006.

Di conseguenza, l’amministratore e legale rappresentante della società è stato segnalato all’autorità giudiziaria per i reati di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10 - bis, decreto n. 74/2000) e omesso versamento di IVA (art. 10 - ter, decreto n. 74/2000).

In merito, la società ha dimostrato che l'importante crisi di liquidità non è dipesa da atti di “mala gestio” posti in essere dagli amministratori, bensì da sopravvenute condizioni contrattuali avverse, che determinavano un'importante mancanza di liquidità da scompenso finanziario. Quindi il contribuente è stato assolto dai reati a lui ascritti, in quanto l’omesso versamento dei tributi è stato determinato dalla grave crisi finanziaria in cui si trovava l’impresa.

In particolare, il giudice penale ha affermato che:

- il sopraggiungere di una crisi di liquidità di dimensioni tanto importanti da comportare lo scioglimento e la messa in liquidazione dell’ente, rappresenta causa di forza maggiore, idonea a escludere la volontà del soggetto, sotto forma di dolo specifico d’evasione, di omettere il versamento dei tributi dovuti;

- non tutte le situazioni di crisi finanziaria possono escludere il reato, ma solo quelle determinate da fattori estranei alla sfera di controllo dell'imprenditore e in alcun modo riconducibili a una sua “mala gestio”, tali da delineare una sorta di illiquidità non prevedibile né altrimenti evitabile.

Tale concetto è stato recentemente ribadito dalla suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 37424 del 12 settembre 2013.

Nel dettaglio, quanto all'esclusione della colpevolezza in presenza di crisi di liquidità, i giudici hanno chiarito che non può essere invocata l'assenza di liquidità solo al momento della scadenza penalmente rilevante, se non si dimostra che non è dipesa dalla scelta di non far fronte all'adempimento.
Di contro, solo dimostrando che la crisi sussisteva per l'intero periodo antecedente e che l'omesso versamento e le cause che l'hanno determinata sono oggettive, può escludersi l’elemento soggettivo della colpevolezza permettendo così di archiviare quei procedimenti penali in cui il contribuente, senza intento fraudolento, ha la sola colpa di trovarsi in crisi finanziaria.
Autore: Dott. Marco Bargagli

giovedì 7 novembre 2013

In arrivo le rateazioni fino a 120 mesi.

Le richieste di rateazione continuano a crescere e interessano ormai poste debitorie per 24,1 miliardi di euro: il legislatore prende atto delle necessità espresse dai contribuenti e negli ultimi anni sempre più numerose sono state le disposizioni agevolative.

L’ultima, in ordine di tempo, è stata la possibilità di effettuare i pagamenti dilazionati in 120 rate, così come previsto dal c.d. Decreto del fare.
Per rendere attuabile tale previsione era però necessaria l’emanazione di un decreto attuativo, entro il 20 settembre 2013, che però si è fatto attendere.

Non dovrebbe però mancare molto affinché il decreto attuativo veda finalmente la luce, essendo già stato messo a punto e attualmente in fase di ultimi controlli alla Ragioneria.

La rateazione in 10 anni
Il decreto del fare (decreto legge n.69/2013 convertito con modificazioni dalla Legge n. 98/2013) ha consentito ai contribuenti di richiedere rateazioni fino a un massimo di 120 rate mensili nei casi in cui il cittadino si trovi, per ragioni che non dipendono dalla sua responsabilità, in una grave e comprovata situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica.
Ai fini della concessione di tale maggiore rateazione, si intende per comprovata e grave situazione di difficoltà quella in cui ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
- accertata impossibilità per il contribuente di eseguire il pagamento del credito tributario secondo un piano di rateazione ordinario (72 rate);
- situazione di solvibilità del contribuente che consenta allo stesso di sostenere il piano di rateazione più lungo.

Con riferimento al primo punto, il Regolamento ha chiarito che l’impossibilità per il contribuente di eseguire il pagamento del credito si considera accertata allorquando l’importo della rata sia superiore al 20% del reddito mensile nel nucleo familiare, così come risultante dall’indicatore della situazione reddituale (ISR) nella certificazione Isee.
Per l’imprese, invece, il limite dell’importo della rata è pari al 10% del valore della produzione.

Con riferimento, invece, al secondo punto (situazione di solvibilità del contribuente), il Provvedimento chiarisce che la stessa è legata, per le persone fisiche, al possesso di fonti stabili di reddito o di beni immobili espropriabili (pertanto, non l’abitazione principale).
Per le imprese, invece, è necessario che l’indice di liquidità sia almeno pari a 0,50.

Rateazioni già in corso
Come già anticipato nei giorni scorsi, sarà possibile chiedere, anche per i piani di rateazione già accordati, che le rate siano aumentate fino a 120, ove ricorrano le condizioni di legge.

Non è invece chiaro come debba essere applicato l’istituto della decadenza della rateazione a seguito delle novità introdotte sempre dal Decreto del fare.
Se infatti prima erano sufficienti due rate consecutive non pagate, oggi, a seguito delle novità normative, si decade solo a seguito del mancato pagamento di otto rate, anche non consecutive.
Qual è invece la sorte per le rateazioni che erano già in corso e per le quali risultavano non pagate più di due rate, ma meno di otto? La questione è rimasta in sospeso e si attendono ulteriori chiarimenti.

I passi ancora da compiere
Un’altra importante misura tarda invece ad essere emanata: la fissazione degli aggi alla riscossione.
Sempre il Decreto del fare aveva infatti stabilito che gli aggi sarebbero stati rivisti, alla stessa data del 20 settembre 2013.
Ad oggi, però, i corrispettivi all’agente della riscossione rimangono fermi all’8%, così come stabilito, per i ruoli emessi a decorrere dal 1° gennaio 2013, dal D.L. 95/2012.

Manca inoltre all’appello il decreto del Ministero delle Finanze, il cui compito è quello di individuare, d'intesa con l'Agenzia delle Entrate e con l'Istituto nazionale di statistica, il paniere dei beni «beni essenziali» per i quali non si può dar corso all'espropriazione.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 6 novembre 2013

Aumento dell’aliquota IVA dal 21% al 22%

Circolare n. 32/E del 5 novembre 2013

L’Agenzia pubblica i chiarimenti, dopo più di un mese dall’applicazione della nuova aliquota ordinaria IVA al 22%, circa le modalità operative, affinché i contribuenti possano gestire al meglio i relativi adempimenti.

L’articolo 40, comma 1-ter, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, come modificato, da ultimo, dall’articolo 11, comma 1, lett. a) del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2013, n. 99 ha disposto l’aumento dell’aliquota ordinaria dell’IVA dal 21 al 22%, a decorrere dal 1° ottobre 2013.

Diversamente da quanto disposto in relazione al precedente aumento dell’aliquota ordinaria dal 20 al 21%, intervenuto il 17 settembre 2011, il legislatore non ha modificato le norme specifiche del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, pertanto occorre coordinare in via interpretativa la nuova misura con le disposizioni del Decreto IVA, che fanno riferimento alla aliquota ordinaria e alla percentuale di scorporo da applicare al corrispettivo delle operazioni effettuate dai commercianti al minuto e dagli esercenti le attività indicate nell’articolo 22 del medesimo Decreto.
Le modifiche normative relative all’aumento dell’aliquota IVA, così come quelle del 2011, non riguardano le due aliquote ridotte, stabilite dal secondo comma dell’articolo 16 nella misura del 4 e del 10%, che si applicano ai beni e ai servizi elencati, rispettivamente, nella parte II e nella parte III della tabella A, allegata al D.P.R. 633/72.

Criteri applicativi - Ai fini della corretta applicazione della nuova aliquota, si fa rinvio, in linea generale, ai chiarimenti forniti con la Circolare 12 ottobre 2011, n. 45/E, in relazione all’aumento dal 20 al 21% dell’IVA ordinaria, che vengono integrati con le precisazioni che seguono per tener conto delle modifiche normative intervenute nel frattempo e di particolari esigenze operative rappresentate da alcune categorie economiche.
In particolare, si ricorda che la nuova aliquota del 22% si applica alle operazioni effettuate a partire dalla entrata in vigore di tale misura e che ai fini dell’individuazione del momento di effettuazione rilevano, per quanto concerne:
le cessioni di beni e le prestazioni di servizil’articolo 6 del D.P.R. 633;
gli acquisti intracomunitari di benil’articolo 39 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427;
- le importazioni, l’articolo 201 del codice doganale comunitario.

In relazione agli acquisti intracomunitari si ricorda che, ai sensi dell’articolo 39 del D.L. n. 331 del 1993, dal 1° gennaio 2013, il momento di effettuazione coincide con l’inizio del trasporto o della spedizione dei beni a partire dallo Stato membro di provenienza e non più con quello di consegna o di arrivo nel territorio dello Stato di destinazione.
Inoltre, come chiarito con la circolare 3 maggio 2012, n. 12/E, se anteriormente all’inizio del trasporto o della spedizione è stata emessa la fattura, l’operazione intracomunitaria, limitatamente all’importo fatturato, si considera effettuata alla data della fattura, mentre, a seguito della modifica dell’articolo 39, diversamente da quanto stabilito in precedenza e da quanto previsto per le operazioni interne, ai fini del momento impositivo non rileva il pagamento di acconti.
In riferimento all’IVA per cassa si precisa che l’aliquota IVA applicabile resta comunque determinata sulla base del momento di effettuazione dell’operazione, individuato secondo i criteri ordinari sopra richiamati. Il cosiddetto “cash accounting”, introdotto dall’articolo 32-bis del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134, prevede, infatti, deroghe in relazione al momento della esigibilità dell’imposta e dell’esercizio della detrazione ma non modifica i criteri di effettuazione delle operazioni. Si ricorda che per coloro che optano per il regime dell’IVA per cassa, in quanto hanno un volume di affari non superiore ai due milioni di euro, l’articolo 32-bis dispone che l’IVA relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di altri soggetti passivi IVA, diventa esigibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi, ovvero, al più tardi, decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione. Allo stesso tempo, per gli stessi soggetti, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti è sospeso fino al momento del pagamento dei propri fornitori.

Correzione degli errori - 
Con il comunicato stampa n. 137 del 30 settembre u.s. sono state impartite le prime istruzioni riguardanti l’entrata in vigore della nuova aliquota del 22%.
In tale sede è stato precisato, ribadendo quanto già affermato con la circolare n. 45 del 2011, in occasione del precedente aumento dell’aliquota IVA dal 20 al 21% del 2011, che, qualora nella fase di prima applicazione ragioni di ordine tecnico impediscano di adeguare in modo rapido i software per la fatturazione
e i misuratori fiscali, gli operatori potranno regolarizzare le fatture eventualmente emesse e i corrispettivi annotati in modo non corretto effettuando la variazione in aumento (art. 26, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972). La regolarizzazione non comporterà alcuna sanzione se la maggiore imposta collegata all’aumento dell’aliquota verrà comunque versata entro i seguenti termini:
- per i contribuenti con periodo di liquidazione mensile entro la data di versamento dell’acconto IVA (27 dicembre) in relazione alle fatture emesse per i mesi di ottobre e novembre ed entro la data di liquidazione annuale (16 marzo) per le fatture emesse nel mese di dicembre;
- per i contribuenti con liquidazione trimestrale, entro i termini di liquidazione annuale, per le fatture emesse nell’ultimo trimestre.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 5 novembre 2013

Contributo SSN: eliminata deducibilità dal 2014

Disposizione introdotto dalla Legge di conversione del Decreto IMU

Tra le disposizioni del Decreto IMU, D.L. 102/2013 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici) conv. con mod. dalla L. 124/2013, è stata inserita una misura poco attinente al tema IMU e della fiscalità immobiliare, certamente con la finalità di reperire gettito per coprire l’abolizione della prima rata IMU, ma che produce i suoi effetti su una vasta platea di soggetti.

Si tratta in particolare dell’intervento in tema di deducibilità del contributo applicato sui premi delle assicurazioni per la responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, la cui indicazione all’interno della polizza avviene, generalmente, con la voce contributo SSN (servizio sanitario nazionale).

La Legge di conversione del Decreto IMU - Nelle pieghe della L. 124/2013 s’introduce un co. 2 – bis all’art. 12, D.L. 102/2013, con il quale si prevede che “a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2014, il contributo previsto nell'articolo 334 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è indeducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive. A decorrere dal medesimo periodo d'imposta cessa l'applicazione delle disposizioni del comma 76 dell'articolo 4 della legge 28 giugno 2012, n. 92”.
La citata disposizione comporta un duplice effetto:
- l’abrogazione della particolare disposizione (art. 4, co. 76, L. 92/2012, c.d. Legge Fornero) con la quale si prevedeva la deducibilità del contributo SSN per la parte che eccedeva 40 euro, applicabile a partire dal 2012;
- si stabilisce l’integrale indeducibilità del contributo SSN, ai fini delle imposte dirette e ai fini IRAP, apartire dal 2014.

La deducibilità del contributo SSN - Volendo riepilogare la deducibilità del contributo SSN alla luce del nuovo intervento, vanno distinti i periodi d’imposta fino al 2011, il 2012 e il 2013, e quelli a partire dal 2014.
Per i periodi fino al 2011 il contributo SSN era deducibile essendo ricompreso nei contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge ai sensi dell'art. 10, c. 1, lett. e), D.P.R. 917/1986.
Per i periodi d’imposta 2012 e 2013 la Legge Fornero ha sancito una franchigia di 40 euro.
A partire dal 2014 il contributo SSN sarà completamente indeducibile.

Gli effetti della misura –
 La misura in esame prevede che la stessa si applichi ai fini delle imposte dirette a ai fini IRAP a partire dal 2014 (UNICO 2015).
Dunque, la norma in questione, oltre a spiegare i propri effetti sulle persone fisiche, “dovrebbe” riguardare anche il reddito d’impresa e il reddito da lavoro autonomo, dato il generico riferimento alle imposte dirette e all’IRAP.
Ciò comporterà che nella determinazione di tali tipologie reddituali, che prevedono la deducibilità delle spese relative all’impiego dei veicoli in base alle disposizioni dell’art. 164, D.P.R. 917/1986, l’annotazione separata del contributo SSN che sarà completamente indeducibile.

Considerazioni - La citata disposizione avrà impatti rilevanti i tutti i casi in cui si prevede la deducibilità “piena” delle spese relative all’impiego dei veicoli in base alle disposizioni dell’art. 164, D.P.R. 917/1986.
L’impatto sarà attenuato, ma non trascurabile, nei casi in cui la percentuale di deducibilità delle spese relative all’impiego dei veicoli in base alle disposizioni dell’art. 164, D.P.R. 917/1986 è fissata nella misura del 20%.
Autore: Redazione Fiscal Focus

Cartelle. Cessazione materia del contendere

Cassazione Tributaria ordinanza depositata il 4 novembre 2013

Sbaglia il giudice tributario di secondo grado che dichiara la cessazione della materia del contendere, basandosi unicamente sull’annullamento dell’iscrizione a ruolo delle somme portate dalla cartella di pagamento conseguente all’accoglimento, da parte del primo giudice, del ricorso prodotto dal contribuente.

L’ordinanza. È quanto emerge dall’ordinanza 4 novembre 2013, n. 24738, della Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile (T).

L’errore della CTR. I supremi giudici hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, per nuovo esame. La CTR meneghina è incorsa nella violazione dell’articolo 46 del D.Lgs. n. 546 del 1992, avendo dichiarato la cessazione della materia del contendere in considerazione dell’avvenuto sgravio, in assenza di atti precisi e univoci di acquiescenza.

L’orientamento della S.C. Il giudice del rinvio dovrà decidere alla stregua del principio di diritto secondo cui la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano tale conclusione al giudice, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite, che il giudice con la pronuncia deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta “soccombenza virtuale”.

Quando invece la sopravvenienza di un fatto che si assume suscettibile di determinare la cessazione della materia del contendere sia allegato da una sola parte e l'altra non aderisca a tale prospettazione, il suo apprezzamento, ove naturalmente esso sia dimostrato, “non può concretarsi – si legge in sentenza -in una pronuncia di cessazione della materia del contendere, bensì: a) ove abbia determinato il soddisfacimento del diritto azionato con la condanna dell’attore, in una valutazione dell'interesse ad agire, con la conseguenza che il suo rilievo potrà dare luogo a una pronuncia dichiarativa dell’esistenza del diritto azionato (e, quindi, per tale aspetto, di accoglimento della domanda) e di sopravvenuto difetto di interesse ad agire dell'attore in ordine ai profili non soddisfatti da tale dichiarazione, in ragione dell'avvenuto soddisfacimento della sua pretesa per i profili ulteriori rispetto alla tutela dichiarativa; b) ove, invece, si sia sostanziato nel riconoscimento da parte dell'attore della infondatezza del diritto da lui azionato, in una pronuncia da parte del giudice sul merito dell'azione nel senso della declaratoria della sua infondatezza, con il relativo potere di statuizione sulle spese secondo le normali regole” (cfr. Cass. n. 11962 del 2005).

Sgravio della cartella. Si è anche affermato che lo sgravio della cartella di pagamento disposto in provvisoria ottemperanza della sentenza di primo grado che ha accolto il ricorso del contribuente (comportamento che può trovare giustificazione nella mera volontà di evitare le eventuali spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione) non produce, di per sé solo, alcun effetto sull'avviso di liquidazione, nel caso in cui tale atto prodromico non sia stato annullato in autotutela (cfr. Cass. n. 24064 del 2012).
Autore: Redazione Fiscal Focus